Jason Adasiewicz's Rolldown Varmint

ritengo che il concetto di link esistesse ben prima di divenire, oramai per tutti, un segnale di direzione cliccabile (che brutta parola!) che conduce altrove, nè troppo distante e neppure troppo vicino, bensì in una prossimità inerente. link erano probabilmente i rami ai quali si aggrappavano i lontani parenti primati per procedere nella perlustrazione della boscaglia, link sono i primi passi dei neonati e link sono pure i passaggi di contiguità che abbiamo attraversato per giungere ad una qualche conoscenza.
con la musica (e con l’arte in genere) credo di aver proceduto principalmente per link: un gradino di conoscenza raggiunto spalancava la possibilità successiva di apprendere un poco oltre. partendo da cominciamenti diversi abbiamo allargato (avremmo dovuto allargare… meglio) la rete delle consapevolezze fino a creare quella foresta lussureggiante che è (dovrebbe essere) la nostra conoscenza personale. questo conduceva a quello e inevitabilmente a quell’altro e all’altro ancora, e via di seguito finchè ci sarà tempo. nella migliore delle ipotesi si giunge, per corto circuiti virtuosi a punti già raggiunti, ma vi si giunge per differenti strade e di conseguenze si creano epifanie di consapevolezze, sorprese conoscitive. e allora sono gioie, ma questo è tutt’altro discorso.
Rob Mazurek
per qualcuno sarà un link di passaggio e per altri un cominciamento, ma comunque la si metta lui resta imprescindibile per questi anni doppio zero e dieci a venire. l’Exploding Star Orchestra fu il primo link da cui raggiungere le varie e molteplici creature che il cornettista ha generato o nelle quali è stato coinvolto. tutto questo fino al bramato incontro di cui scrissi poco addietro. quel concerto fu l’ulteriore link per spingersi alla conoscenza ulteriore di quei funambolici musicisti che dividevano magma sonoro e palcoscenico con lo stesso Mazurek. avevo proposto su uabab il disco del bassista di quel quintetto: Josh Abrams Cipher (piccolo gemma di jazz da camera privata e segreta). dopo di lui è tempo di esplorare meglio l’ultimo disco di Jason Adasiewick.

il vibrafonista è giovine (1977) e talentuoso e la sua disco(bio)grafia ha già parecchi trofei in bacheca. la sua apparizione live è benefica e riconciliante per tutti gli amanti dello strumento. vederlo accartocciarsi sul suo vibrafono e strisciarlo, percuoterlo e condurlo dalle profondità notturne allo scintillio del cristallo può ristorare cuore e membra.
il suo progetto personale lo vedo a capo di un quintetto bianco che prende il nome di Jason Adasiewicz’s Rolldown. primo disco omonimo nel 2008 per la 428 Music e l’anno scorso passaggio alla Cuneifrom per Varmint.

Josh Berman alla cornetta, Aram Shelton al clarinetto e sassofono alto, Jason Roebke al basso e Frank Rosaly alla batteria condividono il viaggio attraverso 6 composizioni originali ed un brano di Andrew Hill (The Griots).
pasta sonora calda e non del tutto sconosciuta. i critici hanno stilato lunghe liste di derivazioni e provenienze: gioco sterile e pericoloso che non aiuta la dinamica e il coraggio di questi giovanotti talentuosi e ben intenzionati. non può e non deve essere peccato rifarsi ai maestri del post bop o di un certo suono Blue Note. non è l’inaudito che qui si va cercando, ma piuttosto lo stile e la capacità di ricreare quell’interplay solido (e allo stesso tempo fluido) che conduce questo quintetto fuori da una mediocrità che spesso accompagna certi dischi di jazz odierno.
resta centrale e succulento il suono del vibrafono che attrae su di sé e conduce il quintetto verso ipotesi di direzioni future. credo che il nome di Jason Adasiewicz, e la sua barba, accompagneranno negli anni a venire la ricerca di un possibile jazz moderno e, con Mazurek o senza, occuperanno la ribalta di un suono bianco (è bene dirlo) che sta mescolando stilemi e ascendenze alla ricerca del nuovo che verrà.
per questa sera consiglio di attendere il crepuscolo e approfittare dello sgombero delle strade per guidare la propria automobile con pacatezza e moderazione. si può così permettere al suono di questo disco di condurre il volante e raggiungere gaudenti un non luogo o qualsivoglia direzione. non so alla fine quale sarà la meta, ma sarà piacevole raggiungerla.

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0 risposte a Jason Adasiewicz's Rolldown Varmint

  1. odradek scrive:

    La Cuneiform continua, nonostante gli anni, a mantenersi in forma…
    E tu hai un ritmo invidiabile, tenedo in debito conto la qualità del tuo gioco.
    Come fate?

    grazie

    • borguez scrive:

      non potendo rispondere per la Cuneiform mi limito al mio.
      il ritmo ha a che fare con la curiosità e con la voglia di ascoltare ancora e ancora.
      sgomberato il campo dalle futilità provo a dedicare le energie ricavate a ciò che mi preme e mi appassiona.
      tutto sommato logico e inevitabile.
      un grazie a te per l’attenzione

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