Arthur H / Nicolas Repac
L’Or Noir

una premessa: se non riuscirò nelle prossime righe a convincere il lettore che in questo post si sta parlando di un disco di ottundente bellezza oscura, il lettore stesso è libero di saltare a piedi pari queste righe per concedersi la catarsi di un ascolto inatteso.
dunque, cominciamo da qui: prendete due monelli della cultura musicale francese, Arthur H, figlio d’arte, cane sciolto, agitatore da più di vent’anni di una eredità musicale (nazionale) greve e splendida allo stesso tempo e Nicolas Repac, musicista insaziabile, chitarrista trasversale e sodale guascone del sopracitato artista, nonché amico e complice.
prendete dunque questi due autori e metteteli a sognare sull’opera di Édouard Glissant lasciandoli incantati di fronte alle delizie afro-caraibiche della sua poesia. lasciate che ai due affiorino sogni inconfessabili, memorie di una educazione musicale costruita sui dischi d’oltralpe dei padri, il fascino del teatro e le parole ingoiate e vissute furiosamente rubandole dai classici della letteratura francese (e non); è assai probabile che da questo incontro possa nascere un disco come questo.

L’Or Noir (Naïve, 2012) è l’oscuro frutto di questo incontro. un gest musicale nato pensando al teatro ed un vagito di recitazione concepito con l’urgenza della musica. poesia nera, carnale, sessuale. la triangolazione schiavista fra la tronfia europa, l’Africa ed i Caraibi. pare l’esegesi di quella Cargo Culte che chiudeva quel disco fondamentale per la cultura musicale (francese e non) che è Histoire de Melody Nelson, la drammatizzazione della grande tradizione teatrale francese, e poi Céline, Stevenson e il cuore di tenebra di Joseph Conrad. afrore della vergogna colonialista e il sogno della negritudine bianca che non ha mai abbandonato i desideri di ogni francese degno di tale nome.
Arthur H recita, sussurra e sospira la poesia sul tappeto artigianale di elettroacustica manuale costruito da Repac; cinéma pour l’oreille, etnografia tascabile. un disco vorticoso che inghiotte per concentrici giri di vertigine. vengono in mente sogni malsani, sudati, febbrili; desideri malarici, incestuosi dentro una giungla umida, densa, femminile.

la rete, al solito, consente visioni e informazioni antecedenti la fruizione di un disco come questo (qui i video e qui il racconto del progetto) ma il mio consiglio, per quel che vale, è raggiungere prima di tutto l’istante epifanico dell’ascolto concedendosi l’oscurità, il silenzio e l’intimità: poi può giungere tutto il resto.
finchè si trovano dischi come questo ha senso continuare a cercare spasmodicamente altre musiche, c’è motivo di cultivare un blog e per certo di non smettere con il vizio del sogno e della curiosità.
buon ascolto

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