Karen Dalton 1966

prendo a prestito, citando a memoria, una frase che qualcuno (non ricordo più chi, me ne scuso) scrisse a proposito di Nick Drake“dovreste conoscere Nick Drake, potrebbe cambiare la vostra vita, di certo ha cambiato la mia.” la prendo a prestito per mutuarla e sostituire il nome di Drake con quello di Karen Dalton, perché il consiglio e l’effetto avuto sulla mia vita è pressoché il medesimo. e così il consiglio, per chi non è già giunto laddove si vuole arrivare, è quello di fare la conoscenza con questa folk singer nascosta nelle troppe pieghe della storia della musica americana; celata per sua stessa caparbia volontà, per idiozia del music business e per una fragilità umana che assai male si conciliava con il clamore di una carriera da far esplodere nei ’60 americani.

l’occasione per ritornare ad ascoltare (e a raccontare) Karen Dalton giunge dall’etichetta Delmore Recordings che ha pubblicato nel gennaio di quest’anno una raccolta di registrazioni private carpite da Carl Baron nel 1966 in Colorado, dove Karen Dalton ed il marito Richard Tucker si erano ritirati in un cottage e lì provavano per un futuro concerto alcuni brani. nasce così 1966 (Delmore Recordings, 2012), un documento in bassissima fedeltà “rubato” al tempo e restituito 45 anni dopo a noi ignari di cotanta bellezza. le elucubrazioni su questo tipo di operazioni potrebbero prendere molto tempo e non sono certo di volerlo occupare qui: del resto la stessa carriera (documentata) di Karen Dalton è iniziata con un sotterfugio ad opera di Nik Venet il quale, stanco della timidezza restìa della Dalton ad incidere in uno studio, la invitò ad una session assieme a Fred Neil (proprio lui) per raccogliere una sua versione di un brano di Neil. la seduta di registrazione si protrasse oltremodo e riuscì a venirne fuori un disco intero. eravamo verso la metà dei ’60 ma il disco vide la luce solamente nel 1969 per la Koch Records.

It’s So Hard to Tell Who’s Going to Love You the Best diventa così, paradossalmente, il disco tecnicamente meglio inciso da Karen Dalton. vi trovano spazio alcuni blues (Leadbelly, Floyd), brani di Fred Neil e dell’altro mentore Tim Hardin. ascoltato oggi (come allora) il folking di Karen Dalton mette i brividi per una indolenza dolorosa ed una voce che si appiccica addosso come una sindrome. ma allora, forse fuori tempo massimo, non scompiglio il Greenwich Village come avrebbe dovuto, e potuto, fare qualche anno prima. fu così che allora qualcuno pensò (sic!) che fosse buona cosa cambiare leggermente rotta ed introdurre strumentazioni più appetibili per i ’70 incombenti.

In My Own Time (1971) diventa così uno strano prototipo di folk soul in cui la voce ancor più dolente di Karen Dalton è circondata da un’elettricità inopportuna e baldanzosa. un tentativo di addolcire ed ammansire uno spleen esistenziale nutrito di alcool e droghe a melodie e swing che stringevano l’occhiolino al patrimonio afroamericano del soul. qualcosa stride, la direzione non è quella giusta e qui finisce la carriera ufficiale di Karen Dalton.

sarà la Delmore Recordings che successivamente alla scomparsa dell’artista (1993) si prenderà l’onore di pubblicare una serie di registrazioni casalinghe, demo e live carpite in quegli anni ’60 in cui l’attività sotterranea di Karen Dalton fluiva lontano dai riflettori e dalle masse. Green Rocky Road (The Loop Tapes: Pine Street Recordings) vede la luce nel 2008.

nel 2007, sempre Delmore, Cotton Eyed Joe è doppio cd contente altre registrazioni casalinghe ed un live del 1962 più un dvd con alcuni filmati alquanto emozionanti.
e quando si pensava finito il saccheggio dello scrigno privato di questa vita dolente ecco giungere questo 1966 che, credo, metterà definitivamente fine alla riscoperta di questo tesoro della musica tutta.
prima di chiudere mi premeva aggiungere due cose: così come ogni cantautore (ogni american folk singer) non può non fare i conti con un certo Bob Dylan, lo stesso, malgrado la diametrale celebrità di Karen Dalton, dovrebbe valere per le colleghe di sesso femminile. e quante, troppe, di fronte a questo paragone scompaiono in un abisso di oblio.
la seconda cosa, che ho cercato di tacere fino a qui, è la straordinaria consonanza (esistenziale e) timbrica della voce di Karen Dalton con quella di Billie Holiday: è un paragone splendido ma di poca importanza in fondo, se non fosse che in questo 1966 è contenuta una versione di God Bless The Child già cavallo di battaglia di Lady Day. e quello che vorrebbe essere un confronto diviene una moltiplicazione esponenziale di bellezza al limite della commozione.
dovreste davvero conoscere Karen Dalton!

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6 risposte a Karen Dalton 1966

  1. SigurRos82 scrive:

    La ascoltai per la prima volta quando Il Mucchio parlò della ristampa dei due dischi ufficiali qualche anno fa. Pura magia.

  2. TrickyPau scrive:

    Ciao a tutti.
    Avete presente quelle polverose e seminascoste casse di vinili in cui poggiavano pezzi di cartone con sù scritto ”’tutto a 5.000 lire”, o ”tre per 10”? Di solito da lì iniziavano le mie ricerche vinilitiche in ogni mercatino del disco usato e da collezzione, e fù proprio in una di quelle casse che mi sono imbattuto in It’s So Hard… di Karen Dalton (nà botta dè..). Naturalmente in dieci minuti avrei potuto rivenderlo ad almeno 10 volte tanto e invece non solo me lo sono tenuto, ma ho voluto anche riacquistarlo in cd. Tanto per dire…

  3. borguez scrive:

    Karen Dalton è una di quelle scoperte che verrebbe voglia, egoisticamente, di tenere per sé, come quando ci si innamora e si ha paura di confessare ad altri il nome dell’amata/o. in più, la sua vicenda nascosta dai riflettori, non fa altro che acuire questo desiderio; ma questa meraviglia tenuta per sé sarebbe il più accidioso dei peccati.
    SigurRos82 e TrickyPau vi sono giunti per altre vie, ma vi sono giunti, così ho pensato che magari qualcun altro si potesse innamorare, e chi sono io per vietare tutto questo?

  4. mauro scrive:

    Sto ascoltando ‘It’s So Hard…’ da parecchie ore ormai. Questi sono miracoli di inizio anno. Grazie Borg.

  5. LD scrive:

    Truly a great singer. Thanks for these.

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