Mario Lucio Kreol

ci sono ancora dischi da attendere!
la considerazione parrebbe lapalissiana, ma in questi tempi di futuri anticipati, anche ciò che “ai miei tempi” era consuetudine ora non lo è più per nulla. ma io conosco la bramosìa che porta in dote l’attesa ed ho saputo coltivarla pazientemente, raccimolando parsimoniosamente quei pochi spiccioli che sono bastati per acquistare questo disco con un click fuori dai confini italioti (ça va sans dire).
era dal 2008 che l’attesa sonnecchiava all’ombra, da quando TP Africa mi condusse a quell’epifania che fu conoscere Mario Lucio e quel gioiello atlantico che è Badyo. quel lavoro entrò agilmente nelle preferenze di quell’anno e, da allora, fra i miei dischi preferiti per le navigazioni a palpebre serrate.

da qualche mese correnti solide portavano informazioni straordinarie, notizie di spostamenti e rimbalzi fra i continenti alla ricerca di contatti, collaborazioni e sapori di acque creole perdute nell’avvicendarsi delle maree. Mario Lucio ha viaggiato per tre continenti, 7 nazioni e svariati approdi con l’idea di ritrovare e raccontare l’idea odierna dell’identità creola, seme e frutto del suo arcipelago capoverdiano.
ha indagato assieme a Harry Belafonte (chapeau), Milton Nascimento, Teresa Salguiero e Toumani Diabaté; ha chiesto aiuto alla sponda caraibica incarnata in Mario Canonge e Pablo Milanés e si è rivolto ai fratelli (e sorelle) africani Awa SanghoZoumana Tereta fino a giungere al cospetto dei piedi (scalzi) della sua illustre compatriota: Cesaria Evora.

nasce così Kreol (Harmonia, 2010), nasce sui flutti di un viaggio secolare, migrazioni, sradicamenti e mescolamenti (benedetti) di sangue. nasce sui ritmi inconsueti (per noi) della gwo ka, della maloya, della sega,  del salegy e del bele. nasce e suona come dovrebbe suonare il mondo se potesse raccontare una storia che le generazioni che si sono susseguite non possono abbracciare. suona come suona la bellezza.
per tentare di raccontare il viaggio a ritroso risalendo la diaspora, il regista Frederique Menant ha voluto seguire Mario Lucio nel suo percorso e nei suoi incontri per realizzare un film per la Zaradocs Films che porta lo stesso titolo del disco. in rete si gusta questo teaser in grado di esplicare (e fare ascoltare) l’intreccio di suono e cultura che è intriso nel concetto identitario creolo.

questa attesa è lietamente giunta al suo piacevole termine. sto ascoltando alcuni duetti che assomigliano ad idilli angelici. avverto i naviganti di non lasciarsi ingannare dall’aspetto mainstream che ha il suono (ed il colore) delle vele di questa imbarcazione: il viaggio che ha intrapreso questa musica è salpato da un porto assai antico e conduce un po’ più lontano delle nostre apparenze.

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3 risposte a Mario Lucio Kreol

  1. GM scrive:

    Si, un bel disco, e sono contento che questa volta sia tu a parlarne. Io lo ascolto da qualche settimana, e sono preso da un dubbio sottile. Ne parlavo oggi con l’amico in materia più autorevole.

    E’ già successo a Mayra Andrade di perdersi in questa fantomatica identità creola, un luogo a cavallo dell’Atlantico dove i contributi non sono tutti uguali. Da una parte ci sono le formiche, l’identità leggera di Capo Verde e della Guinea Bissau, quella appena abbozzata di Sao Tomè e Principe – in tutto meno abitanti di Firenze – l’identità tormentata dell’Angola e quella lontana e che guarda altrove del Mozambico. Poi c’è il centro, Lisbona, forse troppo altera per accorgersi di contare oramai meno di quanto ci si aspetterebbe, se non come piazza dove incontrarsi, come centro geografico più che culturale. Perché il vero centro del mondo lusofono è oramai da tempo divenuto il gigante brasiliano, accanto al quale ogni identità sembra piccola e quasi scompare.

    Mayra Andrade doveva essere l’astro nascente di Capo Verde, colei che poteva prendere il posto di Cesaria Evora sulla scena mondiale, e invece oggi sembra quasi una cantautrice brasiliana. E’ così sbilanciata verso il Sud America questa fantomatica identità creola? Io non lo credo, anche se a volte così appare. Forse Mario Lucio ha lo spessore sufficiente per rimettere le cose in un differente equilibrio?

    GM

    • borguez scrive:

      questione spinosa e difficile da abbracciare nella sua interezza, anche se ammetto di trovarmi d’accordo con te. non mi ero preoccupato eccessivamente della “bilancia” creola (o lusofona) al momento di ascoltare il nuovo disco di Mario Lucio, ma alcuni dei tuoi sospetti assomigliano più a certezze (Mayra Andrade ha effettivamente preso la strada delle stelle brasiliane).
      credo che per sua stessa natura l’identità creola fatichi ad appartenere ad un luogo piuttosto che all’altro, e, nel caso di Kreol, questo spaesamento è ben rappresentato dal suo viaggiare, incontrare e collaborare. ne è uscito un disco più globale che particolare, dal respiro involontariamente “world” (nella sua accezione minore) e dalla vocazione internazionale.
      è per questo che non mi sento di poterti garantire Mario Lucio come paladino di un’identità sfuggente, e forse, col beneficio del dubbio, sento assai più creolo il Creole Choir of Cuba e il suo caldo entusiasmo vocale.
      il tuo ragionamento ha stimolato in me più di un pensiero: terrò la finestra atlantica più spalancata in modo da seguire gli spostamenti e i flutti. lo prendo come un buon proposito per l’anno incombente.
      grazie delle parole

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