Masayoshi Fujita & Jan Jelinek Bird, Lake, Objects

dissi di una mia sudditanza autistico/acustica per il clarinetto e per l’universo generato dal suo suono; e se solo dovessi tentare di stilare un ipotetico podio ciò che so, è che al secondo gradino stazionerebbe il vibrafono (assieme alla cugina marimba e più in generale tutti gli idiofoni). timbro notturno e e subacqueo, attutito e profondo: frequenze balsamiche e lenitive. in quei rari casi in cui ho potuto incontrare contemporaneamente le due manifestazioni sonore (clarinetto e vibrafono) sono stato rapito dal deliquio e caduto in felice disgrazia estatica.
è per questo che da tempo seguo Masayoshi Fujita e il suo vibrafono mentre cercano di traghettare la storia e il suono di questo strumento verso nuovi approdi e rinnovate frontiere. le precedenti prove solitarie con il nome d’arte El Fog rappresentano due considerevoli passi iniziali verso una ricerca in fase di sviluppo. Reverberate Slowly (Moteer, 2007) e Rebuilding Vibes (Flau, 2009) sono per certi versi assimilabili nella medesima ricerca di equilibrio fra acustico ed elettronico; minimali e solo apparentemente algidi nascondono brandelli di groove essicati e resi statici in un jazz minimale da camera. una parte di glitch, qualche riverbero, polvere di field recordings, handclapping e un vibrafono suonato linearmente, più sulla timbrica che sul virtuosismo.

Masayoshi Fujita ha deciso da tempo di eleggere Berlino sua dimora e crogiuolo per le sue sperimentazioni e le sue collaborazioni: è qui che è avvenuto l’incontro con Jan Jelinek e con l’universo elettronico che si porta appresso. il frutto del loro lavoro ha visto la luce per l’etichetta personale di Jelinek, la Faitiche e si pregia, per adornare il packaging, dei disegni originali dello stesso artista giapponese (in vendita sul sito).

Bird, Lake, Objects porta già nel titolo la natura frammentaria e minimale dell’intero lavoro. la collaborazione fra i due è all’insegna di un less is more voluto e trovato: le manipolazioni elettroniche di Jelinek conducono i lacerti sonori di Masayoshi Fujita verso uno spazio onirico e notturno, rarefatto. debbo sinceramente ammettere che non tutto, o non completamente, il risultato è consono alle mie egoistiche inclinazioni. dei 6 lunghi componimenti, che immagino i due si siano spartiti democraticamente, ne preferisco tre in particolare e, desumo da percezioni indotte, quelli dove il vibrafonista ha tenuto il timone dritto verso i suoi mari notturni. Workshop for modernity, I’ll change your life e Waltz (a lonely crowd) sono derive liete, reiterazioni e immobilità degne della miglior estasi. la grana densa e leggiadra dei timbri conduce all’intimo meditabondo e arreso.
alcune colonne sonore di sogni che ancora debbo sognare vorrei avessero questo andamento: condizione necessaria e sufficiente per rituffarmi fiducioso nell’ennesimo ascolto.

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