Ortometropolis/7 di Costantino Spineti

Aki Kaurismäki

and his Beautiful Losers

“Di solito, prima di girare, Timo Salminen, il mio direttore della fotografia, mi chiede di scegliere un colore da dare al film, e io regolarmente gli rispondo di farlo blu. Personalmente mi sento blu.”
(Aki Kaurismäki
)

Cinico e glaciale, delirante e poetico, surreale e ironico, grottesco e profondamente anarchico è il cinema di Aki Kaurismäki, regista finnico cinquantenne che vanta all’attivo una decina di film ed altrettante opere minori (solo di durata) tra cortometraggi, documentari e video musicali, tutti interamente autoprodotti dalla Villealfa Filmproductions (chiaro omaggio all’agente Lemmy Caution, missione Alphaville di Jean Luc Godard), casa di produzione fondata dallo stesso Aki e dal fratello Mika, insieme ad un manipolo di collaboratori ed attori che diventeranno poi, in seguito, i laconici protagonisti  bohémien  dei suoi film.
In tutti i suoi lavori, i voyeur cinefili più incalliti potranno sicuramente imbattersi in déjà vu cinematografici che ritengo troppo riduttivo chiamare citazioni: potranno finalmente ansimare lascivi guardando dal buco della serratura il minimalismo nipponico e a basso  costo del grande Ozu, la lenta digestione dell’irrequieto Luis Buñuel, il neorealismo italiano rivisitato in chiave pop art, l’amore per l’indimenticabile Robert Bresson, la passione sconfinata per la nouvelle vague francese, in particolare per Jean Luc Godard, ed una truculenta indigestione di b-movie americani. Come in un’orgia, tutti insieme… Già.

Per i feticisti amanti della letteratura, in particolare dei classici invece, si potrà finalmente annusare la biancheria di Dostoevskij (Delitto e castigo, 1986), o l’afrore corporeo e anticapitalistico di William Shakespeare (Amleto si mette in affari, 1987), il vetyver usato a Montparnasse da quel sognatore di Jacques Becker (Vita da bohème, 1992), oppure passare delle notti insonni e libertine fustigandosi anima e corpo a vicenda, con i vostri partner, sul concetto di fuga (Ariel, 1988 Calamari Union, 1985), inalando con voluttà  Michaux, Prévert e Baudelaire, “le cui ombre viaggiano ancora su questa terra”.
Se poi siete solamente dei sadici, o dei masochisti, o tutte e due assieme, non c’è di che preoccuparsi… ci penserà La fiammiferaia (1990) con la sua freddezza, o lo spietato assassino di Crime and Punishment (1986) a sollazzarvi! Se invece poi siete come me, e cioè degli inguaribili guardoni voyeur e feticisti con delle fruste in casa, fate molta attenzione, maneggiateli con cura questi film, perché Aki Kaurismäki… potrebbe diventare uno dei vostri registi preferiti!!

Ma andiamo sui personaggi, perché era lì che volevo arrivare, quelli che ho chiamato beautiful losers prendendo a prestito dall’amato Leonard Cohen. I personaggi di Kaurismäki sono tutti dei perdenti, uomini senza qualità destinati a una vita ai margini della società a causa della propria incapacità di aderirvi completamente e di comprenderne i meccanismi. L’unica loro vera consolazione rimane la musica, tanghi finnici e rock ironici costellano le colonne sonore dei film del regista, generando in essi una fortissima carica di impatto emotivo (link). Kaurismäki rifugge le icone e i simboli della contemporaneità restituendo piuttosto il ritratto di esistenze fuori sincrono, ricostruendo intorno ai suoi personaggi un mondo stralunato e straniante dipinto con geniali tratti retrò.
C’è una complicità che lega da sempre il regista nordeuropeo e i suoi personaggi, gli outsider che popolano le sue storie, gente all’antica in un mondo moderno. Alla disillusa consapevolezza di una sconfitta subita in partenza, si accompagna un pudore che preserva intatta la dignità e l’eleganza delle figure ogni volta che i drammi della vita si manifestano nella loro glaciale evidenza, un’ironia amara, spietata, sempre presente e un profondo senso della compassione che riflettono una lucidità politica e un rigore morale unici  nel cinema contemporaneo. E’ nei dialoghi dei suoi personaggi, scarni, esigui, e recitati rigorosamente con la tecnica della sottrazione e mai dell’accumulo dal punto di vista recitativo che si è sviluppato quel tipico linguaggio Kaurismäkiano, ribattezzato dalla critica francese”akilein”, una sorta di finlandese letterario, recitato meccanicamente, che sarà una caratteristica di tutta l’opera del regista. Fanno parte di un tipico romanticismo fuori luogo certe  dichiarazioni che stridono con la compostezza delle figure suscitando un sorriso smorzato, dolce-amaro:

L’amore è morto? L’amore non può morire. L’amore ci lascia. Noi muoriamo!

Verrò sicuro come la vecchiaia.

Le luci della macchina sono andate e i tuoi occhi sarebbero una gioia. Ho intenzione di navigare attraverso le stelle.

Poi, qualche giorno fa, io ed il mio amico Nando “Er Cicoria” (lo chiamo così perché va sempre in giro con un coltello affilato, ma non farebbe mai del male neanche a una mosca!), ci trovavamo sulla Tangenziale Est a bordo della mia automobile, in coda ad un semaforo nei pressi del Cimitero del Verano, quando in barba a quell’ignobile ordinanza del Comune di Roma di vietare la presenza degli extracomunitari  ai semafori che vendono fiori, accendini, fazzolettini e puliscono vetri, vedo spuntare lui… un sosia di Matti Pellonpää!

Attore e compagno di marciapiede di Aki Kaurismäki scomparso prematuramente anni fa e mai dimenticato né da me, né dal regista. Si avvicina timidamente alla mia automobile e mi fa: You are innocent when you dream? Tom Waits? Si riferiva chiaramente alla musica che girava nel mio lettore. Mio musica preferito – mi dice dai suoi baffoni mentre mi porge direttamente in mano un accendino di colore blu, io mentre lo ripagavo con un bel monetone da due euros dovevo avere sicuramente gli occhi strabuzzati ed un sorrisone ebete stampato sul volto, e lui, in men che non si dica, era già sul mio vetro armato di una spugna e di un tira acqua pulendolo perfettamente. Poi, si è staccato, mi ha sorriso, e con una dignità che molto raramente si vede in giro mi ha detto: Ora che il tuo vetro è pulito, i tuoi occhi potranno scrutare meglio gli abissi delle strade. L’ho seguito con la coda dell’occhio fino a quando è sparito dal mio campo visivo. Poi, dopo circa duecento metri, dallo specchietto retrovisore mi sono accorto che quel sorrisone ebete era rimasto stampato sul mio volto, intatto. Un sapore salato si è insinuato nella mia bocca semiaperta, un sapore molto salato, poi è diventato amaro, molto amaro.

Che hai fatto all’occhio? mi ha detto er Cicoria. Niente a Cicò… Deve esse stato un moscerino!!
Poi ho urlato: A Cicoria, a prossima vorta che volemo annà a beve quarcosa pijamo ‘na vespa!! Hai capito Cicò? Così armeno arivamo prima!!!

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