People Like Us & Wobbly Music For The Fire

tento il refrigerio, seppur cerebrale, con un delirio dal titolo Music For The Fire: illogico e blasfemo sotto la canicola che si aggira sui 40°. una musica da caminetto, domestica e disinfettata come hanno voluto le perfide logiche commerciali dai ’50 americani ad oggi. un cocktail tintinnante di delizie kitsch e cianfrusaglie acustiche del patrimonio popolare condiviso.
un frullato leggiadro per laptop e giradischi mescolato in salsa slapstick: a metà strada fra il collage e il patchwork sonoro con il buon gusto del collezionista di chincaglierie acustiche. lo hanno messo in piedi Vicki Bennet (alias People Like Us) in collaborazione con Jon Leidecker (alias Wobbly) affidando la loro collaborazione ai tipi dell’Illegal Art.
non c’è il capo e neppure la coda in questa sequela di allucinazioni e rimembranze sonore manipolate, cucite e tagliate. non c’è verso, eppure i 17 agglomerati producono una vicenda percorribile e, solo apparentemente, incomprensibile. faccenda familiare? sceneggiato radiofonico? poema sonoro concreto? non saprei! sulle prime si viene rapiti dalla perizia tecnica di confezionamento. un secondo ascolto consente di costituire l’inevitabile filo narrativo e, contemporaneamente, principiare la lunga sequela dei riconoscimenti. l’ulteriore riproduzione addensa la materia come nella gelatina di un pudding.

Music For The Fire mostra assai meno di quanto in realtà nasconda: riflesso involontario riconoscere brandelli di Bacharach, i Supertramp e lacerti di Marvin Gaye. alcuni standard jazz impastati a docili mambo dell’exotica vintage e allo yodel, voci confidenziali della radio valvolare dondolano fra Esquivel e la bachelor music. Barry White, Johnny Cash (!?!), gli Abba, Vic Damone e Demetrio Stratos (?!?): il rischio impazzimento della maionese è dietro l’angolo ma con con la perizia della casalinga esperta ogni ingrediente trova magicamente il suo giusto dosaggio.
probabilmente siamo più prossimi alla galleria d’arte e alla sound art ma il risultato resta curioso e divertente: pensavo fra me e me che il risultato raggiunto dai due non sarebbe poi così diverso da quello che potrebbe produrre (l’osannato) Madlib se gli si fornissero i medesimi materiali e gli si impedisse di usare i poteri magici (leggi beat).
non proprio Pop Art e non esattamente Easy Listening: di certo qualcosa di dissacrante e divertente. tre quarti d’ora di sintetica delizia da sorseggiare facendo tintinnare il ghiaccio nell’arcopal.
buon refrigerio.

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