Phil Cohran and Legacy African Skies

com’è consuetudine l’anno appena terminato si lascia indietro giacenze acustiche a cui non si è data la doverosa attenzione, vuoi per negligenza o per incosapevolezza, vuoi per faccende di tempo, che da sempre manca, da dedicare all’ascolto. a dire il vero mi accingo a raccontare di un disco che è arrivato in cd nel 2010 ma che era già uscito in vinile nel 2009 e che in realtà è stato registrato nel 1993: per questi e per altri motivi di sistemi solari diversi lascerei perdere sin d’ora la questione temporale. Phil Cohran ha a buon diritto la capacità e la consapevolezza di giungere a suo piacimento, e nel tempo a lui più consono, nella vicenda musicale di questo spicchio di galassia. il suo apparentamento spirituale con Sun Ra lo consacra a testimone di una generazione di artisti che hanno, ben prima di altri, allargato davvero le porte della coscienza umana spalancando pure gli abbaini che affacciavano nottetempo sul sistema solare tutto. così, pochi mesi dopo la dipartita terrena di Sun Ra (per i terrestri Herman Poole Blount) il devoto e sodale Phil Cohran raccoglie un manipolo di fedeli e di figli (Hypnotic Brass Ensemble suggerisce qualcosa?) e compone quella che tecnicamente si dovrebbe chiamare un’elegia. la incide in studio e successivamente la esegue pure dal vivo all’Adler Planetarium (dove altrimenti?) di Chicago in quel lontano 1993.

African Skies (Captcha, 2010) è il risultato luminoso prodotto da quel gesto di amore e devozione. se qualcuno vorrà intenderla in quanto elegia (funebre) è libero di farlo, ma io credo che si rischi di perdere quel tanto di più che è racchiuso in questo piccolo trattato di volo per aspiranti cosmonauti sonori. piccolo perché è pensato da un grande che ha lavorato per sottrazione e difetto spogliando la materia da fronzoli e lasciando iridescente il suono ancestrale a rimbombare nel cosmo. siamo di fronte ad un compendio di ritmo primordiale, al rumore che fa il mondo se, per silenzio circostante e purezza, lo si potesse ascoltare attoniti. una piccola cosmogonia portatile da tenere in prossimità dell’orecchio per servirsene all’uopo.
non sprecherò parole per gettare in campo etichette, questa musica non necessita altro che di essere accolta ed ascoltata. clarinetto basso, congas, contrabasso, flauti, chitarra, arpe, kalimba, trombone, tromba, ukulele e la voce cerimoniale di Aquilla Sadalla sono gli ingredienti di questa calda materia ipnotica (e amniotica).
e se il cielo nel quale si tenterà di decollare sovrasta la terra madre africana è piuttosto la destinazione che resta incerta: comunque buon viaggio.

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11 risposte a Phil Cohran and Legacy African Skies

  1. Lucien scrive:

    Preziosa segnalazione. Sono rimasto stregato da Kilimanjaro e da White e Blue Nile: Africa amniotica.

  2. umberto scrive:

    Ascolto l’album e credo bene di poterlo considerare il 34 giorno delle rivelazioni del mito “Dogon”che, dal 1939 Ogotemmeli, il cacciatore-guaritore dell’allora territorio del Sudan Francese racconta all’etnologo francese Marcel Griaule.
    Ritrovo proprio quella capacità dell’incommensurabile di risiedere negli elementi semplici e quotidiani.
    Nessuno si offenderà se approfitto di questo spazio per segnalare allora, non un disco ma l’opera “Dio d’acqua. Incontri con Ogotemmeli”, in cui pietre e rocce, un orcio per l’acqua e qualche gallo dispettoso fanno da scena alla narrazione di un mito di creazione. Davvero sembra che Phil Coran sia stato capace di “dominare il segreto a cui è tenuto (Ogotemmeli) – e – poterne cioè varcare il limite consegnandolo ad altri”, indicandoci questa via privilegiata.

    • borguez scrive:

      ti ringrazio per il suggerimento cosciente.
      di queste narrazioni è intrisa la cosmogonia che fu di Sun Ra e che ora si incarna nella meraviglia di Cohran e sodali.

  3. s.c. scrive:

    Sempre interessanti e piacevoli pagine. Macchè glieLo dico affare? In merito al suggerimento parentesizzato, ebbenesì, suggerisce sì. Anzichènò. Au revoir.

  4. SigurRos82 scrive:

    E vabbè, mi inviti a nozze 😛

  5. Pingback: John Zorn The Gnostic Preludes | borguez

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