Thomas Dybdahl Waiting For That One Clear Moment

in cuor mio ho sempre segretamente chiesto alla musica di cambiare il mondo, di farlo improvvisamente e senza condizioni, ispirandomi alla celebre provocazione che mosse altri movimenti: Soyez réaliste, demandez l’impossible!
non credo di esser stato accontentato, o almeno non in modo soddisfacente e ho dovuto ridimensionare il mondo esterno ad uno interiore, ripensarlo egoisticamente privato e segreto. non potendo cambiare il tutto mi sono accontentato di una parte, i miei giorni, e qui non ho fallito. per diverse vie e impensabili maniere permetto alla musica di sorprendere le mie attese, credo lo faccia chiunque abbia una sensibilità.
e dunque c’è a chi chiedo l’impossibile, a chi la catarsi, a chi lo stupore, ad altri il balsamo lenitivo o semplicemente un beat per far muovere sangue e scarpe. ognuno da par suo a muovere i propri fili per allietare questo Mangiafuoco che invecchiando diventa esigente e (moderatamente) antipatico. ma continuo a restare in ascolto della prossima meraviglia e a volte è bastante allietarmi una sola giornata affinchè il mio trastullo gradisca e si allarghi un sorriso soddisfatto.

Thomas Dybdahl è riuscito laddove altri hanno fallito: allietare alcune ore della mia vita. non credo fosse il suo obbietivo primario, ma in qualche maniera gli potrebbe fare piacere. il giovanotto norvegese non è di primo pelo (malgrado l’anagrafe) e ricordo precedenti lavori a cui avevo prestato parziale attenzione e che mi avevano fatto annotare il suo nome in una lista mentale che va dilagando.
il suo nuovo disco Waiting For That One Clear Moment (Universal, 2010) è suadente e in grado di sorprendere per maturità e piglio stilistico. mi piace definire questa attitudine compositiva con il termine di cantautorato adulto: una ricerca tesa a ridefinire gli spazi della canzone facendo leva su timbrica, penna e nuovi ammenicoli elettronici. senza dimenticare i maestri.
è bastato (si fa per dire) prendere il contenitore canzone e dilatarlo, aprirlo a nuove dinamiche e dosare equilibratamente analogico e digitale, acustico d elettronico. se poi non si temono dissonanze o distorsioni e si ha nell’acido desossiribonucleico porzioni di soul nero e funk indotto non sarà difficile approdare, con quel falsetto inequivocabile, a sponde che già un certo Curtis Mayfield raggiunse con fare primigenio.
così, ripensandoci, ho compreso che è forse bene, per sovvertire il giardino celeste, principiare dal proprio orticello abbellendolo di lieti dischi come questo: apparirà più fiorito, gradevole e in qualche modo profumato e al prossimo distratto passante che si chiederà che specie botanica è mai quella, risponderemo che è musica, buona musica, che tiene lontano gli insetti, irradia colore e forse, a non perdere del tutto l’illusione, cambia il mondo!

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