Tiganá Santana
The Invention of Colour

capita a volte di sentirsi in trappola, piacevolmente in trappola. impossibilitati a scappare e, in fondo in fondo, nolenti alla fuga. potevo davvero non parlare di questo disco? io non credo. potevo rimanere indifferente al nome di battesimo di questo giovanotto brasiliano? Tiganá, Tiganá Santana: per chiunque sia nato qualche decennio addietro (diciamo almeno quattro) facendo parte della specie maschile e vagamente interessato alle vicende del football della sua adolescenza il nome di Tiganá evoca immediatamente un campione (nato maliano e poi naturalizzato) francese dalle finezze (pre)zidaniane e dal nome spudoratamente salgariano: Jean Tigana.
aggiungiamo che il ragazzo è nato in quel di Salvador de Bahia e che ha appena ricevuto l’investitura di meraviglia brasileira da due nomi come Gilberto Gil e NanáVasconcelos, che stravedono per lui. se non bastasse tutto questo per cadere irretiti si potrebbe aggiungere che la stampa internazionale non ha esitato a paragonare le sonorità e le atmosfere di Tiganá Santana alla versione brasiliana più verosimile dell’arte di Nick Drake. serve altro? partecipano al disco anche la voce della talentuosa Mayra Andrade (da Capo Verde) e la kora maliana di Maher Cissoko (compagno di etichetta del nostro). Tiganá Santana canta in inglese, francese, portoghese ed in kikongo, l’antica lingua dei suoi antenati a riallacciare i nodi di quel ponte afro-brasiliano mai davvero interrotto. touché, mi arrendo.

ma ciò sbalordisce è che le promesse che anticipano questo ragazzo sono assai più che mantenute: Tiganá Santana ha talento, stile, una voce che evoca Nick Drake (come negarlo) ma anche altri giganti della vocalità afroamericana (Milton Nascimento e Terry Callier per non fare nomi) ed il suo disco (il secondo dopo l’esordio indipendente di Maçalê) ha bellezza e fragranza da lasciare basiti.

The Invention of Colour (Ajabu!, 2013), registrato in Svezia, è un tuffo elegante dentro le radici africane della tradizione brasiliana, con l’afflato appreso dalla bossa e la spiritualità dei canti in onore degli Orisha. Tiganá Santana accarezza la sua chitarra tamburo a cinque corde dalla parte mancina e si accompagna con la voce, chiudendo gli occhi e sognando come già fece Dorival Caymmi di fronte al suo mare. eleganza, raffinatezza, le percussioni appena accennate e un universo immenso di cultura difficilmente narrabile in sole nove canzoni originali. forse questa Elizabeth Noon racconta assai di più…

The Invention Of Colour assomiglia sin troppo al disco che non mi aspettavo più di ascoltare, per tutti quegli innumerevoli retaggi che mi appartengono, per l’equilibrio e l’eleganza, per quella rete di memorie e suggestioni che hanno finito per intrappolarmi. si potrebbe forse obiettare che questa musica si rivolge palesemente all’indietro a rileggere una tradizione immensa e mai definitivamente esplorata, ma conosco peccati peggiori.

incantevole, nient’altro da aggiungere.
buon ascolto

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8 risposte a Tiganá Santana
The Invention of Colour

  1. SigurRos82 scrive:

    Amico mio ti ringrazio. Lo sai, vero, che è il genere di disco per cui potrei anch’io implodere? 🙂 Que maravilha, muito obrigada 😉

    • borguez scrive:

      credo di saperlo eccome.
      ribadisco la sorpresa nel trovarmi di fronte un disco di cotanta bellezza.
      buon ascolto,
      a presto,
      e fammi sapere, se vorrai.

  2. Più che a Nick Drake, mi suona lampante (ascoltando Elisabeth Noon) la somiglianza con la prima Joni Mitchell, gli accordi iniziali qui (http://youtu.be/LcGvR1OumjM) sono gli stessi.
    Bravo Tiganà e grazie a te per l’ottima segnalazione. Augh!

    • borguez scrive:

      sapiente e dotto intervento mio caro,
      il riferimento a Drake è stato sbandierato dalla stampa inglese che come un messia attende la venuta di un “improbabile” discepolo del grande menestrello di Tanworth-in-Arden. vi sono similitudini, ma lascerei in pace Nick Drake e la sua memoria saccheggiata.
      le suggestioni ed i rimandi suscitati da Tiganà sono molteplici, e di certi quando si entra nella storia del folk acustico una qualche riverenza alla regina andrà ben fatta.
      il disco resta piacevole e, come scrivevo più sopra, sorprendente.
      grazie della visita mio caro,
      a presto

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