Tin Hat The Sad Machinery of Spring

e poi alla fine si torna sempre ai soliti discorsi, ai soliti dibattiti inerenti gli ascolti musicali che si sono fatti furtivi e fugaci, sin troppo rapidi e passeggeri. tutti quei dischi da staccare e cogliere come pesche da un ramo, come un Eden inimmaginabile al quale un po’ tutti possono approdare senza meriti e neppure colpe. quell’abbondanza a cui non si fa più attenzione… un paese dei balocchi per asini cresciutelli e dalle orecchie sempre più grandi e sempre più sazie! però una volta i dischi facevano lunghi giri e avevano mutazioni più che stagionali! però così si uccide la musica! però il cd con il suo bel libretto è tutta un’altra cosa! però così ascolto un sacco di musica in più! però 20 euro per un cd!

io sono abbastanza vecchio da aver formato la mia educazione sentimentale e musicale su nere vecchie “pizze” di vinile che portavano addosso il segno della mia passione e me lo restituivano sottoforma di friggione che andava sempre più intensificandosi sotto la puntina, ascolto dopo ascolto! mi sono costruito una coscienza e un senso al mio modo di sentire, di suggere l’unico nettare di cui proprio non potrei fare a meno, una specie di vanagloria di cui vado fiero, un istinto da cacciatore che mi conduce diretto a scegliere una preda in mezzo alla selva di musiche che mi circondano. parlo del mio, sto nel mio, e egoisticamente non voglio allargare i discorsi a questioni sociali o etico fruitive.

così quando annuso certi dischi fiuto immediatamente la delizia primordiale della gioia della musica, la stessa della mia pubertà, la stessa che mi auspico mi accompagni fino in fondo. e non mi sbaglio! non necessito di un secondo ascolto per comprendere… ho questa pretesa, sarà difficile privarmene! un disco prestato, una recensione, una voce fuori dal coro o una melodia di terza fila udita erroneamente ed ecco che l’incanto si compie nuovamente. oppure mio fratello che (e non si capisce come faccia) mi invia sms misteriosi con nomi sconosciuti che mettono immediatamente in moto la macchina robotica delle mie ricerche. lui che restando fermo dietro un bancone vede scorrere le cose, lui che il mondo non è poi necessario girarlo… tanto prima o poi passa tutto di qua!

e se il messaggio reca queste lettere: Tin Hat, ecco dunque disvelarsi un’altra volta la meraviglia. pochi istanti e poche ricerche conducono immediatamente al tesoro. la breve biografia semplicemente spiega di come sia caduta la necessità di definirsi trio dopo alcune vicissitudini che alla fine hanno portato gli elementi del gruppo a cinque, dopo la dipartita del leader fondatore Rob Burger. ecco dunque Mark Olson, Carla Kihlstedt, Ben Goldberg e Zeena Parkins e Ara Anderson! roba d’oltreoceano, musicisti eccelsi, sensibilità classiche e orecchie curiose unite a gusto (finissimo) e coraggio da viaggiatori antichi. nel loro sito molte delucidazioni in proposito e nel loro ultimo disco cotanta grazia!

The Sad Machinery of Spring è uscito a gennaio di quest’anno per la Hannibal/Rykodisc e cercare di descriverlo è cosa apparentemente complessa. qualcuno la vorrebbe circoscrivere a musica da camera di ascendenza classica, ma dentro quella camera tutto quel mondo non ci può stare. sottoscala di Budapest e palcoscenici polverosi anteguerra, alcuni incanti pomeridiani che solo i porticcioli mediterranei sanno dare e treni che si spostano, migrazioni e deportazioni, klez e balcani in mezzo a tentazioni latine. l’ideale anello mancante che lega indissolubilmente Kurt Weill a Tom Waits passando per la Penguin Cafe Orchestra fino a giungere agli A Hawk and A Hacksaw, con il jazz a fare da carta da parati come in un presepio! musiche pressochè strumentali, lentezze a segnare l’ipotetico ritmo di una vita possibile e quel clarinetto che sa giungere nei luoghi remoti dei miei ascolti… il consiglio è implicito!

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=sI359OagQ34]

Hotel Aurora performed at Club Helsinki, Great Barrington, MA on Jan 27, 2007

 

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11 risposte a Tin Hat The Sad Machinery of Spring

  1. Hank scrive:

    Sorbole. Ma Mark Olson è QUEL Mark Olson (Jayhawks)? Navigo ma non capisco, forse no…

  2. Maud scrive:

    Caspita, non so come sia l’album, ma questo pezzo è maleficamente bello!

  3. borguez scrive:

    Caro Hank, credo si tratti di omonimia, niente di più, niente di meno!
    Qui siamo su coordinate leggermente differenti, per quanto altrettanto degne…
    Maud, procurarsi il disco non sarà arduo…

  4. giuliasciocchina scrive:

    Invito implicito colto al volo…trovandomi a casa in quel di bologna domattina salto da nannucci…a domani sera!

  5. borguez scrive:

    Dunque a presto, giuliasciocchina!
    Nannucci resta un luogo della mia memoria…quanti ricordi!

  6. borguez scrive:

    ricordi minuscolo, altrimenti pare una sciocca battuta!

  7. Hank scrive:

    L’avrei trovata sublime…

  8. anselm eibenschutz scrive:

    io sagace!

  9. borguez scrive:

    e pensare che era involontaria…

  10. anselm eibenschutz scrive:

    l’inconsapevole leggerezza delle parole.

  11. Natisha scrive:

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