Tony Scott In Afrika

ecco le inesplicabili (non) coincidenze, ecco le amorevoli affinità e le insondabili traiettorie del fato che incrocia e doppia a tribordo l’esistenza (la mia) e la fa un poco traballare, interrogare e scuotere stupita il capo. ecco ciò di cui mi piace scrivere, ecco ciò di cui, da oggi, sarà ancora più bello scrivere.
questo disco ha una senso ed una storia che si scontra e si appiccica alla mia. lo conosco dal 1997, cioè da quando uscì. lo comprò un amico caro (innominabile per sua stessa natura) e me lo mostrò col fare goloso dei feticisti e dondolando (gongolando?) da far suo e mio, come veri ragazzi scimmia del jazz. conoscevamo Tony Scott, lo avevamo visto dal vivo e da allora amato. scrissi già di lui su queste sponde in concomitanza (purtroppo) della sua scomparsa.

Tony Scott In Afrika è un disco selvaggio e irruento. scorretto, free e anacronistico. un disco sostenuto da una grande anima e sputato da un basso ventre. scomposto e impulsivo, fin quasi scomodo. è lo stesso Scott a raccontarlo nelle note di copertina; è il frutto di due diverse visite nel continente africano (1957 Sudafrica e 1969 Senegal) e quindi di due diverse session.
inno all’indipendenza sudafricana (vedi dedica successiva a Mandela) e osanna a grandi spiriti intuiti e rispettati. le prime sette tracce sono fiorite dalle registrazioni senegalesi. così narra il clarinettista… In Africa I met musicians and percussionists capable of playing the material I had collected, and with them I recorded for four months – from 1.00 a.m. to 7 p.m. – at the American Embassy in Dakar, with two Ampex recorders belonging to the Embassy. The two fantastic Tam Tam players were each just seventeen years old; Emmanuel, on bells and singing, was thirty and came from the Cameroon, the land of Voodoo; Papa Akaye, from Ghana, played the trumpet, flute, bells and also sang. I played clarinet, drum solos and sang, also arranging and leading the group.
gli ultimi due brani sono invece precedenti (In Johannesburg, in 1957, I recorded backed by four penny whistles, bass, guitar drums and a chorus of women who shouted in unison The Penny Whistle Song and The Zulu Walk): hanno composizione e materia più abbordabili, più dolce, e costituiscono lieto ed esplicativo contrasto al resto del disco.

nla storia potrebbe essere finita qui, se non fosse che nell’eterna giostra dei prestiti, dell’ascolta questo e della costante confusione che ci portiamo dietro, quel prezioso supporto fonografico è andato perduto. con nostro sommo malincuore.
fra qualche settimana sarà il genetliaco di quell’amico di cui sopra e quindi, tempo addietro, mi è sovvenuto questo disco per un presente sensato e sensoso! mi appuntai di ordinarlo qui e come sempre passò altro tempo e successero altre cose. capita che succede la vicenda di Mulatu Astatké e tutte le meraviglie che ne sono seguite (qui e qui) e poi succede pure che JazzfromItaly scriva (chapeau!) di Tony Scott e mi faccia tornare alla mente tutta questa storia affondata nella memoria! Tony Scott, l’Africa, la città eterna scelta come dimora senile e tutta la ricerca del nostro tempo perduto! perfetto paradigma di ciò che è stato, sarà e potrà essere…

nel frattempo (oggi) ho ordinato il disco e contemporaneamente l’ho trovato nei sotterfugi impensabili della rete. è bello riascoltarlo, riassaporarlo e ripensarlo oggi rinnovato di senso e proiettato ad un futuro possibile. buon ascolto!

Tony Scott In Afrika

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14 risposte a Tony Scott In Afrika

  1. SigurRos82 scrive:

    Non ho mai ascoltato roba simile, è spiazzante. La prima traccia sembra Pharoah Sanders che suona insieme ad una tribù dell’Africa centrale…non so, magari è un paragone ingenuo, ma esprime il senso di stupore sincero di una persona poco esperta di jazz ma grande amante della musica tutta, come me 🙂

    Grazie ancora per queste scoperte 😉

  2. costantino spineti scrive:

    …Tony Scott in calzamaglia nera…
    …barba lunga e bianca…
    …col clarinetto in si bemolle…
    …alle prese coi demoni e gli spiriti africani…
    un eccezionale borguez…un eccezionale Tony Scott…

    Tony Scott per noi romani è stato un privilegio.
    Lo si poteva incontrare spesso quando ero ventenne in giro per Roma…concerti, jam session, era come il prezzemolo…profumatissimo!

    Ci ha regalato dieci anni di spettacolo, di ottima musica,
    e di pura simpatia…con quella barba così singolare sempre pettinatissima…bianchissima, con le sue calzamaglie attillate sembrava un personaggio medioevale, ma il “pezzo forte ” era quell’accento spiccatamente americano…che lo rendeva inconfondibile!

  3. tpafrica scrive:

    Conviene sempre tenerti sott’occhio.
    Living is Hard ….

  4. borguez scrive:

    cara SigurRos82,
    una sana curiosità è la chiave che apre svariate porte e che permette di accedere ad innumerevoli universi. questo è soltanto uno dei possibili.
    sono felice di poter essere fonte di scoperte.
    a presto

  5. borguez scrive:

    splendido il ricordo riportato da Costantino Spineti!
    me ne aveva già sussurrato qualche stralcio, ne avevo sentito parlare. ma per questo lo ringrazio.
    piuttosto vorrei rilanciare parlandogli di questo e sguinzagliandolo come un segugio alla ricerca di fonti, fotogrammi e possibili visioni!
    se ne riparlerà!

  6. borguez scrive:

    Living Is Hard…
    caro TP Africa,
    le mie orecchie sempre all’erta. battiti è fonte di suggestioni continue. da loro ho carpito la news.
    ti invio questo link dell’etichetta per maggiori dettagli.
    a presto!
    a prestissimo!

  7. costantino spineti scrive:

    …Tony Scott visto con gli occhi (cinici) dei due geni palermitani sarà sicuramente una vera chicca…

    …Ne han fatto già uno sull’indimenticabile Steve Lacy, disponibile in DVD su “raro video”…bellissimo e poetico…nota è la passione di Maresco per il jazz…

    …Ma visto, caro e prode borguez, che mi stuzzichi…beccati ‘sto profilo del grande Pierpaolo Pasolini…sempre di Ciprì e Maresco.

    http://www.youtube.com/watch?v=DXcq53i1wtg

  8. tpafrica scrive:

    Conosciamo bene Honest Jons,
    e potrà essere, assieme a Sterns, uno dei luoghi di pellegrinaggio in una prossima futura 5 giorni a Londra, per un’immersione nella comunità afro(nigeriana)-caraibica locale.
    L’estate è il periodo ideale.
    London is the place for me …

  9. lorepat scrive:

    Tony Scott lo ricordo a Perugia, Umbria Jazz. Era la prima o la seconda edizione? Forse la prima. C’erano i Weather Report, Sun Ra, Keith Jarrett, Anthony Braxton. Finiti i concerti, si dormiva sulla scalinata della piazza. Tony Scott girava invece (ovviamente ubriaco) tutta la notte intorno alla celebre fontana. Grande Toni Scott, purtroppo non ricordo il marchio della sua decapotabile. I bravi ragazzi la notte dormono, che ti credi, e niente sanno della voce di Dio e del rombo dei motori.

    • Gigi scrive:

      Il marchio della “decappottabile” di Tony Scott io me lo ricordo benissimo: era una Fiat 850 spider. Sarà stato forse il 1974, stavo andando in autostop a Piediluco dove la sera avrebbe suonato Keith Jarrett, ero su una curva dopo un passaggio a livello, un solleone che bruciava, e si ferma questa macchinina minuscola con quest’omone gigantesco in costume da bagno, ciabatte da mare, occhialoni da sole e cappellone, un sorrisone contagioso, un sassofono sui minuscoli sedili posteriori e mi dice “salta su!”. E poi si mette a parlare, con foga e con questo bellissimo accento americano di come tutto sia musica, le foglie che stormiscono, gli uccelli che cantano. Solo quarant’anni dopo ho scoperto che era uno dei jazzisti più originali del Novecento, ma ne ho sempre serbato un ricordo meraviglioso.

  10. Jazz from Italy scrive:

    Ricorda bene Costantino,
    che se vive tutte le sue passioni con lo stesso ritmo sicuramente in quegli anni “dorati” swingava pè Roma che era ‘nà meraviglia.

    Tony Scott era una star e, allo stesso momento era uno di noi.

    Io ricordo il concerto in memoria di Massimone Urbani, nel 2003 al Teatro Verde sulla Gianicolense, dove Tony mi era seduto accanto (ovviamente in calzamaglia nera e cappellaccio, con la custodia del clarinetto poggiata sulle gambe) e non ha smesso mai di parlare, battersi il tempo sulla gamba, schioccare la lingua, eccittare se stesso e gli altri, lanciare degli “yeah” strepitosi, fino a quando, finalmente, è salito sul palco, e non la smetteva mai nemmeno di soffiare (diavolo di un oriundo…)
    Solo la moglie riuscì a portarlo via (ed è successo troppe volte, care dolci mogli…)

    Ma un altro ricordo, più indietro nel tempo, più piccolo e per questo più caro, è di una serata estiva nei giardini di Castel Sant’Angelo, dove noi andavamo a spaccarci di bombe (non a spaccarci “Bomba” ma “di”).
    All’improvviso arriva lui, rilassato e ferino come una pantera (sempre in nero attillato, of course) e si siede in cerchio, senza dire una parola, accompagnato da una donna orientale (credo fosse proprio sua moglie).
    Poi, come se tirasse fuori una delle sue innumerevoli Marlboro, imbocca il clarinetto e comincia a suonare, morbido, aereo, leggero eppure con tutta la forza vibrante del legno, ampio e rotondo come un boato naturale ma estremamente musicale.
    Le vecchie mura ci rendono un’eco indescrivibile, ed i giardini si risvegliano d’incanto.
    Noi, fattissimi, non riusciamo a dire niente, e la sua musica ha contribuito ad uno dei migliori trip che io ricordi.

    La tipa balla un pò intorno, fino a che Tony, come in un soffio, non smette di suonare ma respira nel suo strumento, continuando la diteggiatura nel silenzio più totale (eppure la musica io la sentivo ancora…)

    Noi, in un indimenticabile concerto per pochi, battiamo le mani e ci complimentiamo con lui.

    Lì, come niente fosse, inizia a parlare del suo strumento, spiegandoci che è molto più difficile ‘chè a differenza del sax che ha 12 posizioni per le dita, (di cui puoi cambiare chiave con la posizione del pollice) lui, il clarinetto, ne ha 48 e tutte diverse e che è il tuo polpastrello a “scegliere” come coprire i buchi, perchè non c’è il tampone fisso come nel sax, per cui ne tiri fuori miliardi di combinazioni possibili con quello strumento.

    Noi, ovviamente a bocca aperta, credo che abbiamo cominciato a sbavare.

    Poi dice, con quel suo slang unico e quell’accent da cartone animato:
    “In 1955 Lester passato, ma tutti fatto festa per 30 anni di Lester in Jazz.
    Io, ovviamente, sono andato con amici per fare auguri…
    Andato a Lester e detto: Auguri Lester!
    Lui mi guardato e detto: Tu figlio di mignotta!
    Lester: perchè, detto io
    Allora Lui detto: tu hai dato clarino a Ben Webster e non hai dato a me
    Poi lui ha detto, molto amaro: tu sai che se tu dai a me clarino, io ti taglio gambe…”

    rideva Tony, di gusto e pingeva di commozione allo stesso tempo, oscillando la testa, battendosi forte la mano sulle gambe, ricordando questo che, in quel momento io non riuscivo a comprendere bene.
    Poi ho ascoltato i pochissimi pezzi in cui Lester Young suona il clarino anzichè il tenore ed ho capito quello che Tony voleva dirci.

    Dice bene Costantino.
    Tony Scott era una star e, allo stesso momento era uno di noi.

    Ciao Tò,
    e salutame ‘à Lady.

    p.s.
    questo trip africano è meglio di quello di Castel Sant’Angelo.
    Thanx borgz!

  11. borguez scrive:

    lo sapevo che bastava nominare Tony Scott e sarebbero rifioriti dal sottosuolo della memoria aneddoti e suoni!
    un vero e proprio outsider underground, non c’è dubbio!

    grazie dei ricordi e delle testimonianze!
    in più: se qualcuno sapesse qualcosa di più preciso a proposito del film di Ciprì e Maresco farebbe cosa gradita a fare un piccolo fischio, tanto per sapere!

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