Wati Watia Zorey Band
Moriarty & Friends presents Zanz In Lanfér
ovvero della memoria perduta di Alain Péters

i vinili si impolverano, i cd si impilano in pericolosi equilibri e gli hard risk si imbottiscono in un’ingrasso sconsiderato; e come se non bastasse le orecchie restano due, il tempo uno solo – scarnificato e stropicciato – e la memoria raminga e sempre più labile. tutte queste condizioni giocano a sfavore di Alain Péters!

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ma poi arriva un disco a sparigliare i ricordi e a far riemergere dall’oblio la musica di un misconosciuto isolano dell’Oceano Indiano, come una bolla di meraviglia che dal fondo del mare della memoria risale in superficie. ma credo sia meglio procedere con ordine.

Wati Watia Zorey Band - Moriarty & Friends Presents - Zanz in lanfér (2016)

Wati Watia Zorey Band Moriarty & Friends presents Zanz In Lanfér (Air Rytmo, 2016) è il disco in questione, giuntomi all’improvviso e scovato per le solite vie impervie che amo percorrere. probabilmente i nomi dei titolari sono misconosciuti ai più (e non è certo un problema): la denominazione Wati Watia Zorey Band è una formazione nuova di zecca nata dalla collaborazione fra Rosemary Standley (voce del gruppo franco-americano Moriarty) e Marjolaine Karlin (cantautrice rock francese) nata nel 2008 a margine di un concerto di maloya a La Réunion. le due cantanti, complici i tanti viaggi ludico-culturali nell’isola, scoprono di condividere la passione per la musica di Alain Péters e da lì a realizzare un omaggio all’idolo condiviso il viaggio è breve. coinvolgono con loro Arthur B Gillette (chitarre), Thomas Puéchavy (armonica e scacciapensieri), Rémi Sciuto (sassofoni) e Salvador Douézy (percussioni) e danno vita a Wati Watia Zorey Band: sulla copertina del disco, come in una carta da gioco, il gruppo compare in alto e la figura in basso rovesciata è naturalmente quella di Alain Péters. ma come dicevo più sopra procederei con ordine e cautela, e momentaneamente accantonerei questo di disco per risalire a ritroso verso la figura ispiratrice dell’opera.

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Alain Péters per la sua vita sin troppo breve, per la lontananza geografica dell’epicentro egemonico-culturale dell’occidente, per l’epoca selvatica che ha attraversato fra la fine dei ’70 e l’inizio degli ’80 e soprattutto per quel cono d’ombra che la rete ha riservato a coloro scomparsi troppo a ridosso della sua rivoluzione (la fine degli ’80 ed il principio dei ’90) è stato destinato ad una consacrazione postuma ben più grande di quella che avrebbe mai immaginato nella sua vita terrena (cose che capitano, leggi Robert Johnson, Nick Drake o Jeff Buckley). nato a La Réunion nel 1952 ed iniziato alla musica dal padre (tassista ed orchestrale) decide ben presto che la vita d’artista avrebbe fatto al caso suo. si innamora della chitarra e del basso e fa in tempo a crescere con i ritmi e le melodie isolane (maloya, séga) e la poesia creola prima che la sbandata generazionale non invogli tutti ad adottare i ritmi anglo-americani del rock ed eccolo quindi facente parte di gruppi come i Lords, poi i Pop-Décadence ed infine, sulla metà dei ’70, nei Satisfaction di chiaro impianto progressive. il suo primo vero gruppo, in cui inizia anche a scrivere i testi e a cantarli, sono però i Caméléons.

sul finire dei ’70 farà parte ancora di un’ultimo gruppo (i Carrousel) prima di avviarsi alla carriera solista e di fare un’incontro assai importante per la sua carriera, quello con Jean Albany (poeta creolo e vero e proprio mentore di quella cultura) che gli affiderà la direzione musicale per una sua musicassetta in cui recita ed interpreta alcuni poemi (e nella quale troveranno spazio anche due composizioni poetiche dello stesso Péters). in quello stesso periodo però perde il padre e vede sgretolarsi il suo matrimonio che farà allontanare definitivamente la moglie Patricia con la sua unica figlia Ananda: la cura consolatoria di questi dolori saranno, d’ora in avanti, rhum e zamal (varietà locale di erba: quell’erba!) fino ad un’alcolismo devastante che in una quindicina d’anni lo condurranno ad un’arresto cardiaco all’età di 43 anni (nel 1995). ma questi quindici anni sono anche quelli più creativi e selvatici: alcuni amici ed appassionati riescono a portare Alain Péters davanti ad un quattro piste (siamo nel 1981) e fargli incidere una manciata di canzoni che vedranno la luce soltanto nel 1984 in musicassetta con il titolo di Mangé pou le cœur accompagnate da un libretto di poemi dallo stesso titolo (Mangé pou le cœur Poèmes et chansons créoles).

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queste registrazioni rappresentano probabilmente la summa dell’opera di Péters: l’artista fa praticamente tutto da sé, sovraincidendo basso, percussioni di fortuna (si narra di bidoni in plastica e paccottiglie varie), cori, voce, chitarra e la takamba (strumento a tre corde tipico dell’isola) che dona al tutto quella magia esotica capace di trasportare altrove le composizioni di Alain Péters. ritmi dolcemente ipnotici, melodie intonate come nenie, una voce soave e flebile che rivela la natura fragile di un’anima tribolata: una miscuglio spurio fra una ninna-nanna ed un mantra psichedelico con la precisa sensazione di ascoltare sullo sfondo lo sciabordio del mare ed il cullarsi reciproco delle onde. gli isolani, che considerano oramai Alain Péters un patrimonio nazionale, asseriscono che queste musiche non possono essere ascoltate lontano da quel mare che gli fa da sfondo (e magari! risponderei io).

gli anni che seguono sono impervi di tentativi di disintossicazione, servizi sociali e registrazioni sporadiche: alcuni amici tentano allora di allontanarlo dall’isola natia, per avvicinarlo al mercato francese e ad un possibile lancio internazionale ma due soggiorni – a Marsiglia e a Parigi – si rivelano disastrosi. Alain Péters si perde nella sovrabbondanza di bistrot e di superalcolici e l’unica soluzione si rivela quella del rientro in patria. In un ultimo guizzo di orgoglio e creatività, siamo nel 1994, riuscirà in una grande rentrée con due concerti memorabili in due teatri (Palaxa e Théâtre de Saint-Gilles) testimoniati poi in un dvd postumo e in servizio celebrativo alla tv francese.

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Alain Péters muore il 12 luglio 1995, fulminato a 43 anni da un infarto in una notte di luna piena. da quel momento inizia ad ingigantirsi a dismisura la gloria postuma di un poeta creolo capace di raccontare La Reunion, la sua magia, mescolandola con il jazz, i ritmi degli schiavi e ad innaffiare il tutto con barili di rhum e di bellezza.

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è il 1998 quando l’etichetta discografica nazionale Takamba assieme all’intercessione dell’amico Loy Ehrlich mettono insieme una compilazione di brani di Alain Péters che lo renderanno finalmente noto al mondo intero. Parabolér (Takamba, 1998) racconta sin dal titolo la capacità di cantastorie locale che incarnò Alain Péters: di incerta correttezza artistica le molte sovraincisioni di percussioni, basso e voci operate dallo stesso Ehrlich, ma il disco racconta in maniera formidabile la parabola di una carriera, ed è sin da subito un disco fondamentale per raccontare una storia sin troppo nascosta al mondo.

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visto l’esaurimento di Parabolér e le sporadiche polemiche sull’integrità delle registrazioni originali l’etichetta Takamba decide di pubblicare Vavanguèr (Takamba, 2008) ripristinando le edizioni originali, aggiungendo alcuni inediti ed allegando al disco un libretto di 56 pagine ed un dvd con immagini inedite, interviste, stralci dall’ultimo concerto e tributi assortiti. il disco ripercorre perlopiù la scaletta del primo ma lo integra e si rivela anch’esso necessario per gli appassionati (ndr credo sia gioioso averli entrambi!).

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nel 2003 invece si diede il via ai tanti dischi tributo ad Alain Péters. Rest’la Maloya: Hommage à Alain Peters (Cobalt, 2003) contiene le registrazioni di due live (del 2000 e del 2001) che amici e celebrità della musica della Reunion vollero tributare al loro maestro. Loy Ehrlich, Joël Gonthier, René Lacaille, Bernard Marka, Tikok Vellaye, Danyel Waro tutti assieme per suonare la musica che li ispirò e che in qualche modo rappresenta l’orgoglio nazionale. naturalmente come tutti i tributi (malgrado l’entusiamo e la perizia tecnica dei musicisti) credo vada posizionato un paio di gradini più sotto rispetto alla conoscenza diretta della fonte.

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solo ora credo si possa tornare al disco tributo da cui sono partito e doverosamente ringraziarlo per aver scoperchiato la memoria dimenticata di Alain Péters che avevo relegato nel fondo di qualche scansia della mia memoria. credo sia anche superfluo stabilire le precedenze di ascolto (la fonte pura e virginale è preferibile al rubinetto metropolitano) ma ciascuno credo possa abbeverarsi come crede.
Alain Péters è di una bellezza dolce e purissima, un balsamo per lenire gli smarrimenti dei naufragi, un distillato per affogare gli incespichi del navigare. lasciarsi dondolare dai suoi ritmi e dalla sua voce procura ben più di un sollievo, e allora, ricordando l’idea di un disco per l’estate, io ci metto il disco, voi l’estate (quella che volete).
buon ascolto

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3 risposte a Wati Watia Zorey Band
Moriarty & Friends presents Zanz In Lanfér
ovvero della memoria perduta di Alain Péters

  1. SigurRos scrive:

    Grazie di cuore Borguez. Le “scansie” della tua memoria contengono autentiche gemme.

    Un caro saluto!

    • borguez scrive:

      un caro saluto a te e alla tua costante attenzione alle mie passioni.
      goditi Alain Péters, sono certo saprai apprezzarne la bellezza,
      a presto

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