…ancora fabrizio

deandre.jpgDa qualche giorno stavo rimuginando l’idea di scrivere qualcosa di chiarificatore, per me certo, intorno a La domenica delle salme di De Andre’. Quella canzone non ha mai smesso di turbarmi, col suo modo fisico di essere mutevole, viva e costantemente attuale. Forse la più dylaniana di tutte, la più boschiana di tutte. Tutte quelle figure che ingombrano il campo come in Desolation row o Jokerman. Ma è anche la canzone di Fabrizio con più riferimenti temporali e territoriali. Ci sono nomi, luoghi e date. Eppure è talmente profonda l’analisi e feroce la critica che quella voce sembra piuttosto redarguire i contemporanei non troppo diversi, e forse assai peggiori, del popolo craxiano di quegli anni. Vallanzasca, Curcio e l’illustre cugino De Andrade. Un segno inscindibile dei testi di Fabrizio era sempre stata l’atemporalità delle sue vicende, una maniera astuta di sospendere le sue storie e di ambientarle in un luogo archetipico e quasi inesistente.
Rimuginavo appunto stamane su questo mentre pedalavo e continuavo a fingere di non vedere il mio corpo che lavorava e la mia mente che si soffermava sul cuore d’Italia, da Palermo da Aosta, quando vedo un piccolo gruppo di persone attorno ad una vettura parcheggiata e poco oltre l’inconfondibile fiamma dell’arma campeggiare sui copricapi di due gendarmi tanto cari al nostro. Discutevano, il capannello e i carabinieri, e intanto tentavano di aprire lo sportello dell’auto. Quando giungo in prossimità c’è una regina del tua culpa che informa l’autorità: “è da stanotte che è parcheggiata lì e con la musica sempre accesa!”… la musica era Tre madri dall’album La Buona Novella! …ancora Fabrizio.

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