Al Green Lay It Down

Al Green is back on the soul! Back on the rithm’n’blues corner stone! … Back into his element! He’s back on the music! Back to where we started! … Yeah… but it’s just 2008!

effettivamente le uniche degne parole da spendere credo le abbia già proferite il diretto interessato. Al Green è tornato, ed è pura letizia! e maggior gioia deriva dal saperlo ancora così dentro al suo elemento, come Battista nel Giordano, così eretto sul pulpito della grande anima del soul. per i pochi miscredenti che non sono al corrente della vicenda umana di Albert Greene dell’Arkansas è bello e pronto un wiki assai dettagliato. per tutti gli altri fedeli è ora di accorrere all’ascolto della preghiera. il reverendo è tornato. la leggenda vive.

la grande novità è la seconda ed ennesima interruzione del sodalizio con Willie Mitchell, suo scopritore, pigmalione e fraterno compagno creativo. la prima volta fu nel ’77 e la seconda oggi. nel bel mezzo l’impegno come pastore presso la Full Gospel Tabernacle Church di Memphis. fu lo stesso Mitchell, nel 2003, a riportare Green nri templi della musica secolare. I Can’t Stop fu un ritorno clamoroso e benvenuto a cui fece seguito, nel 2005, Everything’s OK. entrambi Blue Note, tanto per capire che non si stava scherzando. qualcuno ebbe la pretesa ragionevole di archiviare le due uscite come operazioni nostalgiche atte a ricreare un suono ed un’atmosfera perduta nell’epoca d’oro del soul e della Hi Records. Possibile, malgrado i due dischi fossero (e sono) pura delizia!
ma questo nuovo Lay It Down cambia un poco le carte in tavola. sempre Blue Note, ma stavolta, alla stanza dei bottoni è il turno di James Poyser e di
Ahmir “?uestlove” Thompson. il primo vera e propria eminenza grigia che si muove dietro la nuova scena black americana (D’Angelo e Badu tanto per non fare nomi) e il secondo motore e mentore dello stesso palcoscenico e membro fondante di The Roots.

così, tanto per far comprendere a generazioni di musicisti e ascoltatori cresciuti nel Nu-Soul di chi si parla quando si citano i padri fondatori. ed è una lezione per tutti. davvero. e i complimenti vanno un poco a tutti per la maestria nel saper dosare la storia e il presente, un passato enorme con un futuro incerto. capacità produttive intelligenti, così le dovrei appellare. e ancor più saggio lasciare duettare stelle che brillano o che brilleranno con il falsetto di Al Green. e allora un plauso ad Anthony Hamilton e a Corinne Bailey Rae (brava e bella, mi sia concesso), a John Legend e a tutti i musicisti dell’album. un disco prezioso, un falsetto che qualcuno vorrebbe secondo solo a quello di Curtis Mayfield (ma sul podio c’è spazio), un ritorno gigantesco per una leggenda vivente.
mi fermo perchè molto ho già detto e perché questa musica non necessita delle mie parole, ma solo di una doverosa segnalazione. lascio a questo piccolo video un poco di ulteriore narrazione e mi accodo allo sport nazionale di indovinare anzitempo quali saranno i grandi dischi dell’anno.
io dico di appuntarsi questo.

[youtube=http://it.youtube.com/watch?v=_TyvtHJVJBI]

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