stavo giusto pensando a cosa, in campo musicale, rappresenta una novità. ma non nel senso di inaudito o di squisitamente fresco di stampa, ma piuttosto nel concetto stesso di epifania, di sorpresa sconosciuta o inattesa. è una novità il disco che esce oggi (ma anche domani) e che si attendeva o di cui si vociferava, l’ultimo lavoro di artisti noti o l’hype di turno che si nutre e si gonfia attorno ad una scena, un genere o un musicista. ma per i miei ascolti privati può rappresentare perfettamente il concetto di novità anche tutto ciò che molto semplicemente io (me medesimo) non ho mai udito.
da qualche tempo muovo passi a ritroso, indietro nella storia della musica, attraversando il prewar folk e proseguendo oltre fino ai primordi del jazz e all’impero dei 78 giri. tutto materiale oramai privo di qualsiasi diatriba inerente al copyright e soprattutto a me assolutamente sconosciuto. una novità insomma, nel senso sopra esposto. e proprio tentando di capire fino a quali albori dell’incisione sonora mi potessi spingere, mi sono imbattuto nel sito di questa etichetta.
Archeophone Records ha uno slogan che da solo vale il biglietto: songs you thought were lost forever. io questa la chiamo meraviglia. perdere quella buona mezz’ora a sfrucugliare titoli e pagine, ad ascoltare e ordinare da quel sito io la chiamo gioia privata. i titoli arrivano giusto alla quarantina, ma come un novello Ali Babà e suoi adepti, mi gongolo nel ritrovare tesori nella caverna cava del tempo. vecchi piani ragtime preparati, rulli preincisi e voci dall’oscurità convessa di un megafono. tutto fritto e restituito con quell’inequivocabile gracchiare di puntina ed eco fascinoso. L’orchestra di King Oliver, quella di Art Hickman, Arthur Pryor e Wilbur Sweatman. Marion Harris, una vera protodiva del fonografo. le voci di Nora Bayes e Jack Norworth e quella di Bert Williams. il piano accordeon (?) del nostro oriundo Guido Deiro.
George W. Johnson, il primo afroamericano ad incidere, lo si può trovare in una delle tante compilation dell’etichetta, forse una delle più interessanti dal punto di vista storiografico, Lost Sounds: Blacks and the Birth of the Recordings Industry, 1891-1922. basterebbe la copertina per suscitare una curiosità insanabile. un doppio cd (54 brani) da udire ad occhi chiusi. un secolo a ritroso, a perdifiato per tornare all’incanto dei pionieri e alla fine dell’oralità. tutto cominciava e finiva lì, tutto ciò che sarebbe stato prendeva definitivamente una direzione. riscoltarlo oggi quasi commuove.
ritengo imperdibili anche i cilindri di Thomas Lambert nell’era impensabile della riproducibilità, tutti recuperati e raccolti nella curiosa raccolta The Pink Lambert. e, forse per farci sentire definitivamente il salto temporale che cerchiamo di coprire, non mi risparmierei un sorriso nel sentire ciò che verso la fine del ‘800 era ritenuto indecente…
“New York City, 1896. A man walks into a bar. He sits down, orders a beer, and laughs long and hard at the bartender’s newest story. It’s a good tale, though a bit too bawdy to repeat at home. The next day he goes into the same bar, gets his beer, and drops his change into a phonograph. He’s listening through rubber tubes to a man telling a story similar to the bartender’s. Without warning Anthony Comstock’s defenders of decency charge into the bar, push him aside, destroy the record, and escort the bar’s proprietor to jail for promoting indecency.”
Actionable Offenses: Indecent Phonograph Recordings from the 1890s offre queste e molte oltre buffe indecenti curiosità. tutti dischi per una piccola vertigine sonora, un tuffo nel flusso del tempo, un souvenir dall’altrove, da luoghi sepolti e oramai irraggiungibili. i primordi del suono assurdamente paiono sorpassarci e attenderci ancora più oltre a bordo di una curiosità insaziabile e di verginità preservata.
e per adesso i ragazzuoli depressi in frangetta e i loro tre accordi possono attendere…
..mi chiedo come fai a trovare il tempo di sfrucugliare così voracemente e velocemente nello “zimbaldone”.
…ammetto un pizzico d’invidia!
Io mi convinco sempre più che qualsiasi cosa incisa dopo il 1950 (con le eccezioni di Giamaica, Etiopia, Germania e New York) sia una perdita di tempo. Ben venga la Archeophone Records, per Catone il Vecchio!
e noi ‘sfrucigliamo’ in cotanto debordante sapere!
pensavo che ‘pre-war’ si riferisse alla seconda guerra mondiale e non a quella Franco-Prussiana, me tapino!
caro Hrudi,
nel nostro caro idioma dialettale si direbbe… (tento una corretta grafia)
a sò cùrios còma una sèmia!
o come dicevano pietre rotolanti: I’m a monkey!
Hank, solo una questione: cosa salveresti della Germania post 1950 a parte Paul Breitner?
Diego, il futuro è alle spalle, ricorda!
Che domande, “Rastakrautpasta” di Moebius & Plank!
…che sciocco io, a chiedere!
Mi domando solo quanto dovremo aspettare per ritrovare finalmente un po’ di interesse nei confronti del tempo presente. Perche’ anche a me l’indie sembra vecchissimo e questi archeofoni molto ma molto freschi.
sono d’accordo Fabio, e non sai quanto…