chissà quanti altri dischi come questo restano nascosti nel passato in attesa di venire riascoltati (scoperti), compresi ed accolti come pellegrini sperduti dell’epopea della musica del ‘900? mi auguro molti!
1970. Appleford, Berkshire.
nella campagna inglese, dietro ad una residenza di campagna (Manor Farm), quattro ragazzi convincono i manager dell’etichetta Dawn (sussidiaria della Pye) a trasportare un registratore mobile per incidere quello che sarà il loro primo disco. la scusa parve essere inerente ad una mancanza d’ispirazione procurata dallo spazio angusto di uno studio o piuttosto da un disagio claustrofobico e crescente che inficiava la già fragile vena creativa del gruppo. riuscirono nell’intento, nacque l’omonimo Heron.
Roy Apps, Tony Pook, Gerald T. Moore, Stephen Jones i nomi dei quattro formatisi un paio di anni prima nella cittadina di Maidenhead. il folk e la poesia come sogno, Dylan e la Incredible String Band come mentori. si conobbero frequentando il Dolphin Folk Club e di lì a poco possedevano già un loro stile e una loro ragione sociale. prima un singolo e poco dopo l’occasione del debutto su long playing. probabilmente la tecnica di registrazione va annoverata fra i primi esperimenti del genere e di certo antesignana di molto che accadrà dopo con intenti assai più programmatici. di fatto resta sbalorditivo come questo approccio acustico degli strumenti si mescoli con il suono della campagna inglese, fra cinguetii e stormir di fronde, chitarra, piano e mandolino. un suono “aperto” (mi si conceda), dilatato. un folk costruito su melodie immediatamente “appiccicose” e attitudine corale. una giusta equidistanza fra folk acido, canzone d’autore americana e pop a venire.
13 piccoli gioielli di ingenuità e semplicità. un folk gentile, agreste e pastorale. l’altra faccia pulita della luna di Nick Drake. perchè se proprio si volesse procedere per assonanze e paragoni si dovrebbero tirare in ballo i primi Garfunkel & Simon o più probailmente Crosby, Still, Nash & Young in salsa inglese. Cat Stevens che guarda da dietro i vetri della magione. organo elettrico e sovrapposizione di voci, e poi un mandolino da Appalachi e ballate a rischio melassa dolcissima. gradevole, godibile e colpevolmente omesso da molte storiografie o compilazioni con pretese di completezza. il disco non ebbe tutta la fortuna che avrebbe meritato, forse perchè fuori tempo massimo, forse perchè i tempi già erano maturi per altro. seguirono altri dischi ma la stagione parve prematuramente finita e l’oblio pronto ad accoglierli. oggi un’etichetta da loro fondata, la Relaxx, tenta di preservarne memoria e materiali.
a quell’etichetta si può fare riferimento per acquisti, ad altre e ben più piratesche maniere si può ricorrere altrimenti oppure rincorrere come un segugio una versione in vinile che presumo costosissima ma che porta sul retro in bella misura questa foto che da sola immortala la piccola meraviglia che furono gli Heron.
io, come sempre, consiglio…
Bella dritta Marco
mentre scrivo son gia’ partite le prime affascinanti note di questo disco.
Questa Storia ne ricorda un’altra molto simile.
Piu’ o meno negli stessi anni, dall’altro capo dell’oceano un’altro disco meraviglioso vedeva la luce fra mille peripezie .
Anche quello fu presto inghiottito dall’oscuro buco nero del tempo
Ma qualche anno fa’ qualcuno ha riportato alla luce quella gemma preziosa.
Gary Higgins : Red Hash 1973 (ristampa Drag City 2005)
credevo che non subissi il fascino dei capelli lunghi
Caro Punck,
Gary Higgins non mi era sfuggito e la ristampa recente gli ha restituito un poco del mal tolto. credo che in quegli anni parecchie piccole perle siano rimaste sepolte dal polverone incombente del nuovo e dalla fine del decennio d’oro della musica.
sarà un piacere riscoprire…
n.b. perchè parli di altra sponda del’oceano? Higgins mi risutava british pure lui, magari sbaglio!
capelli lunghi non porta più,
non suona la chitarra….
a me risulta americano (Connecticut)
e questo aumenta il fascino….visto che suona decisamente “inglese”
Connecticut, giusto!
ma più inglese di un inglese, davvero!
ho trovato un’interessante ed approfondita intervista!