Intorno alla definizione di Classico

uno dei diletti di un blogger (almeno dello scrivente) è quello di avvertire, dal fondo della caverna buia del net, una eco tornare flebile eppur distinguibile senza timore d’errore. percepire che neppure laggiù (o lassù), come qui fuori, si è soli. avvertire distintamente la creazione di una consonanza, di un sentire condiviso con sodali blogger per certi versi sconosciuti. sconosciuti al punto che si ci trovassimo in uno stesso vagone di treno non sapremmo riconoscerci pur avendo discusso e diviso molto. resta però la sensazione di passeggiare in sentieri calpestati di fresco. mi sono chiesto spesso se fossero le strade esigue, e quindi costrette, o se invece la determinazione delle nostre scelte conducesse ad un senso più nobile e alto . ossia: il pesce rosso è conscio che il suo mondo è limitato alla sola bolla piena d’acqua? oppure: è giusto pensarsi vicini e simili per aver amato il medesimo disco, libro o film?
ho detto spesso a Fabio di essere sorpreso di medesime traiettorie e di contigui camminamenti e per questo non mi sorprende l’ennesima (non)coincidenza. ragionavo attorno alle definizione di classico ascoltando l’ultimo lavoro di Keith Jarrett e Charlie Haden per l’ECM (Jasmine), ed ero ben disposto a verificare le felici teorie di Italo Calvino mutuandole dal concetto letterario a quello musicale.
il suo post dice (non dicendo) assai di più di quanto tentavo di esprimere. una manciata di standard eseguiti nel clima intimo e rilasciato dello studio casalingo di Jarrett restituiscono l’incanto di una musica imprendibile per definizione, così come i classici.
confesso di non poter eleggere Jarrett fra i miei artisti preferiti, pensando primariamente al lato umano e successivamente alla grande carriera che gli splende dietro l’aureola e così andavo cercando un paragone con un pianista assai più giovane che vede uscire il suo nuovo lavoro in concomitanza del maestro.
Brad Mehldau si cimenta nel  doppio e ambizioso Highway Rider (Nonesuch, 2010) a metà strada fra jazz e sinfonica urbana da camera. elegante colonna sonora di private intimità e percezioni (ancora) di classicità conforme a canoni occidentali condivisi. i raffronti con Jarrett sarebbero tanto ingiusti quanto sbagliati, ma credo che ciascuno, in cuor proprio, esprima preferenze. di certo, con leccornie concomitanti come queste, bisognerebbe riempire le dodici mensilità annue.
così, per non tornare su medesime parole già affrontate da Fabio, ho rivolto il mio pensiero alla possibilità di applicare il concetto di classico all’opera, oramai ventennale, di Will Oldham e di Bill Callahan. confesso di non aver seguito attentamente il debutto delle due carriere perché affaccendandato, negli anni ’90, a vivere e frequentare il passato musicale che fu. così, curiosando in rete giungo a conoscenza di una mutua e sghemba collaborazione dei due eroi in questione.
arrivo ultimo? lo sapeva chiunque masticasse l’abc del songwriting alternativo?
dietro l’omaggiante ragione sociale di The Sundowners, nel 1993, uscì un ep dal titolo Goat Songs: a dividersi microfoni e chitarre i due suddetti immersi nel lo-fi acerbo e sgangherato di quegli anni. fa capolino persino una cover dell’amato Cohen a testimoniare che i sentieri finiscono (fortunatamente) sotto i medesimi passi.
qualche anno più tardi (1996) esce pure un seguito al medesimo nome (The Sundowner) e dal titolo The Girl With The Thing In The Hair. a quanto sembra è il solo Callahan ad occupare la scena e un paio di brani (e video), e una copertina memorabile, sono quanto ci è dato di sapere.
avrei scritto di questo, ma un post (e una compilation) acuto e puntuale di birdantony sul suo Almost Blue In Reverse hanno sapientemente innalzato Oldham a quel ruolo di classico di cui andavo cianciando e reso inutili le mie parole. lo ringrazio qui per pensarmi degno d’ascolto e chiedo a lui di questi Sundowners di cui ignoravo l’esistenza. e se fosse che arrivo davvero ultimo provo a sdebitarmi allora con due cover che i nostri hanno inciso per aiutare la convalescenza di Chris Knox (e ci sono pure i Lambchop).
“bruciati” così gli argomenti di cui volevo parlare mi dedicherò a due primizie che non so se diventeranno mai classici, ma che di certo hanno intenzioni serie di ingombrare rumorosamente questo 2010. dopo averli finalmente visti dal vivo l’anno scorso, e dopo aver letto articoli straordinari, ecco finalmente giungere l’atteso quarto lavoro per quei Konono N°1 dal minaccioso titolo di Assume Crash Position (Crammed, 2010).
contagiosa mistura urbana e lamellofona di distorsione metallica e frenetica: se fuori dall’atmosfera qualcuno potesse percepire qualche suono provenire dal globo terracqueo mi piacerebbe potesse essere questo. così magari pensa che ci stiamo pure divertendo. il disco sta mettendo a dura prova i miei woofer e e le mie trombe di Eustachio, ma sono torture che inducono il sorriso ebete stampato in faccia.
l’altra primizia assomiglia ad uno strano incubo ad occhi aperti. osservando bene la copertina qui a fianco e immaginado l’utopia irrazionale di una Anarchist Republic Of Bzzz è bene che io giunga a svelare chi alberga dietro questo suono burroughsiano e/o orwelliano. SeB eL ZiN all’amministrazione generale, Arto Lindsay ministro delle finanze, Sensational alla Difesa dell’Interzona, Marc Ribot alla Ricerca, Mike Ladd alla Giustizia e Kiki Picasso alla Propaganda. un delirio uscito solo in vinile per la Sub Rosa e che al contrario dei Konono, assomiglia più al suono che farà il mondo in prossimità dell’implosione, e non il contrario. non diventerà un classico e meno che non prenda il potere questa repubblica anarchica e venga ridiscusso ogni concetto in toto.
nella fiduciosa attesa della rivoluzione ripenso ai concetti masticati alla rinfusa e auguro un “classico” buon fine settimana a chi ha avuto la bontà di giungere fino a qui.

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0 risposte a Intorno alla definizione di Classico

  1. Fabio scrive:

    Tra le osservazioni di Calvino, che molto appropriatamente citi, direi che “I classici sono libri
    che quanto più si crede di conoscerli per sentito dire, tanto più quando si leggono davvero si trovano nuovi, inaspettati, inediti” e’ quella che piu’ di ogni altra si adatta sia a Jarrett/ Haden che agli standard jazz che ri-interpretano. Crediamo di conoscere molto, e invece se ci scrolliamo di dosso questa convinzione ci rendiamo conto che c’e’ ancora molto da (ri)scoprire.

    Poi certo, i classici non possono diventare un alibi per perdere contatto con il presente, ma da questo pericolo mi sembra che tu stia a distanza di sicurezza, come dimostra la chiusa del tuo bellissimo post.

    • borguez scrive:

      il presente continua ad interessarmi, e di questo, a volte, mi stupisco.
      avrei più di un buon motivo per rinchiudermi nei miei “classici” ma credo di essere (quasi a mia insaputa) un inguaribile idealista con devianze ottimiste.
      il disco di Jarrett/Haden è di una consolazione straordinaria per chi continua a guardare avanti sapendo perfettamente da dove viene e cosa del passato non potrà smettere di amare. credo si metterà di diritto nella lunga fila di dischi che mi accompagnerà di qui in avanti.
      Calvino lo sapeva dire meglio: e tu lo hai puntualmente sottolineato.

  2. birdantony scrive:

    beh, questa tua meriterebbe una risposta articolata e meditata, insomma mi occorrerebbe del tempo che in questo fine settimana non ho. La rimando a giorni migliori però e ti chiedo, che non ho ben capito, se il progetto oldham/callahan lo hai solo letto sul web o sei riuscito a rimediarlo in qualche modo. nel primo caso fammi un fischio! 🙂

    • borguez scrive:

      ti faccio un fischio nel secondo, nel senso che i dischi ci sono ma vorrei delucidazioni ulteriori sull’autencità e sull’accreditamento ai due in questione.
      il secondo (The Girl With The Thing In The Hair) vede il solo Callahan in solitudine, a quanto pare.
      per chi ha crisi d’astinenza (come me) per nuove canzoni dei nostri due ritorno a consigliare l’album di cui sopra. la cover eseguita da Callahan è straordinaria.
      ribadisco: bello vivere lo stesso tempo di Callahan e Oldham!

  3. hal scrive:

    @birdantony
    ma se si clicca sulla lista in rosso, i lavori di cui si parla sono già disponibili.
    o forse ho capito io male

  4. odradek scrive:

    Però Jarrett/Haden son già scomparsi…
    Questi due link sembrano invece ancora attivi:
    http://hotfile.com/dl/42378420/6458f5b/Keith.html
    http://hotfile.com/dl/42378410/b35cc63/Keith.html

  5. odradek scrive:

    Il file che mi ha depositato sul desktop, però, è sconosciuto alla macchinina che non riesce ad aprirlo…

  6. odradek scrive:

    Non dire cosa? 🙂
    grazie

  7. birdantony scrive:

    ok, sono un po tardo scusate e non avevo capito che quelli rossi erano link! 🙂 ad ogni modo sui sundowners non ho moltissimo da aggiungere se non che trattavasi di un progetto parallelo di due talentuosi in via di formazione. hai anche colto bene il fatto che ‘goat songs’ fondamentalemente è roba oldhamiana e callahan è come un membro aggiunto dei palace brothers, viceversa ‘the girl..’ è roba callahaniana (e vai coi neologismi stucchevoli!) al 100%. Esiste poi una terza uscita discografica dei sundowners, sempre datata 1996 un singolo in vinile dal titolo (fantastico!!!) di ‘singing death chants to the stars’ che però è oltremodo difficile assegnare all’uno o all’altro e sembra casomai qualcosa di avant in tutti i sensi. here it is, anyway:
    http://www.mediafire.com/?wdwdy2mzidj
    magari ne parlerò anche con due miei carissimi amici inglesi fan sfegatati di entrambi, del tipo che si vanno a vedere tutte le date in inghilterra dei rispettivi tour, e se emergono particolari o ulteriori sfiziosità non mancherò di fartelo sapere! io mi ricordo una delle ultime volte che ho visto oldham, mi pare a cesena un paio di anni fa, quando praticamente senza scaletta ha fatto un concerto con tutte o quasi canzoni su richiesta del pubblico. dunque è davvero bello vivere al loro stesso tempo. confermo!

  8. borguez scrive:

    lo è, eccome se lo è
    la cosa curiosa è che ascoltavo la canzone proprio stamane estrapolandola da questo bel tributo.
    mi fanno sempre un po’ sorridere gli americani che cantano in spagnolo, ma al principe si perdona (quasi) tutto.
    a quando una tua playlist del principe che fa le cover?

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