Kendrick Lamar
To Pimp a Butterfly

continuo a credere che una delle fortune di questo blog sia quello di avermi fatto incontrare persone, di avermi aiutato a stanare altri ammalati conclamati di musica e di storie che la riguardano. negli ultimi tempi poi queste persone hanno iniziato a dialogare raccontandomi delle loro musiche, suggerendo ascolti e spingendomi in territori da me inesplorati. come Nicola Altieri che mi sobilla appassionatamente verso i suoni che ama con la stessa febbre che riconosco e dalla quale (tanto lui, quanto me) non si vuole guarire. Nicola ama ascoltare e ama scrivere (e scrivere bene aggiungo), e così, a partire da questo post, frequenterà le pagine di questo blog quando ci sarà da raccontare di musiche cariche di passione (la sua) come quella di questo disco con cui inaugura le sue cronache.
benvenuto,
borguez

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Kendrick Lamar To Pimp a Butterfly

Mai giudicare un libro dalla copertina. Oggi più che mai del resto le copertine nessuno le osserva, essendo la parola divenuta liquida e digitale tanto quanto la musica. Ed invece no. Chiunque abbia passato del tempo in quei polverosi e vetusti luoghi chiamati negozi di dischi, sa quanto una copertina sia, per chi scava tra i vinili, come un luccichio che affiora dal terreno per il cercatore d’oro. La luce infondo alla ricerca, il primo segno di una folgorante e spesso inattesa scoperta.

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Foto in bianco e nero. La Casa Bianca sullo sfondo, un manipolo di afroamericani ammassati uno sull’ altro, con facce tra il festante ed il riottoso, in mano mazzette di soldi e bottiglie di liquore, in primo piano, schiacciato dalla folla, il cadavere di un giudice, al centro un ragazzo sorridente con in braccio un neonato.
Rabbia e divertimento, rivolta e festa, successo ed autolesionismo. Un popolo e le sue contraddizioni ritratti in un singolo scatto. La presentazione di un disco che delle forti contraddizioni fa una dichiarazione d’intenti fin dall’ispirato titolo: To Pimp A Butterfly (Top Dawg / Aftermath / Interscope, 2015) letteralmente “far prostituire una farfalla” ma in altra accezione anche “portarla al successo”.

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L’America nera del dopo Ferguson, del dopo Trayvon Martin, del dopo tutti i ragazzi neri uccisi dalla polizia, un’ America che soffocata prova rabbiosamente ma lucidamente a respirare nelle parole di un ragazzo nato quando nei negozi usciva il primo disco dei Public Enemy, che andava a scuola quando 2Pac era un’icona pop e che oggi si carica tutto e tutti sulle spalle con coraggio, follia ed un ego smisurato, l’ego dei fuoriclasse. Kendrick Lamar, il ragazzo sorridente con in braccio un neonato, carica dritto e a testa bassa prima di tutto contro se stesso e contro il suo popolo, con rime colme di metafore dal taglio mirabilmente in equilibrio tra urgenza di strada e cultura alta, una retorica pittografica con un cuore autocritico prima ancora che accusatorio, per nulla celebrativo, pieno di dubbi ed insicurezze. Un cuore pulsante al ritmo di un funk puro e swingante, diretta emanazione di un ritorno fieramente e furiosamente “Afro” in certa musica black contemporanea, dal recente Black Messiah di D’Angelo alla deriva jazz di Flying Lotus. Un suono che scivola via ora suadente, ora graffiante e tagliente, mai davvero indimenticabile, non certo brillante o originale ma coeso e vitale, innervato da un flusso di parole che legano e travolgono tutto. Hip-Hop come stile espressivo nella messinscena di una tragicommedia sullo stato delle cose, sul pessimo stato delle cose.

Se Nudo E Crudo di Eddie Murphy fosse stato un disco sarebbe stato questo disco. Se ‎2Pac avesse fatto un disco con i Public Enemy sarebbe stato questo disco. Una carezza ed uno schiaffo, un bacio ed un cazzotto. Il sussurro nell’orecchio prima della spinta nel fosso.
(Nicola Altieri)

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4 risposte a Kendrick Lamar
To Pimp a Butterfly

  1. LYSERGICFUNK scrive:

    Dopo gli album di Theo parrish e di D’angelo, un altro tassello nell’evoluzione della Black music

  2. SigurRos82 scrive:

    Wow. Proprio quello che mi ci voleva. Grazie amico 🙂

  3. borguez scrive:

    direi un grazie a Nicola Altieri che ha saputo e (giustamente) voluto raccontarlo.

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