Matthew Herbert One One

fino all’altro ieri Matthew Herbert ha rappresentato uno di quei vicini di casa di cui si ricordano a malapena volto e abitudini ma che non si può certo dire di conoscere. voci di vicinato e chiacchere da ballatoio carpite involontariamente mi raccontavano, mio malgrado, delle sue frequentazioni, diverse dalle mie, ma rispettabilissime e apprezzate dal quartiere. produttore, dj, remixer e piccolo elfo alchimista di suoni che hanno abitato gli ultimi quindici anni di dischi sentiti, conosciuti ma non certo approfonditi. in più, eteronimi e moniker complicavano vicende e genealogie, ed io – è bene ammetterlo – mi sono leggermente disinteressato del vicino educato accrescendo la reciproca indifferenza.
poi mi giunge notizia di una sua trilogia in procinto di pubblicazione su etichetta Accidental, e i particolari del progetto mi hanno incuriosito. One è il titolo attorno al quale verterà tutta la questione: del primo episodio One One ne disquisirò più sotto, il secondo One Club (in uscita a giugno) consisterà nell’assemblaggio di suoni ambientali carpiti in una notte presso il club Robert Johnson di Francoforte, mentre l’ultimo, dal titolo One Pig (uscirà a settembre) prevede un excursus di field recordings registrati attorno alla vita di suino in una fattoria del Kent (e a quanto pare è tutto vero).

dunque One One è l’esaltazione dell’individualità del nostro eroe che prende in mano la questione e combina tutto da sé. suona, assembla, produce ma soprattutto canta spiazzando fans e calpestatori di dancefloor. questa è la sorpresa: il vagito primordiale inatteso che trasforma la consueta materia (dance? techno? synth?) in quel qualcosa d’altro cui sarà bene comprenderne la portata. in una recensione assai più consapevole della mia Marco Bercella ha definito queste 10 creature digital ballad metropolitane, e debbo dire che potrei pure sottoscrivere la sua opinione, ma avverto altro e annuso sentori di nuovo.

si provi ad immaginare una dance liofilizzata e scheletrizzata nella sua essenza a cui vengono rallentate e dilatate le sinuosità e reso languido il groove. a questa vi si aggiunga una voce oziosa e pigra che sussurra con fare di Canterbury vicende umane di quartiere, intime e discretamente urbane. si pensi il tutto concepito con la maestria dei bravi artigiani e con la misura che hanno le cose leggere ed ecco servito uno dei dischi più spiazzanti di questo tempo.
i brani portano nomi di cittadine e metropoli che forse disegnano una mappa di un suono oramai globale, di un qualsiasi club in una qualsiasi notte stracca di qualsivoglia città; ma posso assicurare che si confanno pure all’uopo intimo e privato, dentro una vettura guidata nell’oscurità o nelle beneamate camerette.

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=mjunK37tOG4]

furbescamente il singolo di lancio Leipzig è quello che più ammicca alla dance o alle radio fm del pianeta, ma posso rassicurare gli scettici che il disco conduce in tutt’altre direzioni. mi sbilancerei nell’affermare che siamo di fronte ad una piccola pietruzza miliare di questi anni che dovremo definire ’10, qualcosa che inevitabilmente si porrà a paragone od esempio. di certo varrà la pena di seguire gli altri due passaggi della trilogia, non foss’altro che per le premesse attorno ai suoni suini o alle intercettazioni ambientali dei branchi umani. è anche per questo che la vicenda prosegue nei commenti e più oltre su questo blog.

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