“Contro il logorio della vita moderna il tonico Aubry continua a funzionare a meraviglia. (…) Aubry è rimasto tra i pochi a saper fermare il mondo almeno per un istante.”
(Piercarlo Poggio, Blow Up #188 Gennaio 2014)
con queste parole si apre e si chiude la recensione di Piercarlo Poggio a cui affido il compito di dire parole definitive sull’artista francese ed il merito di non averlo perso di vista in questo mare magnum di uscite discografiche e di artisti (raramente all’altezza di Aubry). perché Aubry, vuoi per innata scaltrezza o nobile eleganza, è uno di quei personaggi che tende a defilarsi e a far perdere le sue tracce: per trovarlo bisogna cercarlo (pare banale ma non lo è) negli interstizi della rete e negli angoli più reconditi di quest’Europa che ama distrarsi.
succede così che volutamente mi reco sul suo sito; perché mi dico che da troppo non ho sue notizie e che un nuovo disco farebbe all’uopo (vuoi come balsamo o come tonico, appunto), e per nostra fortuna eccolo lì il nuovo disco di cui quasi nessuno si è accorto, escluso Piercarlo Poggio naturalmente… e anche me. dunque si procede all’acquisto pressoché a scatola chiusa, perché delle persone scaltre e schive ci si fida eccome, almeno da queste parti.
Forget Me Not (René Aubry/Believe Digital, 2013) è in realtà un ritorno ad una colonna sonora teatrale che già compose il musicista loreno per lo spettacolo Ne m’oublie pas (1992) dell’autore Philippe Genty. 7 attori in scena a danzare e muoversi coordinati dalle musiche di Aubry: ora succede che alcuni allievi di Jacques Lecoq chiedono a Philippe Genty di poter riportare in scena lo spettacolo in quel di Verdal, nord della Norvegia. Genty acconsente e quando viene a chiesto ad Aubry di poter utilizzare le musiche di scena lui decide invece di comporne di nuove appositamente per il moderno allestimento, le persone scaltre e schive riservano sorprese inattese.
ambientazioni cinetiche a sottolineare i movimenti degli attori (che nel frattempo sono diventati dodici) che si muovo assai più dinamicamente rispetto alla pièce originale, ma non è di uno spettacolo non visto che mi metterò a parlare. delle musiche però è giusto dire che sono impastate con pianoforte, chitarre e mandolini, compare qua e la un banjoline ed un cuatro, un carillon e un sax (sporadico) che s’infuria, poca elettronica per mescolare il tutto e tanta eleganza per mantenere la leggerezza delle composizioni preziose. vi è anche una lingua maccheronicamente nordica che nulla significa ma che sottolinea coralmente i passaggi dei balletti.
ennesimo saggio di bellezza e bravura (non ce n’era bisogno Monsieur Aubry) per alcune composizioni che meritano certamente di uscire dal semplice ruolo di colonna sonora: la grande musica europea è tale quando è capace di coniugare il colto ed il popolare, la semplicità di un ritmo folclorico con l’esile struttura di una costruzione armonica. René Aubry è capace di fare ciò, di creare quel tonico in grado di ricostruire lo spazio privato di un’intimità da difendere da quel logorio di cui sopra; come aprire ed annusare un libro, mescolare un caffé o spegnere il mondo di fuori.
mi verrebbe da dire bentornato se non fosse che René Aubry non se ne è mai davvero andato, si è semplicemente defilato come fanno spesso le persone scaltre e schive.
buon ascolto
René Aubry Forget Me Not
Grazie mille !
Splendido, grazie!!