credo sia capitato a tutti di invaghirsi di una canzone, di un disco o anche solo di un refrain che, se analizzati “clinicamente”, non potremmo definire con certezza la nostra tazza di thé! una specie di anomalia del gusto, uno scollamento. qualcosa che ci attrae malgrado parecchie caratteristiche proprie di quella musica parrebbero propendere a suo stesso sfavore. ma ci piace, e forse non sapremmo neppure dire bene il perché! circostanze generiche o attenuanti, esche che vanno a pescare nell’insondabile e profonda memoria udutiva, un tono che fa vibrare il diapason personale! chissà?
a me successe qualche anno addietro con un disco di Richard Hawley. si chiamava Cole’s Corner ed era il 2005. lo ascoltavo solitario e silenzioso senza confessarlo a nessuno, mi faceva stare bene, metteva pace. in quel tempo ascoltavo tutt’altro, ma quel disco inconsapevolmente ritrovava la via del lettore e ripartiva. io e lui, soli. non mi sono preoccupato allora di saperne di più: da dove venisse e dove andasse, quali gli ascendenti o il lignaggio! la voce di Hawley giungeva diretta senza compromessi con languide ballate oceaniche, dense, dilatate e blu! quella voce arrivava esattamente dove era facile arrendermi senza difesa, una voce da crooner, da cantante confidenziale radiofonico, intima e irrimediabilmente perduta!
come ho detto, non indagai oltre. certi arrangiamenti mainstream o certi (presunti) ammiccamenti al mercato mi allontanarono da quel disco. passai oltre, come spesso accade, ma la mia memoria elefantiaca, che si mette lentamente in moto solo per certe cose, annotò diligentemente quel nome a margine di qualche pagina. così, è bastato ritrovarlo in rete per riaccendere la curiosità non sedata!
Richard Hawley Truelove’s Gutter (Mute, 2009) è in uscita oggi, o domani, ma la rete, come si diceva, non sa attendere. e neppure io sapevo di attendere inconsapevolmente un disco come questo. a questo punto, tirato per il naso, sono andato quindi a cercare di saperne di più! le idee si sono un poco schiarite, messe a fuoco le coordinate. Richard Hawley vive probabilmente in un limbo fra la grande platea dell’industria discografica che lo accoglie fra amicizie influenti e anomalie lampanti, e l’underground (indie?) al quale, probabilmente, non appartiene per ascendenza o retaggio. ma la mezza via non giova al nostro che rischia l’oblio di entrambe le sponde!
Richard Hawley sa scrivere canzoni: su questo non credo si possa dubitare! sa scriverle e ancor meglio sa cantarle. la sua voce potrebbe ricordarne altre e assai prestigiose. le sue sono storie personali, amori, notturni moderni e languide malinconie e il disco elegante.
[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=oG6itlFun5A]
ma non posso fare a meno di pensare che cosa potrebbe essere stata questa manciata di canzoni con un diverso arrangiamento. un tappeto di seta alla Tindersticks, la chitarra nuda e sbagliata di Is a Woman o la struggente passione di The Boatman’s Call. la voce no, non l’avrei toccata, quella si nutre di sé stessa ed ha preziose parentele: qualcuno dice Scott Walker, altri citano l’Elvis più sdolcinato, di certo non mancano eleganza e stile. io avrei qualcun’altro in mente ma non voglio sbilanciarmi anche perché mi rendo conto di essere stato leggermente pedante e scorretto, di certo ingrato verso un artista sincero con il quale ho avuto una liaison segreta e un lavoro, questo, onesto e raro. otto ballate medicamentose che si adagiano lentamente su questo autunno incombente.