ritorno su un disco uscito un anno addietro (era il settembre 2014) ma che per sua natura non ha né l’urgenza dell’attualità e neppure le scadenze dei prodotti commerciali e, di conseguenza, del tempo si prende innocua burla. una burla però serissima, raccontata con la solennità di un’antica fiaba e trascritta con le magie dell’odierna tecnologia a cercare di rincorrere lo scorrere di un fiume, il peregrinare indomito di un popolo ed il flusso indefinito del tempo.
ma procediamo con ordine. Soundwalk Collective è il nome di un collettivo che risiede laddove New York e Berlino confinano e che è formato (ad assetto variabile) dal francese Stephan Crasneanscki, dall’americo-iraniano Kamran Sadeghi e dal nostro compaesano Simone Merli. mescolano sound art ed una irrefrenabile spinta dromomaniaca che li porta a girare il mondo con l’antico piglio etnomusicologico tenendoli al vento e ben lontani dalla luce malsana del laptop e dalle lande di soli pomelli e pulsantiere di cui son fatti mixer e marchingegni elettronici. registrazioni sul campo, ambientazioni reali e rincorse di sogni (che siano veri, epici o presunti) fanno accumulare una materia sonora che i tre rielaborano mescolandola, sovrapponendola, installandola o semplicemente godendone allo stato brado.
fra i vari progetti realizzati dal collettivo ve ne sono alcuni che sobillano la mia immediata curiosità ed alimentano la stima nei loro confronti: Ulysses Syndrome è il viaggio (reale ed) acustico nel Mediterraneo a ripercorrere e carpire la malìa sonora che accompagnò l’eroe nel suo ritorno ad Itaca, Killer Road (assieme a Patty Smith) una cogitazione poetica sulla scomparsa di Nico avvenuta ad Ibiza per un banale incidente ciclistico, Exile è la testimonianza (drammaticamente attuale) delle storie che attraversano i 14 chilometri di mare che separano Marocco e Spagna, mentre La Brûlure è il tentativo efficace ed evocativo di raccontare la canicola bruciante delle estati mediterranee.
il loro ultimo lavoro invece ha visto nel Danubio la traccia da seguire, il suo percorso tortuoso nell’Europa centro-orientale ed il racconto del popolo che, al di là dei confini nazionali, abita le sue sponde da secoli: il popolo dei figli del vento, il popolo dei gitani.
Sons Of The Wind (Asphalt Tango, 2014 PDF) è un viaggio sonoro attraverso Ucraina, Moldavia, Romania, Bulgaria, Macedonia, Serbia, Austria, Germania ad incontrare il popolo rom nei quartieri delle città o nei campi addossati alle sponde del grande fiume blu. un viaggio acustico ed un diario aurale a registrare i suoni del fiume e le voci ed i canti di un popolo che con il fiume condivide un percorso lungo e tortuoso attraverso le pieghe dei secoli a confondere origini e provenienze e a combattere uno dei più antichi pregiudizi radicati in quest’Europa incapace di farsi adulta e a comprendere la natura dei figli del vento. Soundwalk Collective ha stratificato diversi piani d’ascolto assommandoli e mescolandoli in un flusso indistinto che davvero assomiglia ad un mistero fluviale e ad un storia di esodi e migrazioni che ha cancellato le proprie tracce: registrazioni ambientali si innestano nelle voci del campo, nel brusio della festa, nel clangore del quotidiano, qualcuno canta, altri suonano, chi fuma, chi ridacchia e chi si sposta: non è ardito seguire lo scorrere di questa narrazione che come una pellicola da godere ad occhi chiusi trasporta le voci ed i suoni di quest’entità (nella più nobile delle accezioni) che si è innestata come una muffa nobile nella nostra corsa insensata verso un dissennato futuro.
mancano gli odori, il freddo umido del fiume ed il vento fra le fronde ma qualcuno a provato ad integrare per le nostre pupille alcune immagini a sottotitolare i suoni del disco.
il viaggio ha condotto il collettivo in alcune enclave storiche della storia dei rom europei, a Skopje (Macedonia) e più precisamente a Shutka dove un’intero quartiere è abitato da gitani stanziali e dove vive la regina unanimamente riconosciuta Esma Redžepova, o a Clejani (quante volte ne ho già scritto?) in Romania a registrare i Taraf de Haïdouks, e poi in Serbia ad incontrare Boban Marković. e poi i tanti nomi ed i tanti eroi della musica gitana sparsi attorno al fiume come sementi sul campo del mondo.
un souvenir sonoro da un non-luogo, da una storia imprecisa e contrastata, da uno scorrere imprendibile e indefinito: un suono ineffabile ed eppure assai preciso e carnale a ricordarci i volti e le esistenze di chi abita un pregiudizio malsano ed antico, a rammentarci dell’immagine che potremmo vedere riflessa sullo specchio d’acqua se fossimo capaci di ritrovare la faccia che abbiamo abnegato e l’umano in cui dovremmo riconoscerci.
buon ascolto e buon viaggio
Soundwalk Collective Sons Of The Wind
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