The Tiger Lillies Freakshow

il 2009 doveva per forza lasciare strascichi che giungessero come eco lontane su quest’anno; amnesie, bellezze sfuggite, distrazioni, atti mancati. e dunque eccone qui uno che incarna per antonomasia le molte altre sbadataggini in materia di dischi preziosi (perduti). The Tiger Lillies, per loro stessa natura, faticheranno a raggiungere una ribalta che li illumini ad occhio di bue ben visibili al grande pubblico. innanzitutto perché il loro terreno è variabile e multiplo, la materia che hanno per le mani ampia, ostica e atemporale, e in più sono poco raccomandabili, sconvenienti e scomodi, così come dovrebbe essere l’arte.
un trio acustico incarnato da Martyn Jaques, Adrian Stout e Adrian Hughes. anglosassoni in attività dalla metà dei ’90 e prolofici come criceti: quasi un disco ogni anno fra studio, teatro e live. ma la ribalta langue malgrado i teatri calpestati, i tour internazionali e una maestria d’altri tempi: il loro artigianato attinge a piene mani dal teatro della repubblica di Weimar, dall’opera e dal cabaret senza dimenticare la vocazione circense, l’opera buffa e il surrealismo dadaista. in più, e non guasta, sono capaci e valenti musicisti che sventolano il vessillo della presenza scenica e della voce dell’istrione Martyn Jacques; marchio indelebile e riconoscibile, vera e propria cifra di queste tigri trasversali.

per chi ama i concept album (io alzo la mano) questo vaudeville circense potrebbe davvero rappresentare una lieta delizia. l’idea è quella antica e mai sfiorita di Phineas Taylor Barnum: raccogliere e mostrare le deformità, le stranezze e le brutture come fossero epifaniche meraviglie di cui ridere, emozionarsi o ritrarsi offesi. in realtà è il gioco dello specchio rivolto verso il pubblico che (ignaro) addita il freak ridendo infine di se stesso e dei suoi simili.
Freakshow (Misery Guts Music, 2009) è quel piccolo tendone delle meraviglie sotto il quale si accampano una ventina di ritratti grotteschi: la donna serpente, la grassona, l’avaro, il nano e quello con tre gambe. l’immortale, il cappelluto, l’orribile e anche Normo; tutti assieme raccontati e derisi, compianti e adulati.
per rallestire tutto questo si sono arrangiate canzoni travestendole di cerone, cipria e belletto, trasportando l’ispirazione dai balcani alla Francia, da Weimar alla Transilvania passando da Broadway. sarà difficile tenere fermi punti di riferimento che possano raccontare la diversità di queste composizioni che spogliate mostrano indecente bellezza: la voce di Martyn Jacques dondola come un trapezio dalle raucedini di Vysotsky alle delizie (mezzo)sopranili di Baby Dee passando per il tono naturale di un cantautore adulto e consapevole. ballate, polke e valzerini ebbri e sconvenienti, ogni ritmo atto all’uopo di raccontare delle brutture e delle debolezze del genere umano, senza mediazioni, pillole indorate o lusinghe.

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molto probabilmente non vi sarà una singola nota di questo lavoro che sembrerà inaudita proprio perchè la commedia dell’arte e il teatro sono più vecchi di chi scrive e di chi ascolta. a tal proposito loro le hanno propriamente battezzate OdditiesA carnival of oddities, but who is the freak, them or YOU? questo è il problema! nell’attesa di darsi un risposta che temo di saper già mi fermo per la replica che ricomincia proprio ora. un loro tour italiano pare un miraggio e dunque è bene accontentarsi di questa manciata di canzoni gettate sulla pista fra la segatura e il sipario.

The Tiger Lillies Freakshow

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