the glory of love

Mentre penso a quel capolavoro che e´ Coney Island Baby di Lou Reed, mi concedo un copiaeincolla da un articolo di Nicola Bertasi apparso qualche giorno fa sul manifesto…

Un viale del tramonto chiamato Coney Island

Coney Island è una striscia di terra che rifinisce New York e apre verso l’oceano. Se si guarda la cartina della metropolitana, si direbbe che è l’estremo lembo di Brooklyn, visto che è attaccata al grande quartiere. Ma non è così. È una finta isola, un finto luogo di frontiera, una cosa diversa migliaia di anni luce da New York per il suo modo di essere e per la sua stramba storia. Qui i newyorchesi amavano divertirsi e giocare d’azzardo. Nella storia della città, il più antico parco divertimenti d’America occupa un posto di grande importanza, vi è nato il sogno americano in qualche modo e ha prosperato per tanti, tanti hamburger. Dà i brividi oggi Coney Island, è così cambiata negli anni, fino a diventare il posto che accoglie obesi americani senza soldi, comunità di russi espatriati, bambini-nike e catene di negozi in franchising. Il destino dell’America, che aveva promesso panem et circenses a tutti, sembra inscritto nelle lastre di legno marcio del lungomare. Quel lungomare che appariva brulicante di uomini bianchi ricchi, belli e rilassati nelle foto degli anni 50, oggi ospita enormi donne afroamericane distrutte da una vita newyorkese impossibile. Come nel film di Tati anche in America i ricchi si sono ritirati nelle grandi case profumate del Connecticut, lasciando la società a chi se la merita. Nella Francia di Mon oncle, però esisteva una società. Qui l’impressione è che se la siano portata via. Con le corse di cavalli, il marmo degli alberghi di prima categoria e naturalmente i soldi. Coney Island, da sempre in mano ai palazzinari, si è costruita ben presto la fama di parco divertimenti. Già negli anni ’30 dell’Ottocento i cittadini iniziavano a scoprire la due grandi qualità di Coney, essere vicinissima a Manhattan e avere l’oceano. Due cose fondamentali per chi viveva nella città già allora più congestionata del mondo. Stressati dal traffico e dalla noia metropolitana domenicale, frotte di newyorchesi iniziarono ad affollare le spiagge vergini, con pochi dollari e molta fame di distrazione. L’isola finta conobbe uno straordinario sviluppo alla fine del secolo e diventò in breve la capitale americana delle corse di cavalli e delle scommesse. Qui nascevano alberghi e resort ogni giorno. Le vecchie fotografie mostrano turisti in costume che lottano per un centimetro di spiaggia. La folla invedeva l’unica e originale New York’s beach. A Coney Island succedeva di tutto. Un certo Charles Feltman, uomo dalle misteriose attività un bel giorno decise di ficcare una salsiccia di maiale in un panino insipido. La chiamò Hot dog e pare abbia avuto successo. Pochi anni dopo, nel 1916 il signor Nathan, impiegato di Feltman fondò il primo fast food d’America, che chiamò Nathan’s Famous rubando al povero Feltman l’idea del cane caldo, e rivoluzionò a sua insaputa il palato e il gusto di mezzo mondo.Su un altro fronte si scatenarono feroci guerre fra costruttori, che si disputavano il titolo di miglior creatore di luna park. Steeplecheese, Dreamland e Luna Park (a cui si deve il nome tanto amato dai bambini) sono alcuni dei complessi di entertainment che spuntavano come funghi, sotto gli occhi di una folla che aspettava le meraviglie della promessa americana. I grandi magnate spendevano dollari a migliaia per abbellire e ingrandire Coney Island, sicuri della risposta dei newyorkesi. Le attrazioni di questi antenati di Disneyland erano effetivamente stupefacenti. C’era la ruota panoramica piena di luci, le corse di cavalli meccaniche, passeggiate con elefanti in carne e ossa, tunnel dell’amore, montagne russe, piscine strabordanti, e addirittura una ricostruzione di un villaggio del borneo, con tanto di ragazzini che fabbricavano lance da guerra. Gli innamorati si facevano fotografare in costume sulla spiaggia e all’ultima stazione della metropolitana di New York vigeva la regola della felicità tout court. Furono la Grande Depressione e l’incendio devastante del 1932 a cambiare le cose. La crisi economica svuotò le tasche e fece calare l’entusiasmo, il luna park diventò qualcosa di poco consono ai tempi. Quando le famiglie non riuscirono più ad arrivare a fine mese, Coney Island si trasformò in una grande mamma caritatevole. Impegnò i suoi fast food a fare prezzi popolari e accolse la working class affamata durante i week end. Poi nel ’32 improvvisamente bruciò tutto. Un grande incendio, probabilmente scatenato da un gruppo di ragazzini piromani, rase al suolo la città. Poco tempo per ricostruire e poi la guerra.Il destino di Coney Island era mutato. Da quel momento in poi divenne sempre più una sosta domenicale della povera gente di New York. Si spensero piano piano le luci dei locali e si affollarono le spiagge di facce felici in lotta per poter posare l’asciugamano. Con l’eclissi lenta dell’American Dream si consumò la decadenza di Coney Island. Come il sogno della felicità di milioni di americani andava a sbattere contro un muro così si esauriva la magia di questo luogo.Dopo l’undici settembre New York è cambiata molto. La gente ha più paura e si diverte meno. Nel centro si respirano i fasti della creatività degli anni passati; Manahattan è ancora incantevole. Un miscuglio di razze, colori e fantasia convivono in un ballo di contraddizioni insanabili, che solo qui riescono a trovare una sintesi. Ma è un’isola. È un’isola in America. E sempre di più un’isola a New York. Quando si mette il naso fuori dalle mura dell’isola incantata, si scopre che gli Stati Uniti sono un’altra cosa. Anche Brooklyn che termina con Coney Island sta diventando patriottica e nazionalista con le bandiere fuori dalle finestre e i punti di reclutamento dei soldati da mandare in Iraq. Sulla spiaggia di New York c’è un’atmosfera di decadenza culurale e di sfaldamento dei tessuti sociali. Sembra quasi che le conseguenze degli attentati minaccino di rendere monotona New York, piena di fast food, drappi e ideologia neocon. La città resiste nel preservare la sua anima anticonformista e battagliera, come afferma un vecchio pizzaiolo del Lower east side «I dont know what is America, I live in New York». Ma sulla spiaggia stanno sbarcando i «vicini di casa» del continente con land rover, indifferenza, armi e tanta paura.

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