qualche sera fa, durante una cena familiare, cercavo di convincere una quattordicenne a leggere Edgar Allan Poe adducendo ragioni che ritenevo valide o semplicemente perpetrando il desiderio di far conoscere ad altri ciò che un tempo mi colpì. ma nella discussione ho dimenticato di esporre la motivazione più importante: Edgar Allan Poe non è più da tempo soltanto un scrittore ma un paradigma di uno stato d’animo, di una condizione psico-fisica, di un mood dai contorni sfumati eppur così riconoscibile in quell’amalgama di mistero, paura e scura spiritualità. ed è forse per questo che bisognerebbe incontrarlo.
ci si mette sempre di mezzo il caso (a volergli proprio credere) e neppure qualche ora dopo quella cena, e dopo aver ottenuto la mezza vittoria di appoggiare i Racconti di Poe sul comodino dell’interessata, mi capita fra le orecchie un disco con una ragione sociale che riconduceva inequivocabilmente allo scrittore americano.
Annabel (lee) è il nome scelto da un duo transoceanico che vede lui, Richard E, nelle vesti di produttore e mutistrumentista d’istanza a Londra (ma nativo dello Yorkshire), e lei, Annabel, vocalist afroamericana in movimento (come un pendolo senza pozzo) fra New York e Los Angeles. Annabel Lee è anche il titolo dell’ultimo poema scritto da Poe prima della sua scomparsa, poema amoroso che accompagna l’amata dalla passione giovanile fino alla sua dipartita (Annabel Lee, 1849). è la stessa Annabel (la vocalist) a spiegare le ragioni del nome del duo raccontando di una passione adolescenziale per la poesia romantica classica, poesia mandata a memoria e recitata fino a condurla in uno stato sognante ed etereo.
i due si incontrano via myspace (ricordate?) e iniziano a collaborare sin dal 2010 fra una sponda e l’altra dell’Atlantico: i primi brani sono un poco fuori fuoco (e fuori tempo massimo) vagheggiando fra il jazz elettrico (scipitamente spirituale) e la lounge d’ambiente sintetico di un tempo che fu (ascoltare My Mystake per credere). col tempo comprendono che la passione adolescenziale di Annabel può avere una ragione (espressiva) d’essere e di seguito entrano nelle grazie di Jean-Claude Thompson (proprietario del negozio di dischi londinese If Music oltre ché trentennale talent scout e promotore dell’iniziativa SaveSoho a sostegno delle attività culturali e viniliche del celebre quartiere inglese). è grazie a lui che prende forma il debutto del duo licenziato dalla Ninja Tune in concomitanza del Record Store Day scorso.
By the sea… and other solitary places (IF Music/Ninja Tunes, 2015) evoca Edgar Allan Poe sin dalla copertina e certamente dal titolo (It was many and many years ago, In a kingdom by the sea…); ed una volta dato principio all’ascolto si può esser certi di essere giunti nel vestibolo di casa Poe (o Husher).
atmosfere trasognate, ipnotiche, oniriche, come se provenissero da grammofoni dimenticati: il desueto termine hauntology rispolverato e abitato dai fantasmi di memorie e da afflati remoti. la voce di Annabel non è immediatamente indimenticabile ma nell’ascolto del disco ci si rende conto che pare cantare in un vago stato di sonnanbulismo, come in preda ad un incantesimo privo di calde emozioni o picchi di pathos. una voce che si sdoppia, che sussurra, che declama trasognata e si appoggia su svenevolezze d’orchestra, arpeggi folk e echi lontani.
voci di sirene, fruscii di vestaglie, polveri gallegianti nell’aere e decadenze: ingredienti romantici a corredo di un’idea antica, di un’epoca passata ed immaginata per fotogrammi, oggetti in disuso o lettere di un amore che è sopravvissuto per iscritto agli amanti.
un autunno perenne che pare ciondolare fra alba e crespuscolo, l’autunno dei luoghi solitari (del titolo) e remoti, uno spleen spalmabile da indossare come lana infeltrita.
(1849) è la traccia che da sola vale il prezzo del biglietto: l’anno 1849 è contemporaneamente quello in cui fu scritto il poema Annabel Lee e quello della misteriosa morte di Poe. il brano arranca su un brandello di pianoforte ripetuto a vanvera da un grammofono incagliato, polvere ovunque, un contrabbasso illuminato, nastri che procedono a rovescio, orchestre che svolazzano melensaggini ed un flauto che fa da controcanto alle voci (raddoppiate) di Annabel finalmente libera di transumanare ben oltre lo stato di trance.
fuori stagione, fuori tempo e fuori contesto: insomma un piccolo disco imperdibile da condurre presso il mare sonante o in altri vuoti luoghi ameni. buon ascolto.
Annabel (lee) By the sea… and other solitary places
Mamma mia che incredibile folgorazione, non ne uscirò più da questo disco. Una sensualità dolorosa e spettrale.