All the freaky people make the beauty of the world!
(Michael Franti)
il mio uomo a Salonicco (di cui sarà bene non rivelare il nome) mi invia una delizia dall’inconfondibile aroma di anice mescolato al tepore olfattivo della macchia mediterranea. il nome D. Charles Speer rimembrava qualcosa alla mia testa che oramai si sta ingolfando di memorie, ma ci è voluto il contributo della rete per risalire limpidamente alla No Neck Blues Band e ricreare quel nesso fra David Charles Shuford e la sua incarnazione eteronima che diviene D. Charles Speer.
ebbene, il nostro ha ben deciso di affondare il suo delirio in quel bacino oscuro e lontano che è rappresentato dalla tradizione della musica rebetiko e dall’eco di storie e vicissitudini che quei suoni trasportano da oramai un secolo. e per farlo ha deciso di affrontare in solitudine una sua reinterpretazione di quel mondo avendo come lume tutelare (e devozionale) la figura del suo eroe Markos Vamvakaris. la solitudine ha comportato l’utilizzo di diversi strumenti opportunamente sovraincisi gli uni agli altri e accompagnati a debito tempo dalla voce bislacca del nostro.
Arghiledes (Thrill Jockey, 2011) è fatto di bouzouki, chitarre, bicchieri e komboloi, è intriso di mandolini, riverberi e fremiti organici. è una vera delizia freak che ripesca ossequiosa in una cultura che non ha ancora smesso di palpitare ben oltre la nostra presunta modernità. e se c’è chi continua banalmente a semplificare la portata del rebetiko paragonandola al tango argentino o al blues afroamericano ecco giungere D. Charles Speer a sparigliare le carte e declinare la tradizione del Pireo in salsa psichedelica.
a chi non fosse ancora del tutto convinto del fascino maledetto (alcolico e psicotropo) del rebetiko consiglio un “salutare” approfondimento a cura dell’amico Trickypau: per tutti gli altri è tempo di passare dalla taverna di D. Charles Speer privi di giudizi o remore e godere di uno dei dischi più bislacchi e intimi di questo 2011.
D. Charles Speer Arghiledes