più passa il tempo e più mi convinco che quella manciata di decenni in cui nacque, si sviluppò e fiorì la grande epopea del jazz sia un’intricata (e inestricabile) serie di incontri, fatti e accadimenti. di esistenze e di suono – certamente – ma prima ancora di incontri. come un continuo brulicare di incroci e strade, automobili e bar, studi di registrazione e appartamenti privati. un formicaio immenso e sotteraneo dal quale saltuariamente spuntavano registrazioni, live e memorabili dischi. molta parte di quella storia è (e forse resterà) misconosciuta, ma è bene non smettere di cercare!
memorabile, per esempio, è la forzata coincidenza che portò in un’assolata mattinata estiva del 1958, di fronte ad una scalinata di un palazzo ad Harlem, NY, ben 57 musicisti jazz ad essere immortalati nel celebre scatto di Art Kane. A Great Day in Harlem è la prova evidente di quel formicaio! basterà leggere i nomi per comprendere che si sta parlando dei giganti di questa musica, e a ben guardare, ci si accorgerà che altrettanti (e forse più) ne mancano!
da quel brulicare e da quelle coincidenze continuano a spuntare dischi (ristampe, riedizioni e riscoperte) a me sconosciuti, per la somma gioia e lo stupore di chi ama questa musica e, egoisticamente, per la mia!
non sapevo e non immaginavo, per esempio, che Herbie Mann e Bill Evans avessero inciso un disco assieme, a proprio nome e come titolari di un progetto originale: avevano già suonato assieme nel 1958 nel progetto di Michel Legrand Legrand Jazz (assieme a Davis e Coltrane) e nel 1959 a fianco di Chet Baker in Chet Baker Plays the Best of Lerner and Loewe, ma qui si trattava d’altro!
Herbie Mann & The Bill Evans Trio Nirvana (Atlantic, 1964) è il frutto di due diverse sedute di registrazione avvenute a New York l’8 dicembre 1961 e il 4 maggio 1962. oltre al flauto di Mann e al pianoforte di Evans vi partecipano Chuck Israels al basso e Paul Motian alla batteria. il trio di Bill Evans è orfano dell’immenso Scott LaFaro prematuramente scomparso. quel trio, dopo Waltz for Debby e Sunday at the Village Vanguard è alla sua prima incisione nella nuova formazione.
sono le stesse note di copertina a non spiegare come avvenne l’incontro fra i due leader e pure a non esplicare il perchè il disco vide la luce solamente due anni dopo l’incisione. in quell’era d’oro del jazz due anni debbono essere sembrati epoche siderali! il libretto invece spiega di come andarono perse tre delle tracce che avrebbero dovuto far parte della ristampa in cd avvenuta soltanto 40 anni dopo, negli ’80 inoltrati. l’incedio che distrusse, nel 1976, l’archivio dell’Atlantic si portò via anche le registrazioni di tre standard di quelle due sessioni.
siamo di fronte ad un vero e proprio jazz da camera, in una visione concettuale che procedeva leggermente a ritroso rispetto alla New Thing incombente, ma stiamo pur sempre parlando di grande musica. delle sei composizioni che compongono il disco solo due provengono dalla penna di Herbie Mann (l’omonima Nirvana e Cashmere che chiude il disco), mentre tre sono veri e propri standard (I Love You, Willow Weep For Me e Lover Man). e poi a sorpresa (ma neppure poi tanto) ecco una delle tre Gymnopédies di Erik Satie. in un ideale triangolo perfetto, in un vertice alberga il genio di Satie, nell’altro Nirvana di Herbie Mann e nel terzo quel Peace Piece di Bill Evans che anticipò tanta musica venuta in seguito e che resse l’idea di quel Kind of Blue di Miles Davis che ha festeggiato da poco i suoi primi 50 anni!
altri e noiosi discorsi li tralascerei per lasciar posto alla musica, che come sempre è assai più eloquente. auguro e mi auguro che succeda nuovamente di imbattersi in scoperte come queste, in altri incontri insaputi e in altre meraviglie riemerse dalla memoria o dal sottosuolo che ancora brulica. io sono sempre qui per eventuali segnalazioni, ma per oggi mi attengo a questa…
…io rubo, come sempre!
tu ruba!
ne Bill Evans, e neppure Herbie Mann, se ne avranno (oramai) a male….