da qualche mese vado ascoltando rapito un disco che, con perplessa sorpresa, non ho visto comparire nelle playlists del trascorso anno malgrado le informazioni in mio possesso lo collocassero esattamente alla fine del 2009. eppure, mi dicevo, Richard Youngs è uno di quei nomi che fanno ancora muovere le foglie del grande albero della musica altra. così, mentre il disco cresceva il suo numero di ascolti dedicati, mi sono messo alla ricerca di qualche ulteriore notizia per comprendere meglio.
Beyond The Valley Of Ultrahits (con la basica copertina qui sopra) è uscito in formato cd-r per l’etichetta Sonic Oyster dell’amico (suo) Andrew “Paz” Paine. la vicenda che annida dietro la realizzazione di questo lavoro è quantomeno divertente e stimolante: provocatoriamente Andrew Paine ha chiesto a Richard Youngs di realizzare un disco pop, di scavarne la complessità di genere e interpretarne una personale versione. una specie di sfida dalla quale il musicista inglese non solo non si è sottratto, ma alla quale, visto il risultato finale, si dev’essere applicato assai.
una perfetta decina di canzoni “pop” sospese in un tempo che deduco personale e racchiuso nello scrigno sentimentale di Youngs. a guardarle in controluce, dietro il luccichio caramellato della canzone di consumo, lasciano assaggiare la densità della composizione che si muove dal complesso verso il semplice. ossature e trame impercettibilmente eccentriche, devianze che potrebbero infastidire un pubblico da radio di consumo, insinuargli il seme malsano del disagio. ma non saranno le radio fm del pianeta ad accogliere questa caramella al rabarbaro. la Jagjaguwar, storica etichetta che da tempo pubblica i lavori dello sciamano naïf, ha annusato l’aria e compreso che ciò che fu gioco può trasformarsi in vociferare diffuso e gradito (e quindi in denaro).
Beyond the Valley of Ultrahits uscirà allora a luglio inoltrato, con copertina imbellettata e make-up da rimasterizzazione. il pop ha le sue regole e non le cambierà certo Youngs.
del disco ho in realtà detto poco: contravvenendo alla mia abitudine di fuggire da paragoni o da ascendenze spenderei qualche nome per incartare la delizia e invogliare l’ascolto. si prenda l’ipotesi di un Robert Wyatt costretto alla rigidità del pentagramma che abbia come sodali collaboratori un David Byrne narcolettico e/o lo Scott Walker dei ’70. supponiamo che le canzoni da loro scritte vengano donate al Bowie degli ’80 che le lascia riarrangiare al Franco Battiato del medesimo periodo (nessuno si spaventi) assieme ad un Johnny Marr prestato per l’occasione ai Pet Shop Boys.
ho esagerato? probabile. meglio rimandare al disco e girare al largo da quel pop con cui non ho mai fatto veramente la pace.
Richard Youngs Beyond The Valley Of Ultrahits
Un suo concerto a Napoli qualche anno fa lasciò mi lasciò sconcertato in quanto a brevità dell’esibizione (poco più di mezz’ora) ed interpretazione che appariva poco ispirata, sebbene la tua presentazione lasci intendere ci si possa attendere di tutto da Young. Ascolterò presto il tuo suggerimento, rilanciando con un disco molto piacevole, appena recuperato, dei Gregor Samsa: “Rest”. A presto…
ciò che dici apre (nuovamente) una vecchia questione a proposito della capacità di molti (nuovi) artisti di misurarsi con la dimensione live.
non ti nascondo le mie perplessità sviluppata sul campo e a suon di delusioni pagate e vedute (e ahimè ascoltate).
confesso pure la mia convinzione che i dischi si facciano in studio con tutta la perizia dei bravi artigiani e che la loro riproposizione live significhi necessariamente tutt’altra cosa.
detto questo salverei il lavoro certosino che Youngs ha fatto nel privato del suo studiolo e non garantisco proprio per l’eventuale esibizione pubblica. ma questo non dovrebbe essere un dramma e neppure uno scandalo ma piuttosto quell’evidenza a cui ci dovremo abituare.
grandi Artisti (con la maiuscola) si diventa e non si nasce, anche a forza di live imperfetti.
Davvero deliziosa questa “caramella al rabarbaro” caro Borguez.L’ho scoperto anche io all’inizio di quest’anno altrimenti l’avrei messo in cima alla lista delle mie preferenze del 2010. Dirò di più:probabilmente è uno dei dischi più belli e intensi degli ultimi anni, vertice assoluto di questo geniaccio e merita sicuramente di stare accanto ai suoi capolavori tipo “Sapphie” o “The Naïve Shaman”..
Ps:Cromagnon nel panoptikum? Wow! però così farai scappare qualche visitatore…….
Cromagnon, sì! per rivendicare la libertà di fare ciò che mi aggrada, mi incuriosisce e mi allieta.
teniamo fuori classifiche di vendite e indici di gradimento e tutto, come per magia, torna ad essere ciò che dovrebbe: divertimento, passione e curiosità.
quel panoptikum è il luogo dei liquori passati e lasciati ad invecchiare, da riassaporare con la dovuta calma e Cromagnon è per certo uno di quelli.
di Youngs che dire: che è una fortuna poterlo seguire nella sua parabola sghemba, parabola benefica!