when, vincent gallo

esistono dischi che nascondono spazi, luoghi, e celano all’interno un doppio fondo appena percepibile. dischi circolari (sic!), senza una fine e neppure un incipit, sospesi, eppure così diretti all’ascolto. when è uno di questi. tutto suonato e prodotto da vincent gallo nel 2001 e probabilmente irripetibile. uno stato di grazia immacolata. una voce degna di un chet baker appena ripulito, una chitarra in costante delay, afasica, blanda, dalla tinta malva. irriconoscibile nel flusso indistinto dei brani, dei pomeriggi stracchi in una stanza d’albergo, impercettibile nel succedersi a se stesso eppure così denso, della stessa materia di cui è fatta certa malinconia. in una inverosimile e incerta classificazione definitiva di non si sa che cosa, questo ha già una sua collocazione.

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Yusuf è tornato…

jusuf.jpgIn un pomeriggio come questo, quando sembra non fare giorno e il tramonto appare imminente sin dall’alba, restavo seduto a scrivere lettere ad un indirizzo londinese che oggi ho perduto e ho pure dimenticato. La casa era calda e il vapore del thè riempiva la stanza. C’era un tappeto e una luce bassa, un foglio bianco e un vinile prezioso che trattavo come un cristallo. C’erano canzoni che sono entrate lentamente nella mia vita, in punta di chitarra e con quella voce calda e pastosa. Scrivevo e ascoltavo, ascoltavo e scrivevo e in qualche modo costruivo un ricordo che oggi ritorna prepotente a trovarmi. Perchè Yusuf è tornato…

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Dario Silva

Una storia che non conoscevo, una storia che un giornalista è riuscito a raccontarmi nello spazio di un articolo, un giornalista degno di chiamarsi tale e che io non posso che ringraziare.

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Petrolini

Petrolini moriva poco più di settant’anni fa all’età di 50 anni per merito della Signorina Angina, come la chiamava lui! 1936, questo fa sì che, a torto, venga inserito, generalizzando, nel ventennio! La sua arte proveniva da molto più lontano e da molto tempo prima, ma la sua parabola lo fece atterrare in pieno scenario mussoliniano. Autodidatta e artista completo, evitò accuratamente le accademie e preferì a queste la strada o ancora meglio i funerali di sconosciuti, dove si esercitava a fingersi inconsolabilmente affranto! Il suo personaggio più celebre fu forse il Nerone (che faceva per altro sbellicare – sic! – lo stesso Duce), ma anche Gastone rimase memorabile! Ma io lo volevo ricordare semplicemente perchè fu realmente l’autore di una delle più fulminanti e formidabili battute che io conosca. E non sul palcoscenico… Invenzione molteplice, semantica, politica, anticipatrice di molti atteggiamenti del secolo breve e a tutt’oggi irresistibile. Pare che al solenne conferimento di una medaglia per meriti artistici, parafrasando sull’attenti un ben noto motto mussoliniano e esprimendo tutto il suo genio, così ringraziò: Me ne fregio!

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Buck Funk & Reverend A. W. Reves

Credo che per chi amò la musica tutta la vita, non ci possa essere nulla di meglio che lasciare questa valle di lacrime con una bella banda che suona… e si sa che una marcia funebre è quanto meno di rigore! Purtroppo l’unico che non ne potrà godere è proprio il caro estinto, ed è proprio per questo che, quantomeno, è buona cosa decidere anzitempo se si avessero richieste particolari. Al funerale di mio nonno suonarono Tramonto di Secondo Casadei! Era una sua esplicita richiesta! Il capo banda fu esemplare a renderne una versione rispettosa dell’occasione. Certo suonarono anche Bandiera Rossa, l’Internazionale e Bella Ciao, ma questo era pressochè scontato per un comunista come lui! Era una giornata di sole di febbraio, e qui mi fermo perchè come sempre mi commuovo… Ora a chi non avesse idee chiare e soprattutto volesse evitare la funzione religiosa e affidarsi alla solenne mestizia di una melodia, consiglio questo disco della Trikont che raccoglie tutta una serie di marce funebri. Ci sono nomi noti come Robert Wyatt, Tom Waits o Albert Ayler, e insieme a loro bande da tutto il mondo. Ma fra tutte queste ve ne è una che continuo ad ascoltare affascinato e rapito… West lawn dirge/Just a closer walk with thee eseguita da un misconosciuto Buck Funk & Reverend A.W. Reves! Sette minuti per pianoforte e clarinetto impolverati dal friggiore di un vecchio 78 giri. Un incedere lento e largo, a passi mesti , un suono in bianco e nero dai toni sublimi. In una ideale scaletta per il mio giorno fatidico, questa non dovrebbe mancare…

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…ancora fabrizio

deandre.jpgDa qualche giorno stavo rimuginando l’idea di scrivere qualcosa di chiarificatore, per me certo, intorno a La domenica delle salme di De Andre’. Quella canzone non ha mai smesso di turbarmi, col suo modo fisico di essere mutevole, viva e costantemente attuale. Forse la più dylaniana di tutte, la più boschiana di tutte. Tutte quelle figure che ingombrano il campo come in Desolation row o Jokerman. Ma è anche la canzone di Fabrizio con più riferimenti temporali e territoriali. Ci sono nomi, luoghi e date. Eppure è talmente profonda l’analisi e feroce la critica che quella voce sembra piuttosto redarguire i contemporanei non troppo diversi, e forse assai peggiori, del popolo craxiano di quegli anni. Vallanzasca, Curcio e l’illustre cugino De Andrade. Un segno inscindibile dei testi di Fabrizio era sempre stata l’atemporalità delle sue vicende, una maniera astuta di sospendere le sue storie e di ambientarle in un luogo archetipico e quasi inesistente.
Rimuginavo appunto stamane su questo mentre pedalavo e continuavo a fingere di non vedere il mio corpo che lavorava e la mia mente che si soffermava sul cuore d’Italia, da Palermo da Aosta, quando vedo un piccolo gruppo di persone attorno ad una vettura parcheggiata e poco oltre l’inconfondibile fiamma dell’arma campeggiare sui copricapi di due gendarmi tanto cari al nostro. Discutevano, il capannello e i carabinieri, e intanto tentavano di aprire lo sportello dell’auto. Quando giungo in prossimità c’è una regina del tua culpa che informa l’autorità: “è da stanotte che è parcheggiata lì e con la musica sempre accesa!”… la musica era Tre madri dall’album La Buona Novella! …ancora Fabrizio.

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Strombettensteppen

Un amico di ritorno da Amsterdam mi raccontò di aver scoperto nei meandri del Rossebuurt (zona rossa) un piccolo vicolo a fondo chiuso dal nome buffo: strombettensteppen. Ridemmo. Ridemmo perchè pareva una curiosa onomatopea delle attrattive che riserva quella parte della città ai ludici visitatori. Apparentemente dimenticai quel nome. Era il 1986.
Pochi anni dopo quando appresi della notizia della morte di Chet Baker mi tornò improvviso alla mente. Chet Baker morì la notte del 13 maggio 1988 cadendo da una finestra del Prins Hendrik Hotel di Amsterdam. Qualcuno parlò di suicidio, qualcuno disse che era fatto di eroina, qualcuno pensò ad un pusher stanco dell’ennesima bugia. Un libro di James Gavin provò ad indagare più a fondo sulla sua vita e su quella fine tragica. C’era una foto esclusiva in quel libro. Una foto in bianco e nero. Un vicolo buio di notte, un corpo raggomitolato sotto un lenzuolo e le scarpe fradicie in primo piano. Una sindone blasfema.
Ho cercato in rete se esistesse effettivamente quel nome ad Amsterdam. Nessun risultato. Trovare la collocazione di quell’hotel potrebbe essere davvero veloce, così come scoprirne l’indirizzo. Per me, evidentemente, continuerà a chiamarsi strombettensteppen.

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Gainsbourg e le sue Repetto

repettoLo stile non si compra e tantomeno si vende, ma se ne possono vendere i simboli e i simulacri. La leggenda risale al 1947, quando Rose Repetto, madre del ballerino Roland Petit, volle creare per il figliuolo un paio di calzature estremamente comode per la danza. La suola era cucita al contrario e ribattutta per ottenere l’estrema flessibilità della scarpa. Qualche anno più tardi Brigitte Bardot richiese a Rose un paio di ballerine rosse per girare il film “Et Dieu crèa la femme” di Roger Vadim. Ma fu Serge Gainsbourg che creò il mito. Nel 1969, durante l’année érotique, adottò le Repetto Zizi. Rigorosamente bianche, allacciate e insostituibili per la danza jazz (così battezzate infatti, in onore del ballerino Zizi JeanMarie). Jane Birkin affermò: “Serge cercava dei guanti per i suoi piedi!”. E dunque a piedi nudi scivolava nella pantofola jazz. Affermava Serge: “Repetto à perpet’!” e infatti l’accessorio era consumato in grande e copiosa quantità. 30 paia all’anno!!!! La nuvola di Gitanes, i jeans Lee Cooper, l’eau de toilette Van leef & Arpel, il doppio pastis “102” alla mano, la barba mal rasata e l’aria sporca e sensuale di un legionario! Gainsbarre, appunto… Per chi volesse, alla modica cifra di 130 euro, se ne può avere un paio. 22, Rue de la Paix, Paris.

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Radio Grenouille 88.8

radio
Pier Vittorio Tondelli. Ricordo un suo racconto nel quale il protagonista si aggira di notte in auto nella bruma nebbiosa della bassa padana. Sono gli squallidi anni ’80. Apparentemente non ha meta, se non quella di spingersi ai limiti estremi della ricezione fm della sua radio libera preferita. Appena perde il segnale si ferma, inverte la direzione e ricerca nuovamente il perimetro immaginario del suo ascolto. Un secolo fa. Allora era forse ancora possibile perdersi, scomparire e cancellare i nostri passi legando arbusti alla sella della cavallo. L’etere appariva come qualcosa di magico e sciamanico. Giungevano ai nostri transistor e dentro le nostre autoradio suoni e voci e l’incanto non poteva essere differente da quello di Radio Londra o dai radiodrammi di Radio Days di Allen. Adesso i perimetri sono esplosi, dai nostri desktop si possono raggiungere luoghi che non visiteremo mai. McLuhan non ha certo bisogno delle mie conferme, the medium is the message. A Marsiglia esiste una radio indipendente che si chiama Radio Grenouille. Trasmette molta più musica che parole, musica che adesso si può ascoltare in diretta in ognuno dei 360 angoli del mondo! Suoni del e dal mondo senza soluzione di continuità! Mentre scrivo sta trasmettendo una litania mediorentiale e il prossimo brano potrebbe essere davvero qualsiasi cosa. Il racconto di Tondelli è lontano nel tempo, oramai svuotato di senso, ma io domani riparto!

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