Davey Graham

l’anno rotola amaro a conclusione, la stagione s’inumidisce e la luna fa il suo giro. le notizie che non si vorrebbero ascoltare si infilano da tutti gli spifferi.
per chi conosce Davey Graham sarà triste apprendere della sua scomparsa per chi non sa (o sapesse) chi fosse, l’occasione per scoprire una quercia della musica di questo tempo.
in ogni casa, scaffale o discoteca di chi parla o vorrebbe parlare di musica dovrebbe esserci un disco di quest’uomo. davvero. è per l’Inghilterra ciò che John Fahey è stato per gli Stati Uniti. Davey Graham è colui senza il quale non sarebbero forse esistiti John Renbourn, Bert Jansch, John Martyn e Nick Drake.
giunse prima di Dylan, prima dei Beatles e prima che gli altri si accorgessero che era già lì. bello vederlo qui dolce e pacato, immerso nel più ovvio dei parchi inglesi, con la chitarra al fianco e con lo stagno sullo sfondo a dondolare ventoso.
e poco altro davvero da aggiungere.

1959 Cry Me A River

[youtube=http://it.youtube.com/watch?v=tWeejHJxGjs&feature=related]

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Chi è Costantino Spineti?

chi è Costantino Spineti?
questa è la domanda che strisciante si è lentamente insinuata nei miei pensieri sin da quando apparve un suo commento su questo blog. si parlava allora del nuovo disco di Paolo Conte e le sue parole giunsero puntuali ad elogiare il lavoro e a definirne l’assoluta indipendenza di quel disco dai lavori precedenti. finì col dire a proposito di Psiche… chic e ambizioso come un sofà di cretonne! lo trovai poetico. poco più sotto, nei commenti di quello stesso post, volle restituire le sensazioni provate dopo aver assistito al concerto romano del Sistina. gliene fui grato e trovai curiose le sue parole (e già le domande sulla sua identità stavano prendendo forme sempre più varie)…

un’ultima cosa che volevo dire è che Paolo Conte mi fa tornare in mente sempre tutte le mie donne del passato quando vado ad un suo concerto…strana sensazione… ancestrale,ermetica,metafisica,surreale…poi…quando si riaccendono le luci…piano piano…piano piano…guardo negli occhi il mio amore…e tutto si ripristina,tutto svanisce,evapora e sento per un pò l’odore mischiato al mio di tutte le mie ex fidanzate…che strano…

che strano lo pensai pure io. strana forma di diaspora amorosa e aleph olfattivo. strana sensazione (usando le sue stesse parole). ma poi giunse il commento successivo da parte di ari (questo il nickname) che riportò un po’ tutta la poesia su piani assai meno pindarici e che incollo qui senza apporvi censura…

AAhhAAhh…Finalmente ti ho beccato,maledetto Costantino Spineti,sapevo che ti avrei pizzicato da queste parti.Mi scuso anticipatamente con tutti gli ospiti del blog,ma la soddisfazione di fare una piazzata a questo infingardo,teatrante,sciorinatore di complimenti inutili,sciupafemmine da strapazzo e playboy latinlover dei miei stivali più sporchi è stata troppo forte,purtroppo non ne ho avuto mai ancora l’occasione,ma non ti preokkupare…non mankerà…e non mankerò…anche se so che sei sempre in giro come un uccello di bosco,prima o poi mi capiterai a tiro,te e il tuo uccello di bosco.Anche se ormai è passato molto tempo,non dimentico….io! kiedo ancora scusa a tutti quanti,ma è più di un anno che cerco di dirglielo e non volevo perdere l’occasione.Addio Costa…anzi…al diavolo Costa.

bisognerà ammettere che a questo punto non necessitasse molto altro per essere più che incuriositi. ma la vicenda parve chiudersi lì ed io non indigai oltre, malgrado il dubbio permanesse intatto. poi vennero i commenti di Costantino al mio post sul live di Conte a Reggio Emilia e ai successivi su Rodolfo De Angelis e soprattutto su quello precedente a proposito di Kaurismäki. oggi stavo per accingermi a rispondere alle sue parole e alla sua fluente sintassi quando bussano alla mia porta da un blog amico: the pulpit mi pone la questione che sta dando il titolo a questo post… chi è Costantino Spineti? io rispondo: bella domanda, ma oramai la dialettica esplosiva da stream of consciousness e le dotte citazioni di Costantino erano già esondate fino a lì. chi è dunque costui? curiosa questione che potrei derimere privatamente scrivendo al suo indirizzo mail che posseggo in quanto editor di questo blog, ma mi sembrerebbe come risolvere un giallo ricorrendo a tristissime telecamere di sorveglianza. preferisco la parola, il mistero e il dibattito, le questioni e i discorsi e le opinioni. preferisco sapere chi si cela dietro una dotta penna dalla vena un po’ punk e un po’ stilnovista che cita Montale e Charlie Bird Parker, Percy Adlon e William Blake.
e dunque estendo la domanda a chi vorrà rispondere e persino al custode medesimo di tale segreto…

chi è mai Costantino Spineti?

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Aki Kaurismäki Juha

ecco quel piccolo film che mi è piaciuto.
per come era piccolo, per quanto poco chiedeva, per quanto di poco fosse fatto. non lo conoscevo e non riuscivo neppure ad incastrarlo nella filmografia di Aki Kaurismäki che presumevo di conoscere. e invece no. meglio. meglio così, meglio essere ospitati a casa di un cinefilo e curiosare fra videotapes e dvd e scoprire un cofanetto antologico di produzione francese ed avere il tempo di concedersi una vacanziera visione.

Juha è un film in bianco e nero, quello di Kaurismäki però, che pare far splendere i grigi. Juha è un film muto, o meglio è un film non parlato, con didascalie (poche e quasi inutili), ma con in più la stranezza dell’audio che sottolinea rumori e fruscii e con una colonna sonora talmente naïve e fuori luogo da confondersi in bellezza (appunto: da trovare).
vicenda amorosa, vicenda politica e sociale, vicenda da Kaurismäki pur essendo tratta da un celebre romanzo di ambientazione settecentesca, ma con lo sfondo carteggiato da una Finlandia del secolo scorso (ma non saprei dire quando). non lo racconterò anche perché andrà visto. volevo linkare qualche immagine da YouTube ma pare che pure lì sia un poco sconosciuto. il Morandini lo snobba e questa è già una garanzia. io posso consigliare l’acquisto, il noleggio (sarà dura) o la scorciatoia torrent.
e per finire nell’ordine: rimando ad un sito particolarmente dettagliato, inauguro una rubrica battezzata Kino (saranno pellicole, celluloidi e visioni), mi rendo conto della pochezza di quanto scritto (ma di suggestione solamente volevasi trattare) e dico buon fine settimana a chi lo vorrà.

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Rodolfo De Angelis Ma cos'è questa crisi?

stavo per cimentarmi nel racconto, o meglio nel resoconto di una visione di un piccolo film, ma poi mi sono detto che è bene rivederlo, per parlarne meglio, per capirne oltre e perchè mica mi sento così abile a discorrere di cinema. un po’ come ballare l’architettura, direbbe John Cage. ma ci tornerò.
così, nell’attesa di una seconda visione, mi lascio sorprendere dal mio iPod che mi scodella sorprese e gioie, tanto inattese quanto gradite. e di questi tempi, con questa parola che frulla ovunque a giustificare nefandezze e pessime condotte penso che una futile risata possa servire. ritorno indietro al 1933. altri tempi, certo, ma sempre di dittatura.
fra i tanti e grandi artisti di quello splendido inizio secolo, uno, Rodolfo Tonino in arte Rodolfo De Angelis se ne uscì con questa canzone…

e d’ora in poi mi terrò quel pa ra pa ra pa ra pa ra pà da strombettare fra le labbra ogniqualvolta sentirò ripetere quel fonema, e non saranno poche le repliche. in più spaventa pure un poco l’attualità del testo dello stesso De Angelis. ma sopravvoliamo.
mi preme piuttosto segnalare un’altra impresa ardita dello stesso De Angelis, ossia la fondazione della Discoteca di Stato (1924-25) sorta inizialmente con intenti poetici e futuristi, mediante la registrazione delle voci di generali, poeti e reali.
da quella iniziale fondazione sorse in seguito l’Istituto Centrale per i Beni Sonori e Audiovisivi che oggi si fregia di un sito consultabile e di un catalogo auscultabile. roba da melomani e insaziabili curiosi. ma fuori c’è la crisi!
pa ra pa ra pa ra pa ra pà

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Paolo Conte live@Teatro Valli, Reggio Emilia

cos’è un classico? o meglio, cosa resta di un classico?
domande capziose e forse inutili da anteporre o postporre ad un amore. perché l’atteggiamento meditabondo giunge dopo, assai dopo che si sono impulsivamente acquistati per l’ennesima volta esosi biglietti per un altro concerto di Paolo Conte. lo si fa per amore, e di fronte a così sontuosa motivazione ci si perdona sempre.

del disco si è già detto e di molto altro ancora. si continua a ragionare con gli amici e si sprofonda nella notte a disquisire di note e parole, di quanto ci sia ancora da dire o da aggiungere, di cosa si vorrebbe e da cosa si volesse venir sorpresi. ma Conte permane intoccabile e sornione, insensibile alle elucubrazioni altrui e indissolubilmente destinato al classico. a questo tende, a quello brama e lì al fin giungerà.

Paolo Conte dal vivo, ripensandoci, assomiglia a tutti i Paolo Conte dal vivo che ho avuto la fortuna di vedere. e sono tanti. cambiano i musicisti, i pianoforti e le signore ingioiellate, ma pochi se ne accorgono e nulla apparentemente muta. gli arrangiamenti si divertono a farti venire dei déjà vu che per un po’ ci credi, ma poi ti accorgi di essere ancora lì e che oramai sono quasi vent’anni che ascolti le sue canzoni. e non sei stanco.

Paolo Conte invece un poco stanco lo è, e un poco più anziano, ma si diverte ancora e non potrebbe fare altro. ha bisogno di quegli applausi, di una mano a nettare i baffi, di scarpe lucide e cappotti di astrakan. si permette di dimenticare e farfugliare le parole delle sue stesse canzoni, come fosse assorto e in altri pensieri abbarbicato. oggi si alza sovente dal pianoforte e si drizza dinanzi ad un microfono e canta, con gesti emozionati e imbarazzati, come fosse nudo.

marionetta-paolo-conte-copiail Teatro Valli di Reggio Emilia (bellissimo nella sua vetusta eleganza) è, per esempio, una di quelle praterie dove lo scimmione si sente a suo agio, fra fronde e stucchi, palchi e velluti. lì, come altrove, può riproporre la prosopopèa dei suoi personaggi e il circo dei suoi attori. ripetere una scaletta identica alla sera prima e immutabile a quella successiva. alla ricerca di una sua idea di perfezione e di una sua lussuriosa classicità. …suono un bel sassofono d’argento e non mi sbaglio mai!

eppure l’emozione è nelle pieghe degli smoking, fra le asole assonnate e nell’arrangiamento inatteso di alcuni brani. Bartali lunare e desolata, in tonalità minore, come se stesse scalando solitario il Mont Ventoux in una notte del ’51. Lo Zio talmente intensa e rapita da farmi scappare un grido quando è lo stesso Conte a scoprirsi sorpreso della sua interpretazione. le canzoni le conosciamo come le nostre fodere, ma poi non ci stanchiamo di rovistarci dentro.

si contano 5 canzoni dall’ultimo album, un po’ svogliate, un po’ poco rodate. e non sono Psiche e neppure Ludmilla, e non è Leggenda e Popolo e neppure Big Bill. quasi non servissero già più a promuovere un disco, quasi fosse già acqua passata. ci si affida ai classici, a quel noioso bis stantio in cui Via con me viene riproposta come la Radetzkymarsch a Capodanno, un poco più veloce a far tintinnare negli applausi pendagli e bracciali.

eppure il bis si era aperto con Cuanta Pasiòn e con una piacevole variante letterale del testo. non più le vigne stanno immobili…e il luogo sembra arido e a gerbido lasciato ma (e ringrazio alice per la ricerca)…

le tigri stanno placide
sultane smemorate
sognando arie ed opera
per terra stravaccate
ma quando fan discutere
quegli occhi col mistero
giuseppe verdi vogliono
conoscerlo davvero…

alla fine me ne esco con il sorriso dal teatro e vado a stringere una mano all’uscita dei camerini. mi sembra di conoscerlo da sempre eppure di non saperne nulla. come un classico da rileggere e capirne ancora un poco oltre. mi dico basta, che non tornerò ancora a vederlo, ma in cuor mio so che sto mentendo!

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Quadrille + Danson Metropoli = Viens Dans Ma Casbah

mi rendo perfettamente conto della peculiarità e pure della specificità del post precedente. roba da malati si direbbe. da fan un po’ maniaci, ma in fondo anche da amanti della canzone, da sfrucugliatori di note e storie, di memorie e improbabili rimandi.
ma in fondo debbo pure una risposta, esporre la mia ipotesi. e ringraziare Jazz from Italy per la tempestività e per l’esattezza del suo ascoltare coincidente con il mio. ma c’è un poco di più…
ripropongo la canzone del post precedente da cui ero partito Viens Dans Ma Casbah interpretata da Alibert, Les Rivers Cadets et Rellys.

una delle due baluginanti somiglianze di cui andavo blaterando è stata puntualmente evidenziata da Jazz from Italy a testimonianza che non andavo errando. vado a ripescare un album di Paolo Conte che ho tanto amato. Una Faccia in Prestito (Warner, 1995). in quell’album Quadrille, la traccia numero 8 che Conte interpreta assieme al sodale contrabbassista Jino Touche. eccola…

a me pare evidente l’attinenza, la pertinenza o la suggestione. o la si voglia chiamare come si vuole. e mi riferisco al refrain intorno al primo minuto della canzone. a me pare lampante e tutto sommato divertente. ma c’era dell’altro e provo ulteriormente a spiegarmi.
intorno al secondo 32 di Viens Dans Ma Casbah la mia attenzione ha ulteriormente sobbalzato. mi è parsa lampante una possibile similitudine con una delle grandi canzoni di Conte, quella Danson Metropoli che meriterebbe ettolitri d’inchiostro e ettari di pagine per raccontarne la meraviglia. l’album è il medesimo e la grandiosità incommensurabile. ecco pure lei…

E na! ba bi ba bi ba bi bamba!
o qualcosa del genere fra l’onomatopea e il linguaggio aulico dei primati!
clamorosa assonanza intorno al secondo 26 con quel curioso divertissement della canzone del 1933.
senza nulla togliere e senza nulla aggiungere, esattamente così si possono essere divertiti loro a loro tempo così io oggi ad ascoltare e a disquisire di quisquiglie, a ricamare di nulla e a parlottare di canzoni, che come diceva non so più chi, non cambieranno il mondo, ma cambiano ogni giorno la mia vita.

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Viens Dans Ma Casbah Alibert, Les Rivers Cadets et Rellys

mi accingo a disquisire di quisquiglie, piccolezze, spigolature e curiosità.
ma non posso esimirmi dal farlo e a maggior ragione oggi 2 dicembre, mentre sto per partire per raggiungere Reggio Emilia per assistere al concerto di Paolo Conte.
perché proprio di Conte si tratta, ma per vie traverse e forse impervie. ed è per questo che chiedo aiuto ai tanti che hanno dimostrato interesse e passione per l’artista astigiano, che sono giunti a questo blog e hanno lasciato testimonianza quando mi permisi di raccontare a mio modo Psiche. so che mi potranno aiutare!
provo a spiegarmi…
chansons-coloniales-exotiquesassecondando la mia passione per le canzoni della prima metà del secolo scorso, mi imbatto in un disco curioso e a suo modo interessante.
Chansons Coloniales & Exotiques (1906-1942), doppia antologia di canzoni francesi del periodo coloniale con 48 canzoni rubate al fonografo, al varietà e all’operetta. vere e proprie delizie per curiosi ed appassionati (qui e qui per chi volesse). e mentre lo ascolto casalingo in altre faccende affaccendato mi accorgo che la mia attenzione è rapita improvvisamente da una di queste canzoni in particolare.
nel primo dei due dischi, la traccia numero 4 si intitola Viens Dans Ma Casbah ed è interpretata da Alibert assieme a Les Rivers Cadets et Rellys. 1933 la data. eccola…

alibert_affiche_01la canzone proviene dall’operetta Trois de la Marine con parole di René Sarvil e musiche di Vincent Scotto. l’interprete Alibert (Henry Alibert) celebre interprete della canzone marsigliese. il testo è un divertente pasticcio di sonorità magrebine riprodotte onomatopeicamente, non senza quel substrato razzista che in fondo in qualche modo dovette riguardare il colonialismo. ma è pur sempre una canzonetta.

e Paolo Conte cosa c’entra?
pensando come possibile l’eventualità che Paolo Conte abbia potuto ascoltare queste canzoni (e questa in particolare) e risaputa la sua passione per il periodo musicale e per tanti esotismi europei in genere, io mi chiedo se una certa assonanza, una certa melodia e comunque una certa maniera di gigioneggiare con la voce possano esser stati carpiti da Conte e trasportati nelle sue canzoni.
riascoltando la canzone io intuisco quasi chiaramente (fra il 24 e il 40 secondo) un riferimento a due diverse canzoni di Conte. non lo chiamerei plagio perché questo non è. ma è qualcosa di molto più che riconoscibile. sto sbagliando?
chiedo a chi vorrà un parere, a chi riconoscerà qualcosa di riconoscibile una voce oppure solamente una smentita. ora parto per Reggio Emilia per incontrare di persona l’avvocato mentre un temporale fa dei grandi gesti grigi. e poi se ne riparlerà. a presto…

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Due appuntamenti di fine novembre…

scrivo di corsa mentre fuori diluvia e faccio fare a questo blog una capriola e lo travesto da strillone.
e gli faccio gridare di due appuntamenti da non perdere, a chi potrà e a chi vorrà.
il primo: scrissi tempo addietro di Adius, il film che Ezio Alovisi stava faticosamente realizzando attorno alla figura di Piero Ciampi e del mondo che lo circondò in quell’Italia dei ’70. il film esiste o forse come accenna il sito…è in lavorazione, ma direi che il film esiste in quanto in grado di essere presentato. la notizia la carpisco al volo da qui. verrà presentato dallo stesso regista e proiettato nell’ambito del M.E.I. D’AUTORE, iniziativa curata da Enrico Deregibus, sabato 29 novembre 2008 alle ore 18,15 presso il Palazzo delle Esposizioni (Corso Mazzini 92) di Faenza (Ravenna). lo stesso Alovisi testimoniò gentilmente sul mio blog delle difficoltà di realizzazione e distribuzione, ed io oggi non posso che essere felice di questo approdo raggiunto. e aggiungo che ci sarà occasione di riparlarne, così come mi sono promesso.

l’altro appuntamento è anch’esso a scapicollo, ossia anch’esso domani, e, ironia della sorte, contemporaneamente con la proiezione del film di Alovisi. cose che capitano, ma questo è nella mia città, Ravenna, l’altro a Faenza. sarà opportuno fare delle scelte.
immagine-1Renato Curcio presenterà domani, 29 novembre ore 18,00, presso la libreria Interno 4 di Via Mazzini il suo libro I dannati del lavoro Vita e lavoro dei migranti tra sospensione del diritto e razzismo culturale edito da Sensibili alle Foglie. mi preme sottolineare come l’appuntamento sia organizzato dall’Associazione Mirada non senza il consueto codazzo di polemiche che accompagna le apparizioni di Curcio.
quello che so è che la notizia non sta trovando molto riscontro sui quotidiani locali (mi auguro che ne avrà domani) che, come al solito, preferiscono dare risalto alla sagra del tortello ripieno di nonsocosa o all’ennesima inaugurazione di una telecamera di sorveglianza. questo è già di per sè un ottimo motivo per andare ad ascoltare una voce fuori dal coro. comunque la si pensi.
ero di fretta e di fretta rimango e dunque affrettandomi auguro buon inizio di fine settimana.

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Lee Marvin Wand'rin' Star

amo le canzoni.
amo il modo in cui si appiccicano alla mia vita, la maniera irriverente che hanno di intromettersi e imporsi e di prendere alla fine il sopravvento. amo la casualità che me le fa incrociare e l’improbabile che accompagna questi incontri, la correlazione di eventi che le fa succedere e l’inevitabile che si portano dietro. amo l’idea che non se ne andranno mai più, una volta amate. che ritorneranno a farmi visita improvvise e inopportune. e mi faranno ridere, piangere e pensare e poi ridere ancora.
amo la perfezione di quei pochi minuti esatti in cui abitano le canzoni, ineluttabili al cambiamento e poi amo le storie che si portano dietro e quelle che le hanno generate e che rimbalzano sulle mie vicende e continuano a prendere senso e a stratificarsi nelle ere geologiche dei miei ascolti.
amo le canzoni che amo, e questa è una di loro.

questo è Lee Marvin, sì, proprio lui! e il titolo è Wand’rin’ Star, o più precisamente (I Was Born Under a) Wand’rin’ Star. la incontrai così tanto tempo addietro che neppure più mi ricordo il come e il dove, ma non l’ho dimenticata. e continuo ad ascoltarla ogni volta come se fosse la prima. quel coro muto e quell’incedere dinoccolato in un crescendo da epopea. e quella voce così profonda da far impallidire intere schiere di cantanti confidenziali. canzone a suo modo perfetta: armonica, chitarra e ritornello. basso, coro e voce. semplicemente perfetta. perfetta e bellissima ad incarnare tutte le canzoni di un west immaginato o presunto, archetipo della country song e minimo comune denominatore di ogni colonna sonora western che fu e che sarà.

lee-marvin1la canzone appartiene alla colonna sonora del film Paint Your Wagon diretto nel 1969 da Joshua Logan coaudiuvato nella riscruttura scenografica da Paddy Chayefsky che rimise le mani sopra l’omonimo celebre musical del 1951 ad opera di Alan Jay Lerner e Frederick Loewe (Lerner & Loewe …così come è più facile incontrarli).
Lee Marvin è protagonista del film assieme a Clint Eastwood e ad una bellissima Jean Seberg. un musical ambientato nell’epopea della corsa all’oro californiana. un film tutto sommato divertente e con qualche trovata persino intelligente. ma siamo lontani dal capolavoro, o meglio, mi ricorderò di questo film per molti altri motivi che esulano dal suo valore intrinseco. per esempio per l’interpretazione di Lee Marvin, cinico e spietato affarista, ubriacone e selvatico quanto basta. o per aver visto pure Clint Eastwood cantare (è tutto vero!!!). la colonna sonora prevede anche altre interpretazioni originali dei due protagonisti maschili (la Seberg canta, ma doppiata): Lee Marvin in The First Thing You Know e i due insieme ad interpretare The Best Things In Life Are Dirty. ma nessuna di queste canzoni sfiora neppure minimamente la bellezza di Wand’rin’ Star e il momento saliente e malinconico in cui Lee Marvin la interpreta (qui).

alcune curiosità: prima di tutto credo sia giusto rendere onore sì agli autori (Lerner & Loewe come si diceva) ma anche e soprattutto al celebre arrangiatore Nelson Riddle. e poi ricordare come il brano raggiunse la vetta delle chart inglesi nel marzo del 1970. ci rimase per tre settimane e fu alla fine scalzata da un brano dal titolo Let It Be. credo farà inoltre piacere sapere che questa canzone fu suonata al funerale di Joe Strummer. e si potrebbe aggiungere molto altro ancora sulla modernità di questo brano e sull’interpretazione assolutamente perfetta che riuscì ad appiccicargli sopra Lee Marvin, ma mi limiterò solamente a ribadire che amo le canzoni, come dicevo, e che questa è una di loro!

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Susanna Wallumrød Flower of Evil

mi ritrovo a parlare di Susanna Wallumrød e ammetto di essere il primo a meravigliarmene. più o meno un anno addietro restai sorpreso di fronte a tanta bellezza racchiusa in Sonata Mix Dwarf Cosmos e ne scrissi e me ne appuntai il nome. oggi, per onestà nei suoi (e anche nei miei) confronti, è bene che ritorni a raccontarne. un anno dopo, nella stessa stagione, con lo stesso clima fuori dai vetri, con le stesse bevande fumanti a scaldare mani e budella e con la stessa Rune Grammofon a dare rifugio ed orizzonti al talento dell’algida norvegese.

susannaFlower of Evil è una piccola creatura a 14 petali, dei quali due riscritti e ripensati dalla stessa autrice e i restanti giunti sul prato dai quattro angoli della canzone d’autore. cover le si direbbe e tali in effetti sono. accolte e riscaldate fra pianoforte, organo e percussioni d’ovatta, fra chitarre subacque, vibrafoni e voci.
ci si impiega pochi istanti a dimenticarsi di Nico o Lou Reed, dei Black Sabbath o degli Abba che partorirono queste canzoni perché Susanna riporta tutto altrove, in un intimo dilatato e sospeso, e lo fa con tanta più personalità cresciuta in quest’anno e oggigiorno ingigantita e impossibile da evitare.
tentai di barcamenarmi fra impossibili paragoni uscendone perplesso, e per questo non persevererò nel tentativo di ingabbiare quella voce in facili associazioni o comparazioni. quello che posso dire è che sento una classicità indiscutibile vibrare in quelle corde vocali, come un richiamo distante ed assoluto ad abbracciare le tante vocalità muliebri che hanno fatto la storia della popular music.
e credo farà piacere a molti sapere che il controcanto di alcune canzoni è discretamente affidato alla “voce maschile” per antonomasia di questo inizio millennio: Bonnie “Prince” Billy. ed è delizia!

mi fermo qui, non aggiungo altro. un week-end è alle porte, e sarà freddo, forse nevoso, di certo ventoso. io consiglio di ritagliarsi un piccolo tempo di calore e di musica, di prenderlo a prestito in due soluzioni (da qui e poi anche da qui) e di lasciarsi scaldare da un grande disco di canzoni e di voci.
a presto

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