esulo un poco dalle consuete questioni che riempiono questo spazio: ma neppure troppo. mi è soggiunta un’anomala tentazione di onorare e tributare il giusto ringraziamento ad un oggetto che da più di un anno mi accompagna indefesso e silenzioso (o quasi), prezioso esempio di come, non sapendo se davvero il fine giustifica i mezzi, a volte i mezzi glorificano il fine.
sto parlando delle mie cuffie (portatili, tascabili) che gli specialisti definiscono in-ear. un solerte commesso di un grande store me le presentò entusiasta esulando per un breve istante dagli intenti commerciali del suo datore di lavoro. mi fece capire con un’occhiata che quelle, e non altre, rappresentavano il miglior rapporto qualità prezzo, snobbando e insinuando disgrazie a proposito di quelle bianche ed ufficiali che ogni iPod vorrebbe con sé. e non si sbagliava.
AKG K 315 (marca e modello) fecero immediatamente capire di che pasta erano fatte, e nonostante i quasi 30 euro che dovetti esborsare, mi ritrovai proiettato in una nuova dimensione sonora della quale ero ignaro. una relazione che durò poco più di un mese perché un bel mattino mi ritrovai il canale destro defunto e irrimediabilmente perduto. due ore dopo avevo una copia gemella di cuffie identica a quella che avevo appena seppellito, a dimostrazione che l’epifania del primo istante continuava a guidare i miei gesti.
quel secondo paio è dunque con me da più di un anno e subisce da allora uno stress quotidiano che si agira dalle 3 alle 5 ore. stress dovuto alla qualità di musica ascoltata e ancor più dalla serie infinita di arrotolamenti, attorcigliamenti, strappi, cadute e di tutta la polvere che si beve nel mio peregrinare lavorativo.
senza scendere in dettagli tecnici che ciascuno può trovare in questa scheda, e senza indagare sul mio insano rapporto con il materiale “tecnico” in genere, sia bastante questa mia sperticata lode per un oggetto che mi stupisco di trovare ancora integro nelle mie mani, mezzo beatificatore di gradito isolamento dalle nefandezze verbali del popolo italiota e, ancor più, messo angelico di musiche che provengono dal luogo più incredibile che mi sia concesso portare in tasca: il mio iPod.
precisando che non percepirò denaro per quanto sopra scritto (semplicemente perché non mi è stato offerto), termino qui quello che potrebbe pure essere un semplice consiglio per gli acquisti, ma che è per me un tributo doveroso e emozionato.
p.s. visto che la sfortuna e la scaramanzia parlano lingue diverse, preciso ulteriormente che se, a causa di quanto scritto, dovessi trovarmi assai presto a seppellire le mie care compagne auricolari, non esiterei ad acquistarne immantinente un paio ulteriore.
(speriamo che serva)
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Mumble…allora dici che non c’è paragone con gli auricolari bianchi, ‘ufficiali’, iPodiani?
gli auricolari ipodiani sono ridicoli al confronto. Questi sono gli auricolari di Borguez!
cara SigurRos hai l’onore ufficiale di conoscere colui che mi ha allevato quando ancora mi bloggavo addosso: Luca Sartoni. se è stato possibile far esistere un incontro fra me e la sfera della rete lo si deve a lui. e molto di più: dopo i primi vagiti decisi che forse non era il mio campo (e forse non lo è per davvero) e, inavvertitamente, cancellai quel mio primo blog perdendo coglionamente ogni cosa. sai chi aveva memorizzato ogni cosa? salvato ogni mia pagina e conservato quei primi dentini caduti?
esatto: lui!
so che mi osserva con fare paterno e non si permette certo di intervenire quando parlo di free jazz o psych folk, ma se per caso mi scappa una questione tecnica stai pur certa che come un falco piomba sulla questione.
per quanto riguarda la tua domanda credo ti abbia già risposto lui, e se vuoi sapere la mia opinione ti dico NO, non c’è proprio paragone!
buona domenica a tutti e due!
E’ un piacere conoscere l’angelo custode di Borguez 😉
Bièn, domani vado giusto a fare un giro alla Fnac…grazie 🙂
il discorso sulla qualità dei mezzi tecnici per fruire della musica era stato accennato da Fabio poco tempo addietro. mi trovavo perfettamente d’accordo con lui che ciò che esce da un telefonino può sì essere riconosciutio come questo o quel brano, ma non può (almeno a casa mia) essere riconosciuta come musica in quanto tale.
una fotocopia in bianco e nero e rimpicciolita del Caravaggio è probabilmente riconoscibile, ma sfido chiunque ad entusiasmarsi a dovere.
lo stesso discorso credo debba valere per le piccole cuffie che molti si portano appresso nell’urbe: se possono essere un poco di più e un poco meglio di un basso standard diffuso io credo che sia un bene. le mie (quelle sopra descritte) mi soddisfano tenuto conto del loro prezzo e della loro funzione.
potendo, le consiglierei volentieri per quel tipo d’uso.
Ottimo, utilissimo post caro Borguez (anche se per un momento, aprendo il tuo blog ancora assonnato, ho pensato che si trattasse di un post sulle docce 🙂
Attendo notizie sulla fascinosa Josephine…
telefoni per doccia giganti: effettivamente possono sembrare tali!
mi sono fatto prendere da un moto d’affetto per l’oggetto che mi tiene compagnia nei miei giorni lavorativi, un specie di rigurgito alla Perec.
che dire della bella Giuseppina: nessuno mi toglierà dalla testa quella sensazione di cui già ti parlai, l’albatros baudelairiano incarnato nella dinoccolata figura di una cantautrice fuoriuscita da chissà quale tempo.
anche ieri sera, di fronte a poche decine di fedeli seguagi ha tentennato, ingoffendosi, titubando e incespicando nella sua stessa meraviglia. lampi e sprazzi di bellezza si intervallavano con attimi trasognanti e di scarsa professionalità. ora, non sono certo io ad esigere chissà quale interpretazione fedele o ligia a qualsivoglia regola aurea, ma un briciolo in più di sano professionismo non guasterebbe.
qualcuno sostiene che certe sostanze psicotrope non aiutino l’interpretazione artistica e addice a quelle le performance traballanti della Foster: io non saprei.
raffronto ciò che ho visto con i dischi consumati e mi dico che qualcosa non quadra, ma a conti fatti, e a serata terminata, mi sono visto perdonare ancora l’oggetto di tanto desìo.
Molto interessante la tua descrizione della serata. Qui a Londra la ricordo molto concentrata, quasi in trance. Mi hai fatto pensare un po’ ai primi concerti di Cat Power ai quali assistii oltre dieci anni fa. Quei conti che non tornano con gli ascolti domestici. Fragilita’ femminile portata alle estreme conseguenze.
la Josephine Foster vista l’altra sera non mi pareva esattamente “concentrata”, piuttosto rapita (perduta?) in un suo interiore in cui faticava a far entrare estranei che tutto sommato avevano pagato un biglietto più o meno per quella destinazione.
se poi estrai dal cilindro il misconosciuto e insondabile tema della fragilità femminile mi vedo costretto a recedere (e cedere) le armi per evidente inferiorità ed incapacità a comprendere.
oggi ho riascoltato l’ultimo disco e ti (mi) assicuro che la distanza fra la sua interpretazione e la bellezza lì contenuta è evidente e, in qualche maniera, apparentemente incolmabile. eppure, e mi ripeto eppure.
passo e chiudo.