27 Luglio 2008

Domenica. il 27 Luglio 2008 sarà una Domenica.
io sarò a Lucca. fato permettendo, naturalmente…
ho appena scoperto casualmente (sono più propenso a credere che la notizia abbia cercato me) una di quelle novelle che tutta una vita allietano.

Leonard Cohen dal vivo.
Leonard Cohen dal vivo a Lucca.
scrivo mentre mi compiaccio e traballo al solo pensiero. il tour partirà l’11 maggio da Fredericton, NB, Canada e terminerà a Ledbury, UK, il 3 agosto. la maggior parte delle date è già (ovviamente) sold out.
io mi affretto.
chi vuol giocare metta un dito qui sotto….

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Nina Simone Tell It Like It Is

ancor prima di proferire qualsiasi parola o di scriverne altre, consiglio di prendersi la briga di cliccare qui sotto…

Nina Simone che canta in italiano un pezzo dei primissimi Bee Gees con il testo tradotto in italiano da Gino Paoli. Così Ti Amo (To Love Somebody appunto) apre un doppio appena uscito per la Sony-Bmg che tenta di raccogliere (con gesto furbo ma mirabile) una serie di inediti del periodo più denso della produzione della pianista e cantante. quello compreso fra il 1967 e il 1973. l’impegno politico, l’affracamento (grazie ad un successo consolidato) dalle scelte meramente commerciali e la libertà espressiva manifestata in decine di concerti.
mi rendo conto che potrei usare altri aggettivi, ma questo disco è semplicemente splendido. di una freschezza che stordisce. già fuori da qualsiasi idea di contesto temporale e ben oltre l’idea di classico. ci si è forse troppo presto abituati al fascino di una voce che ancora molto, a cinque anni di distanza dalla morte, continua ad esprimere.

25 brani straordinari. un saggio enorme della capacità compositiva ed interpretativa di una pianista classica giunta alla musica secolare un poco restia e titubante, ma pur sempre irriverente e scomoda malgrado un stile inarrivabile.
ballate soul (Do I Move You, Tell It Like It Is, Save Me) e preghiere in odore di gospel (Peace of Mind, What Have They Done To My Song Ma). intimismi per piano e voce (In Love In Vain, The Man With The Horn, Come Ye, Take My Hand Precious Lord) e versioni inedite di suoi classici (To Be Young Gifted And Black, Ain’t Got No-I Got Life). una preghiera sentita, espansa e misericordiosa per MLK (Why The King Of Love Is Dead), un proto-rap un po’ flamenco un po’ Arkestra di Sun Ra (22nd Century) e due incredibili commistioni fra soul ballad, jazz e lirismo classico. nessuno mi toglie dalla testa che sotto lo standard I’ll Look Around non stia scorrendo mite un Notturno di Chopin e poi Thandewye Spiritual dove un’invocazione è accompagnata in alto da un contrappunto degno di una fuga di Bach. pure meraviglie!

ma credo davvero che la grandezza di Nina Simone si misuri, in questo disco, in due diverse versioni live di Suzanne di Leonard Cohen. due live dello stesso anno, il 1969. lì nel mezzo splende la sua capacità interpretativa. la prima folksy, un poco Woodstock style, acustica e tribale così come poterono ascoltarla gli spettatori al Teatro Sistina di Roma…

[youtube=http://it.youtube.com/watch?v=GMb_vACGNCU&feature=related]
l’altra versione alla Philarmonic Hall di New York, stesso anno. diafana, impalpabile ed eterea. di una purezza ed una modernità che fa tremare i polsi. forse ancora più alta e santa di come la cantò il bardo canadese.
…e con lei mi congedo.

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Adius

adius.jpg

scopro in piccola anteprima che più o meno fra un mese dovrebbe giungere a completamento la realizzazione del film (docu-film) di Ezio Alovisi sulla stagione dei cantautori degli anni ’70 ed in particolare sulla vicenda umana di Piero Ciampi.
e queste io le chiamo belle notizie!
Adius (l’irriverente Adius) è il titolo di una canzone dello stesso Ciampi scritta assieme all’inseparabile Maestro Guido Marchetti. il titolo del film (per chi conosce la canzone) lo trovo già assai consono.
poco tempo fa tre valenti registi si erano adoperati nella difficile impresa di ricostruire un poco il mondo attorno all’esistenza errabonda di Piero Ciampi. Claudio Di Mambro, Luca Mandrile, Umberto Migliaccio avevano coraggiosamente prodotto un piccolo documentario dal titolo La Morte Mi Fa Ridere, La Vita No. Piero di Livorno in versione Beta e della breve durata di un’ora. lo posseggo e lo ricordo piuttosto incentrato su Livorno e i livornesi. testimonianze e ricordi di quei pochi che riuscirono ad incrociare le traiettorie sghembe di un’artista sfuggente per natura e selvaggio per destino. ma delle parole di Ciampi poco, anzi pochissimo. perché la sua stessa biografia è spezzata ed incerta, piena di vuoti e buchi e inciampi (sic!), zeppa di fughe e di mancati ritorni, silenzi e notti che è bene non aver esplorato. e soprattutto lontano da qualsiasi ribalta o cinepresa.
le sue stesse apparizioni televisive talmente rare da alimentare la fama di imprendibile. esiste questa Tu No carpita ad un Senza Rete del 1970, ma credo che ben presto i “gerarchi” RAI e la sua stessa inaffidabilità abbiano inevitabilmente chiuso ogni possibile rapporto fra Piero di Livorno e gli studi televisivi.
fino al 1977 quando la RAI gli concesse lo spazio di un breve recital (15 minuti circa) dal titolo Piero Ciampi, no! e che, per quanto io sappia, è praticamente l’unica testimonianza visiva, tardiva, e appena in tempo prima della sua morte di tre anni dopo.
[youtube=http://it.youtube.com/watch?v=iHs2jWSlHlg&feature=related]
si trattò di qualcosa di stridente fra l’amarezza e un’ironia nera e bastarda. tutta spiattellata lì di fronte l’esistenza randagia e l’intolleranza per qualsiasi logica, politica o bandiera. considerazioni ebbre e slegate, un testo da seguire a braccio e gomito alzato. canzoni stravolte e dimenticate. una vita da riassumere in 15 minuti. sinceramente impossibile raccontare la sua anche per lui come per chiunque di noi…

[youtube=http://it.youtube.com/watch?v=dk6xe_6Y1D0&feature=related]
auguro a Ezio Alovisi di esservi riuscito. lo auguro a lui alle sue testimonianze e alla cifra narrativa che avrà scelto di adottare per seguire la pista randagia di un ineffabile, nel vero senso della parola.
non sono mai riuscito a fare altro che ascoltare Piero Ciampi, non ho neppure mai pensato di comprendere e tantomeno di raccontare un poco di lui. per questo apprezzo a priori ciò che questo film potrà essere o fare. invito chiunque a tentare di non farselo sfuggire. poi magari se ne riparlerà.
mi consolo in questo aprile di merda a pensare che questo paese ha avuto anche l’immeritato onore di avere fra i suoi cittadini un uomo come Piero Ciampi, Piero Litaliano come l’appellavano appunto a Parigi!

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…trattasi effettivamente di un blando plagio!

mentre ascolto Alice espormi l’ipotesi verosimile che la canzone Buonanotte Fiorellino di Francesco De Gregori sia ispirata (dedicata) ad una donna (prima moglie?) morta in un incidente aereo precipitato nel mare al largo di Palermo (Punta Raisi) mi torna in mente una faccenda di cui ero privatamente e fermamente convinto e che per indolenza o pigrizia (o benedetto ecchisenefrega!) avevo e avrei taciuto.
la “leggenda metropolitana” narra più o meno che su quell’aereo avrebbe dovuto esserci pure il cantautore romano che non vi salì per impegni sopraggiunti e che le parole di quella celeberrima canzone debbono essere lette alla luce di questi fatti. sarà bene riascoltare dunque…

la canzone è tratta da Rimmel (1975). qui si può trovare il testo e qui una versione live. effettivamente ci sono indizi che porterebbero tranquillamente a quella probabile verità. tra il telefono e il cielo, biglietti scaduti, mare e pioggia, tristezze che passano al mattino e anelli che restano sulla spiaggia, fino alla celebre …gli uccellini nel vento non si fanno mai male! tutto verosimile, ma la questione è un’altra.

da tempo covavo silenzioso il sospetto che quella canzone assomigliasse un po’ troppo ad un’altra di Bob Dylan (ebbene sì! sempre lui). inizialmente pensavo ad una improbabile assonanza o a leggiadre similutidini, ma poi un’indagine un pochino più accurata mi ha chiarito alcuni dubbi.
anche qui, come sopra, sarà bene prima ascoltare…

Winterlude dall’album New Morning (1970… si badi bene!). la lettura del testo potrebbe allontanare ogni dubbio. little daisy (fiorellino), winterlude by the corn in the field (il granturco nei campi è maturo), winterlude by the telephone wire (buonanotte tra il telefono e il cielo), the skating rink glistens (la coperta è gelata), by the sun near the old crossroad sign (ora un raggio di sole si è posato) e poi where the snowflakes they cover the sand (fiocchi di neve e spiaggia, appunto).
direi che non ci sono troppi dubbi.
se a questo si aggiunge l’incedere praticamente identico di un piccolo valzer fra chitarra e pianoforte direi che la frittata è praticamente fatta. la piccola (e inutile) scoperta me la sarei davvero tenuta per me, ma ho voluto verificare più precisamente e chiedere alla grande sfera della rete globale. molto semplice. digitare “fiorellino winterlude” su google ed ecco comparire la tesi (e la sua stessa ipotesi) spiattellata in bella mostra. su wikipedia poi non si tace questa verità e pare che lo stesso De Gregori abbia “confessato” questo piccolo-grande plagio nel 1984 intervistato dall’Unità.

mi rendo conto della pochezza dell’argomento, ma era una mia curiosità in qualche modo risolta e compiuta. anche di questo è fatto uno sciocco blog (il mio), e anche dei commenti (di solito più arguti) di chi vorrà…

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Souvenir du Mali

non riesco a smettere di ascoltare il disco di Toumani Diabaté!
e non trovo affatto che questo sia un sintomo del quale preoccuparsi. è esattamente uno di quei dischi che cresce smisuratamente ad ogni ascolto che si sussegue. e questo non fa altro che stuzzicare ulteriormente la mia curiosità e farmi giungere al fine ad una vera e propria recensione, ben più consapevole della mia che fu solo istinto e impressioni subitanee.

da qui partirò dunque per mettere ordine ad alcune “scartoffie” mentali che si sono accumulate e che riguardano il Mali e la sua musica. intanto questo è link per quella approfondita ed esaustiva recensione. e da quella a scoprire un blog davvero interessante come T.P. Africa il passo è breve. vale davvero la pena perdere un poco di tempo per ascoltare i loro argomenti, le recensioni, le esplorazioni e le loro storie. per me un sacco di nuove scoperte, di delucidazioni e approdo certo di serietà e correttezza nel trattare (in italiano, è bene dirlo) un tema spesso affrontato con superficialità. il plauso va dunque a Giulio Mario Rampelli e a Maurizio Ribichini che si prendono cura di quel blog.

e come spesso mi accade da molto tempo ormai, piccoli circuiti virtuosi paiono comparire di fronte all’insaziabile curioso che alberga in me. antefatto: stavo leggendo in anteprima l’articolo che comparirà domani (29 marzo) su Alias (l’allegato culturale del Manifesto… a proposito: auguri per il numero 500!) riguardante Le Festival sur le Niger tenuto a Segou (Mali) fra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio. l’autore di quell’articolo è Gianluca Diana (en passant… complimenti) e mentre lo leggo mi dico questo nome non mi è nuovo. e infatti! eccolo qui e qui proprio sul blog di cui sopra. qualcuno le chiama coincidenze: io ho smesso da tempo!
dunque il compito per il fine settimana è questo: non perdersi Alias di domani, approfondire la lettura di quel blog, programmare per il prossimo anno un viaggio in Mali per il festival, ascoltare ancora ed ancora In The Heart Of The Moon (lo sto facendo da due ore in realtà…) naturale anello di congiunzione fra ciò che fu e ciò che sarà e ringraziare Hank che di sottecchi mi inviò questo indirizzo di un ennesimo m-blog prestigioso e che non fa specie ritrovare fra i blog amici di T.P. Africa.
Awesome Tapes from Africa, ovvero come divulgare al mondo i contenuti delle miriadi di copie del supporto fonografico più diffuso nella madre di tutti i continenti. semplicemente geniale!

di seguito alcune immagini riguardanti Le Festival sur le Niger carpite dal sito…

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=OiNbmntBZzs]

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Cheikha Remitti Aux Sources du Raï

mi ricordo un celebre verso di una canzone di Lennon…Life is what happens to you while you’re busy making other plans! sacrosante parole direi che spesso si associano ad una specie di rammarico o ad un senso di colpa. beh, io a Parigi in quei tre giorni di febbraio del 1994 ci sarei potuto essere. sarei potuto essere all’Institut Du Monde Arabe. edificio amato, magico e meta di ogni mio pellegrinaggio nella ville lumière. sarei potuto essere testimone di un evento straordinario ed irripetibile fortunamente registrato e editato in questo compact disc dalle stesse edizioni dell’Istitut.

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Cheikha Remitti (شيخة ريميتي) o Rimitti (credo a seconda della dizione francese o anglofona) è stata probabilmente la più grande cantante algerina del secolo scorso. di certo la più nota. considerata unanimemente la madre del genere Raï e fornita di una biografia a dir poco leggendaria. al libretto di quest’edizione che consiglio vivamente di procurarsi rimando per le narrazioni di vicissitudini e storie che hanno accompagnato la sua vita.
nei giorni dell’11, 12 e 13 febbraio del 1994 ebbe la sua consacrazione di esule nella città che la aveva naturalmente accolta e che le aveva donato il lustro e lo splendore che una stella di tale portata merita.
3 giorni di concerti accompagnata da quattro fidi musicisti acustici. Nouba Belahcène (derbouka), Abdelkader Medjhari (guellal) Mohamed Hamnache e Cheikh Nedromi (gasba) e quindi Cheikha Remitti al canto ed al tamburello.

ne nacque un concerto ed un disco che trascendono i confini geografici e le epoche musicali con i suoi generi e le costrette classificazioni. lo stesso anno Robert Fripp e l’establishment commerciale si accorsero di questa perla rara e tentarono di farla splendere fra produzioni e strumentazioni “occidentali”. ne nacque Sidi Mansour da molti considerato il capolavoro della Remitti. dissento, ma gentilmente. io davvero preferisco la purezza di quel live.
preferisco il mistero e la profondità di quella voce ancor prima di scoprire le tematiche sociali di cui canta, la vicenda che trasporta il Raï e le implicazioni politiche di una terra martoriata di Algeria. preferisco un suono che riconcilia con la musica tutta e non mi addentro oltre nel descrivere ciò che in realtà andrebbe davvero solamente ascoltato.
ciò che dico è che questo disco andrebbe cercato e fatto proprio, conservato come un pezzo di mondo da tramandare. è il suono di uno spigolo di storia che si riflette ovunque trasportato da quel canto e dalla presenza immensa di una sarcedotessa.
…e aggiungo solo che quel giorno a Parigi davvero avrei voluto esserci!


Cheikha Remitti Ya Lem-Mima (La Mère)

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E tu perché sei mora!

fra i primi di Novembre e la fine del Dicembre del 1954 Alan Lomax girò il lungo e in largo per l’Emilia-Romagna in compagnia del suo fedele registratore e dell’etnomusicologo italiano Diego Carpitella (del quale sarà bene parlare al più presto). seguendo un percorso sghembo e apparentemente illogico attraversarono la regione da Gorino a Mezzogoro (Fe) fino alle colline di Civitella e Ranchio (Fc), per poi spostarsi a Costabona (Re), Riolunato (Mo) e infine a Compiano (Pr). il lavoro sul campo e successivamente di ricerca produssero un piccolo archivio che andò ad accumularsi all’enorme tesoro delle registrazioni di Lomax e che nello specifico si concretizzò in questo disco.

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The Alan Lomax Collection Italian Treasury: Emilia-Romagna appartiene ad una più vasta collezione (che considero imperdibile) di registrazioni “italiane” avvenute fra l’estate del 1954 e il gennaio del 1955. edizioni curatissime e assai dettagliate per lenire un poco gli afflitti cronici da esterofilia e per riconsiderare un poco un patrimonio esistente (esistito?) in un’Italia che fuggiva dalla guerra e “fotografata” poco prima del boom imminente. sono canti di lavoro, filastrocche, riti stagionali e pagani, processioni e auguri. oppure canti politici, allegrie o canzoni di migranti.
perlopiù sommerse queste musiche hanno segnato un tempo ampio del secolo scorso, tempo pagano di cicli della terra e tempo piccolo racchiuso in un canto e in un’esecuzione. voci della terra, dei monti , delle lagune e delle bonifiche. gli scariolanti (A Mezzanotte in Punto) e i riti del Maggio (Maggio delle Anime Purganti, Tamburo del Maggio), coloro che partivano (Addio Padre) o che venivano imprigionati (O Cancellier), i rituali di augurio dell’anno che giunge (Capodanno) e balli (Trescone, Polka, Ballo della Veneziana).

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sono voci distanti, ignote o semplicemente annotate, sconosciute (unidentified) o davvero dimenticate dai più, cori di gruppi e di comunità, ritrovi e trebbi. sono le voci del lavoro che non fanno più eco nei campi ma che immediatamente riconosco nell’idioma e nell’incedere. per un romagnolo ascoltare la voce di Domenico Cangini (chissà chi è o fu?) di Ranchio (Fc) intonare Alla Boara (sorta di call and response fra aratro e buoi) è come riconoscere la propria terra…

e poi le voci delle mondine. voci femminili “riconoscibili”, riconducibili ad una storia condivisa e per molte assai amaramente simile e solidale. sono voci che paiono ancora vive ed accese, voci che narrano una storia “semplice” di partenze e di ritorni, di nostalgie e consolazioni.
Sento le rane che cantano è forse una delle canzoni più conosciute…

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ma forse la canzone più divertente (mi si conceda) del disco è E Tu perché sei mora! registrata a Compiano (Pr) il 19 Dicembre del 1954. gli appunti di Lomax annotano una specie di “risposta” maschile alle canzoni delle mondine ed in particolare a quella Addio morettin ti lascio (non presente nel disco) che narra delle vicende amorose di queste ragazze e delle disullusioni degli amanti abbandonati. ne ho trovata una versione (lombarda) interpretata da Nanni Svampa (di cui si riparlerà)…

la risposta del coro non identificato di Compiano è altrettanto scaltra e spietata. c’è dentro tutto quella scorrettezza e quel cinismo che anni di forzate buone maniere ci hanno insegnato a dispregiare. c’è l’anima di Cecco Angiolieri, l’amaro dei rapporti umani e l’egoismo mal celato, la parte oscura dei sentimenti. una verità sputata in faccia e cantata. così intonata dal coro diventa quanto di più irriverente e divertente ci possa essere e quell’incipit resta perfetto per qualsiasi canzoniere popolare…

E tu perché sei mora
credevi farmi gola
delle more ce n’è ancora!

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The Beatles The 1968 Demos

mi ero ripromesso tempo addietro di riprendere ed affrontare una ad una le 30 canzoni che compongono il celebre White Album dei Beatles, e sarei ben intenzionato a non tradire tale promessa, ma sopraggiunge inattesa una “novità” che mi costringe a ritornare ad un passo precedente a quel disco.
mi spiego meglio. uno dei tanti m-blog che tento di seguire nella speranza di (ri)scoprire meraviglie obliate mi ha appena deliziato con la pubblicazione di un bootleg dei Fab Four. Telhados do Mundo, questa la ragione sociale brasiliana del blog che a quanto pare si occupa principalmente di bootlegs e dintorni, mette a disposizione una delizia per me imprescindibile.
the-beatles-copertina-n.jpgThe 1968 Demos è composto da 25 brani tutti “incisi” nel 1968. i primi quindici nel tardo maggio di quell’anno presso la casa di George Harrison. i restanti 10 ad opera del solo John (e naturalmente dell’immancabile Yoko) fra quello stesso maggio e la fine dell’anno. la maggior parte di quei brani sono abbozzi e versioni acustiche dei brani che andranno a comporre quell’album bianco delle meraviglie. alcuni di essi credo fossero già comparsi nell’Anthology ufficiale del 1996, ma nulla di tutto questo toglie assoluta curiosità all’ascolto. nell’epoca oramai decadente del lo-fi e dell’home recording fa bene restituire a questa pratica privata tutto l’integro valore ascoltando cimentarsi in essa George, John e Paul. anche se di quest’ultimo non mi pare inizialmente averne scorto la presenza, forse a causa di quel celebre incidente. Ringo chissà dov’era?
the-beatles-foto-2.jpguna Revolution acustica e corale che sembra presagire la più tarda Give Peace A Chance, Everybody’s Got Something to Hide Except Me and My Monkey che sfrutta la sovraincisione di un probabile quattro piste e diviene caos tribale con lo sciamano John a condurre le danze, I’m So Tired fra schiamazzi e cori doo-wop e con uno spoken inatteso e da rimpiagere nella versione finale, Mother Nature’s Son (stavolta pare davvero Paul ci sia) praticamente in versione folky definitiva e poi una manciata di vere e proprie outtakes per la fame di veri fans!

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Not Guilty consta solo di 51 secondi ma mi parrebbe inequivocabile la cifra di George Harrison. forse basterebbe quella chitarra decisamente più raffinata delle altre o i coretti con quel falsetto rassicurante. di certo un abbozzo, e dunque o non venne sviluppata o venne sacrificata presso l’altare del duo compositivo più celebre del creato pop.
What’s The New Mary Jane è invece decisamente farina del sacco di Lennon. così british ed infantile da non potersi sbagliare. testo surreale da non lasciare dubbi e ovvio riferimento ed evocazione alla MaryJane fumata in evidente abbondanza. filastrocca folky con una vocetta accattivante e irriconoscibile in sottofondo….
e poi c’è una Child Of Nature sorprendente nell’evocare ancora la vicenda del Maharishi e nel principiare così…
On the road to Rishikesh… ( difficile non riconoscere ciò che diverrà!)

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gli ultimi dieci brani del bootleg appartengono a John e Yoko e verrebbe quasi da dire che narrano già un’altra storia. preferirei soffermarmi sui primi, su quello sguardo all’intimo della loro lucida follia creativa o a pomeriggi o nottate un poco lisergiche nel privato di residenze da stars. un documento imperdibile eppure assai semplice. canzoni, chitarre, sciocchezze e risate, ma la storia da lì è passata e ha deciso di voltare.

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Mimmo

non dispiace vedere quella faccia da italiano che aveva Modugno sporgersi da ogni giornale o edicola. e poi radio e (presumo) televisori. l’anniversario, sempre che abbiano senso gli anniversari, è di quelli importanti. 50 anni dall’apparizione della canzone che più di ogni altra rappresenta l’Italia nel mondo.
Volare (che in realtà, come credo ben si sappia, si intitola, meravigliosamente, Nel Blu Dipinto di Blu) vinse Sanremo nel 1958. 50 anni dunque da una piccola “rivoluzione” che non ha cambiato la storia della musica e neppure quella della società italiana, ma che per sempre aprì all’onirico e a quel poco di surreale che può contenere una canzone. chiuse probabilmente un dopoguerra difficile per inaugurare il boom e la sbornia dei ’60.
e come spesso accade un successo di tale portata tende (italianamente e non…) ad offuscare tutto ciò che prima venne e dopo accorse. mi torna sempre in mente a questo proposito l’effetto che fece My Baby Just Care For Me sulla carriera di Nina Simone. più o meno! e di questo brevemente vorrei parlare, fermo restando l’immensa riconoscenza che pur io debbo a quel sogno così che non ritorna mai più!
prima di quel ’58 Modugno aveva già scritto canzoni memorabili. canzoni che avevano portato nuova linfa alla tradizione napoletana. penso a Lazzarella e Io Mammeta e Tu, a Strada ‘Nfosa (meravigliosamente fra Napoli e un sobborgo dei Platters) e Resta ‘Cumme dove il rivoluzionario verso (Nun me ‘mporta d’o passato, nun me ‘mporta ‘e chi t’avuto) faceva i pugni con il maschilismo imperante dell’epoca. ma qualche anno prima c’era stata la parentesi dialettale. fra il 1955 e il 1956 Modugno, oscillando fra dialetto pugliese (il suo) e siciliano, aveva composto delle vere e proprie work songs inerenti minatori e pescatori. Lu Pisce Spada la più celebre di tutte.
Dopo, dopo quel 1958 e prima dell’edizione successiva di Sanremo che rivinse con Piove (e che molti dimenticano) riuscì ad inanellare un paio di altri successi che basterebbero ad illuminare la carriera di chiunque altro. sto pensando a Vecchio Frack, certo, di cui magari non tutti ricordano questa interpretazione così carica di pathos e “televisamente” perfetta e soprattutto una delle mie preferite e direi piuttosto misconosciuta Notte di Luna Calante. nessuna parola in più. da ascoltare.

ma forse è nelle due collaborazioni con Pier Paolo Pasolini che prende senso tutta una ricerca e una tensione sottesa e intrinseca al Modugno autore. 1966, Uccellacci e Uccellini. 1968, Che Cosa Sono le Nuvole? (episodio del film Capriccio all’Italiana). una canzone che prende e da il titolo al cortometrggio (scritta assieme a Pasolini) e un’apparizione a fianco di Totò. tutto il mio folle amore lo soffia il cielo!

del capolavoro di Pasolini invece cantò la sigla in un esperimento forse primo ed unico nel suo genere. Ennio Morricone a sopraintendere, suonare ed orchestrare. Modugno ad interpretare. Pasolini a scrivere e dirigere e l’immensità di Totò a recitare. forse è bene sottolineare l’altezza di questa collaborazione e il virtuoso crocevia che si venne a creare. quattro eccelse espressioni pensanti italiane riunite in un solo istante e sospinte e benedette da un afflato popolare. forse quando ancora era possibile una franchezza intellettuale, una libertà espressiva e un coraggio che oramai è un poco perduto.
[youtube=http://it.youtube.com/watch?v=237CM6RZTdE&feature=related]
in ogni caso e comunque la si pensi io mi concedo un sonoro… Viva Mimmo!
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Toumani Diabaté The Mandè Variations

eccolo! ecco il disco che non si osava neppure immaginare. quello che rimette in pace le ansie ed i dubbi, la continua tensione fra moderno e ricerca, fra avanguardie e tradizione. ecco provenire dalla madre della terra il suono liberato dal tempo e dai luoghi, privato dell’inutile e consacrato nel semplice, nella sottrazione, nella privazione.

Toumani Diabaté The Mandé Variations
un uomo da solo in preghiera. un griot e la sua kora. una stanza nell’albergo/studio di registrazione di Bamako, Hotel Mandè. nello stesso luogo, con le stesse rive del Niger a limitare lo sguardo. lo stesso luogo in cui fu registrato In The Heart Of The Moon assieme allo spirito immenso di Ali Farka Toure. vorrei sgombrare il campo da sacralità, mistica o retorica, ma questi uomini paiono immersi in un mondo che da questa sponda del mediterraneo pare perduto. e allora se esiste un conseguirsi delle generazioni, l’avvicendarsi del tempo e delle stagioni, se esiste un senso nella tradizione ecco questo disco ad insinuarsi dolcemente in questo flusso, a porsi come come pietra miliare alla quale giungere e dalla quale ripartire.

di questo disco non parlerò, non potrei, non dovrei. questo disco lo si ascolta, non se ne dovrebbe parlare. a me resta la sensazione del compiuto, di un punto a cui i miei ascolti era necessario che giungessero e dai quali si diramassero nuovamente con un segreto taciuto e questo suono per sempre in coscienza.

gloria alla World Circuit che svolge un lavoro immenso, eccelso e encomiabile e che diffonde questo video assai più esplicativo di ogni mia parola.
fra i dischi del secolo, ma non so quale!

[youtube=http://it.youtube.com/watch?v=-hVZ96W61Eo]

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