Bob Dylan's Theme Time Radio Hour

…if you’re not the new Dylan, then who are you? (Howe Gelb, The Hangin’ Judge)

qualche giorno fa mi giunge una mail del caro Hank che mi informa che l’autunno porterà i frutti più prelibati dell’albero più desiderato. il menestrello di Duluth si rimette la cuffia e si schiarisce la voce, la nuova serie delle Theme Time Radio Hour ritorna in onda in data odierna. il sito ufficiale preferisce promuovere l’ennesima raccolta, e questa è cosa buona e giusta se per caso si è nati (per esempio) nel 1992 e si è digiuni della vicenda dylaniana, ma per me, e soprattutto per Hank, vedere riaprirsi lo scrigno privato degli ascolti colmo di tesori e sentirselo raccontare da quella voce non ha prezzo!

le prime 50 puntate andate in onda a partire dal maggio 2006 con frequenza settimanale hanno offerto solamente un piccolo saggio della cultura musicale vastissima e della capacità di ricerca di Dylan. un viaggio negli inferi a ritroso verso le radici della musica americana guidati da un Virgilio d’eccezione. ogni settimana un tema diverso per non perdere la bussola dentro un mare vastissimo di musiche, parole, citazioni e brandelli di cultura varia. New York, il cibo, i cani e il tempo, il Texas e i fiori, i nomi di donna e le pistole, il natale e il baseball… 50 ragionamenti musicali. 50 diverse prospettive per approfondire e cercare di comprendere l’universo sognato da un americano un po’ speciale!

nel caso vi foste perduti le puntate precedenti non sarà difficile pazientemente recuperarle qui o nel mare magnum della rete, come anche conoscerne tutti i dettagli, le scalette e le opere citate, facendo affidamento sulla meticolosità e la cura della schiera di fans dylaniani. quello che si sa di questa nuova serie è che la puntata odierna avrà come tema la parola Hello. poi seguiranno altri temi più o meno curiosi come la California, la frutta e i sogni, le strade e i parties, la posta (wow!) e quant’altro… ma ciò che è pure importante è sapere che la voce di Ellen Barkin continuerà ad introdurci meravigliosamente dentro quell’ora di delizie… it’s Theme Time Radio Hour with your host Bob Dylan!

finchè avremo Dylan e la possibilità di ascoltarlo suonare, cantare e sussurrare al microfono non avremo bisogno di letture personali o MTV videos montati ad arte sopra le sue melodie. ognuno di noi ha la sua visione e la sua percezione della grandezza dell’artista, del suo potenziale immaginifico e della sua visionarietà. operazioni come l’ultimo I’m not there mi lasciano davvero perplesso e basito di fronte alla volontà di carpire la sua vicenda. Dylan è ancora qui, imprendibile, non è ancora ora di epitaffi funebri: mentre lo si vorrebbe afferrare lui è già altrove, nel sogno, nella storia, o dietro ad un microfono… it’s Theme Time Radio Hour with your host Bob Dylan!

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La Settimana Rossa

questa è una vecchia storia avvenuta in terra di Romagna quasi un secolo or sono. la mia memoria conservava un’idea vaga e confusa dei fatti che avvennero durante la Settimana Rossa. di recente mi è capitato di leggere un articolo al riguardo e ne ho approfittato per fare qualche ricerca. per fortuna la rete conserva e preserva nei suoi meandri alcuni piccoli tasselli di una vicenda che rischiò di cambiare la storia d’Italia agli albori di un secolo dove tutto sarebbe potuto accadere, ed in effetti accadde.

Ancona, 7 giugno 1914. le forze dell’ordine uccidono all’uscita da un comizio antimilitarista tre giovani operai: due repubblicani e un anarchico. la folla si era riunita per manifestare il proprio antimilitarismo, contro la guerra di Libia e per la liberazione di Antonio Moroni e Augusto Masetti rinchiusi per renitenza alla leva. in particolare il Masetti, qualche anno prima, aveva sparato durante l’adunata al colonnello e per questo fu rinchiuso in manicomio. Sergio Zavoli lo intervistò nel 1964…

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due giorni dopo, il 9 giugno 1914, l’intera Romagna insorge. anarchici, socialisti, repubblicani scendono in piazza, fiocchi rossi al collo e cappa nera sulle spalle. più i larghi cappelli portati di sghimbescio, in una postura allora detta alla dioboia tanto per non fare scordare un anticlericalismo robusto. è lo sciopero generale! aderiscono i repubblicani tradizionali e anche la corrente eretica. la Romagna Socialista, organo riformista ma niente affatto moderato, incita alla lotta a oltranza. i giorni successivi dimostrano che non si è in presenza di uno sciopero come tanti. un comitato dello stesso sciopero proclama la decadenza delle autorità costituite e la nascita della repubblica. le notizie che provengono dal resto della Romagna sono confortanti. chiese in fiamme, uffici pubblici occupati, polizia ed esercito in ritirata. Ravenna si abbandona a una grande festa popolare, che dura giorni (due libri sull’argomento). sempre Sergio Zavoli che intervista un socialista ravennate…

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in quei giorni Piazza del Popolo di fronte alla Prefettura è assediata dai manifestanti. è in una di queste sommosse viene ucciso il commissario di Pubblica Sicurezza Giuseppe Miniago ferito mortalmente alla testa. non si scoprirà l’omicida ma solamente l’arma del delitto. una bottiglia di seltz carpita in uno dei bar della piazza e lanciata verso l’ingresso del palazzo. in quei disordini si distinse l’anarchico Masetti (omonimia), facchino ravennate avvolto nella leggenda e nel mistero. un testimone oculare…

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in questa foto dell’epoca l’immagne di come si presentava la piazza in quei giorni…

a Forlì, il leader socialista Benito Mussolini (sic!) ha fatto svellere i binari ed è impegnato nell’abbattimento della statua della Madonna, sulla piazza principale. i ravennati invece vanno oltre. arrestano un generale dell’esercito, tale Agliardi, e sei ufficiali. li detengono nella sede repubblicana. è un passo azzardato. calano le truppe e assediano la città, che deve arrendersi. il generale Ciancio instaura una specie di dittatura militare che coordina la repressione. Ravenna è sconfitta, per il momento. la guerra mondiale di poco successiva cancella anche il ricordo della Settimana Rossa.

le vicende, la storia e i personaggi sono dettagliatamente descritti in questo sito al quale mi sono appoggiato e al quale ho rubato quei tre video. io mi sono limitato a tratteggiarne troppo rapidamente la cronologia incuriosito da fatti che non conoscevo e privatamente inorgoglito dai miei antichi concittadini…

…magari più tardi, nel pomeriggio, a vég a fér un zìr in piàza!

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Caro Hank…

Caro Hank,
è successo di nuovo! è successo di nuovo che da quella cornucopia a forma di zaino che ti porti appresso come un camminatore di pianure hai estratto un dono per me, ignaro di andare a toccare nuovamente i nervi scoperti dei miei ascolti! se rammenti successe alcuni anni or sono con la leggenda di Marvin Pontiac! ero alla ricerca di quelle favole africane lavate nel Mississippi. una ricerca stracca e per nulla proficua fino a quando, incontrandoti dietro i consueti nostri bicchieri, incontrai anche le tue parole: ho qui un disco che ti potrebbe interessare!

e adesso è successo di nuovo! in una notte estiva aggrapato ai battiti della radio e della strada faccio ritorno a casa, ma sono costretto ad allungare la strada per lasciare sfumare le voci di un gospel elettrico e sporco invocante il Mississippi (di nuovo?) e per cercare di comprendere chi si nascondesse dietro le tuniche di quel coro. ma il dj tace e io mi tengo l’ignoto e mi riprometto di indagare consapevole che potrebbe essere un’altra di quelle idee che vanno a morire senza farti un saluto!

e invece è successo di nuovo! è successo che distrattamente come ti allacci una scarpa o spegni una sigaretta mi hai allungato un disco dicendomi che avrei dovuto ascoltarlo, e nessuno di noi due sapeva che era il disco che mi ero dimenticato di cercare, e che non sapevo che stavo aspettando almeno fino a quando non l’ho fatto inghiottire lentamente dal mie lettore. e quel brano era proprio lì, acquattato davanti agli altri ad attendermi. Down in Mississippi! la voce imperdibile di Mavis Staples nella gloria di un’album meraviglioso!

We’ll Never Turn Back è stato pensato, suonato e prodotto insieme a quel monumento vivente che è Ry Cooder! 12 brani che ripercorrono antiche battaglie del movimento per i diritti civili, i sermoni del reverendo Luther e la marcia su Washington DC, la memoria ossequiosa di Mahalia Jackson e di tutta la famiglia Staples al completo. si affondano le ginocchia nel Delta Blues e nel sussidiario di JB Lenoir, ci si impolvera dentro le chiese del Sud e si assiste muti al disvelarsi dll’orgoglio afroamericano. tutto questo innervato dalla sapienza elettro acustica di un musicologo ancor prima che di un musicista. ho sempre pensato a Ry Cooder come un Alan Lomax contemporaneo. laddove era necessario scovare e scoprire oggi è necessario innalzare e svelare. e lui è riuscito a portare queste musiche oltre il loro tempo.

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…e visto che la lettera è ancora aperta, caro Hank, ti rinnovo un invito che già ti feci informalmente nelle nostre false diatribe e nelle elucubrazioni, quando i nostri tassi alcoolici assomigliano a orsi, quando ci meniamo verso casa e ci pare che la ragione alberghi poco lontano. il mio blog è aperto alle tue parole, ad una tua rubrica che non oso immaginare, alle tue peregrinazioni solitarie nel mondo della conoscenza fra i coretti dei Congos e un cruciverba di Bartezzaghi il vecchio, fra questioni liturgiche di sintassi e assoli di Milt Jackson, fra la distilleria tutta e l’ennesimo bootleg di Zimmy! Come in, ti dico, I’ll give you shelter from the storm!

sentitamente ringrazio per ciò di cui sopra, a presto…

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Who Killed Bambi?

il barcamp Romagna è oramai finito! le mie perplessità leggermente svanite, e in più la consapevolezza che la cosa è ben più seria di quanto pensassi. dietro quei blog e quei look impropabili da nerd (credo che loro preferiscano geek) si annidano persone curiose e sinceramente coinvolte, figure bizzarre e agitatori di conoscenza. dovrei fare un mea culpa per la rapidità del mio passaggio e per la distratta attenzione che ho porto alle questioni e ai meccanismi di questo tipo di (non) conferenze. ma nonostante questo sono riuscito a conoscere tre persone interessanti.

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il primo è Antonino Attanasio che Luca mi ha presentato per chiarire alcuni dubbi che io e Maud avevamo a proposito di web radio e diritti d’autore, siae e quant’altro! credevo di fare quattro chiacchiere informali e invece mi sono trovato di fronte un avvocato sognatore con il piglio del filosofo e l’umiltà pensante di un umanista! persona di cultura finissima e arte affubulatoria affilata che ci ha portato a spasso nella conoscenza senza farci sentire l’ebbrezza e la vertigine del volo!

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poi un’amica comune (Adele, per non fare il nome) mi presenta Roberto (Rob) che porta sul badge identificativo uno strano nome che fatico a leggere e che non mi azzardo a chiedere. io e lui ci siamo già visti eccome, ma probabilmente nessuno dei due nella blogosfera sarebbe riuscito ad associare il volto dell’altro ad un blog, e invece il barcamp ci è riuscito! così ho conosciuto un ragazzo curioso, con gusti simili ai miei (che son sempre sorprese) e acume e sensibilità da condividere. il suo blog si chiama Chinchillart (chiedete spiegazioni a lui su questo strano nome!) e mi pare doveroso tenerlo d’occhio!

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la fama di Livia Iacolare invece l’aveva preceduta tramite le lusinghe di Luca. e per una volta mi è parso verosimile che gli amici dei miei amici sono anche i miei amici! il suo ruolo nella blogosfera è forse meglio esplicato nel suo blog e ancora meglio nella sua versione inglese. fatto sta che presto avremo una versione italiana di intruders TV e in qualche modo lei ne è responsabile. comunque sia io per ora mi accontento dei suoi occhi furbi e irrequieti, del suo gradevole accento partenopeo e della sua autoironia (sempre sia lodata)! piacevole conversare con lei, molte risate, qualche birra e Livia mi indica un sito dal quale traggo il titolo di questo post. a dire il vero me lo aveva scritto su di un pizzino strappato dal suo moleskine ed io lo ritrovo oggi nella tasca dei jeans mentre mi appresto a riempire la lavatrice!

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mi aveva parlato di questo gadget imprescindibile ed eccolo in tutto il suo splendore! il peluche con la testa mozzata di cavallo di mafiosa memoria! a dire il vero tutto il sito è davvero splendido e da lì traggo le immagini. non ho mai amato il trash o lo splatter ma trovo che i tre ragazzi italiani che curano il sito siano dotati di sana ironia e buon gusto cinico.

nel caso viveste l’empasse del regalo natalizio…

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PJ Harvey White Chalk

Polly Jean è tornata! qualcuno potrebbe riconoscerla a fatica! la struttura gracile, la magrezza elegante e quegli abiti inattesi e antichi. come in una favola di Andersen il brutto anatroccolo diviene cigno. il lattice e il rossetto sbavato lasciano il posto al candore di un abito bianco così come appare sulla copertina di White Chalk in uscita a fine settembre.

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spenta l’elettricità, accantonata la chitarra e addolcita la voce. il pianoforte dev’essere stato il suo compagno per lungo tempo. un tempo speso a riconoscerne la dimensione reciproca, a lasciare che nuove composizioni prendessero forma alla ricerca di una nuova scrittura. ballate lievi, semplici. le sue canzoni di sempre spogliate e vestite di rinnovata leggerezza. John Parish e Flood ai bottoni, Eric Drew Feldman come un nume tutelare e Jim White dei Dirty Three a suonare quella sua batteria in “assenza”.

il coraggio e la scelta di una nuova sensibilità che pare racchiudere e contenere dolcemente la rabbia e il dolore di un tempo. un sentore di fine ‘800, come i lieder cari a Josephine Foster, un volersi collocare con diritto fra le “signore” del cantautorato femminile. senza scomodare Joni Mitchell, ma pensando a Shannon Wright e Joanna Newsom (da non perdere), a Lisa Germano o Laura Nyro. mandolini e lievi chitarre, echi leggeri e pianoforte percosso dolcemente ad accompagnare la voce di PJ che sfiora un falsetto inconsueto. sotto la superficie cova l’animo virato al turbamento, sotto il vestito lungo i tacchi a spillo e gli hot pants, il brutto anatroccolo si è forse solo incipriato di gesso bianco!

scrivo mentre ascolto a ripetizione il disco e nuove sfumature emergono e si accodano agli ascolti di Vic Chesnutt e degli angeli di Michael Gira e malgrado un caldo sole settembrino mi sento pronto e attrezzato per l’autunno che giunge sempre atteso. sarà il caso di accendere candele come sul pianoforte di Polly Jean nello showcase danese mentre presenta il singolo When Under Ether

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Prefab Sprout Steve McQueen

dialogo agostano. tre lettini sotto al solleone. attorno a me due amici dj’s che stimo e che non faticherano a riconoscersi. io dico… sto ascoltando questi Bowerbirds! niente male! la voce mi ricorda un po’ Paddy McAloon! …loro chi?!? ripeto… Paddy McAloon!e chi è?? Paddy McAloon dei Prefab Sprout! sguardi assenti e interrogativi! cioè voi praticamente non conoscete i Prefab Sprout? Vabbè, continuiamo così, facciamoci del male! (op.cit.)

ho sempre pensato che la band di Newcastle fosse imprescindibile, almeno finchè sono durati i terribili anni ’80 infestati da immondizie musicali inenarrabili. solamente per questo mi è apparso strano scoprire che i miei due giovani amici non ne fossero a conoscenza. l’avvento di questo disco nel bel mezzo di quel decennio fu un’apparizione lieta e marziana. vero e proprio pop, ne più ne meno, ma nella sua accezione più alta con numi tutelari ai quali ispirarsi del calibro di Gershwin o Cole Porter, o se si vuole Bacharach o il miglior McCartney. gente insomma che ha avuto frequentazioni con la perfezione, almeno se ci limitiamo alla purezza di certe composizioni, al loro equilibrio o all’eleganza che può avere una canzone.

Steve McQueen era il loro secondo album e usciva nel giugno 1985. dietro i bottoni della produzione c’era un certo Thomas Dolby, uno che, colpevole o meno, ha contribuito a definire il suono di quegli anni. e forse è proprio in quelle sonorità che si nasconde il piccolo segreto della mancata glorificazione di quest’album.

per molti assoluto capolavoro. per altri benemerito sconosciuto. di certo ha sopportato un po’ maluccio il peso del tempo e questo credo sia dovuto al fatto che il disco guardasse più al passato che al futuro a venire. la penna di McAloon volava leggera e guardava alla canzone pop eccellente ed eterea, alla perfetta fusione di una linea melodica insieme al gusto del particolare, un po’ leziosa, un po’ artigianale. gli stessi singoli fuoriusciti dal disco paradossalmente non lo rappresentano a pieno. When love breaks down, Appetite e Goobbye Lucille #1 (conosciuta anche come Johnny Johnny) non sono che la punta dell’iceberg.

personalmente ho sempre preferito maggiormente Faron Young e Hallelujah, o Bonny (chiedere a Belle and Sebastian) o la sublime Horsin’ Around. di certo la loro promessa non fu mantenuta e la loro carriera campò ancora di rendita per qualche tempo con il benestare della critica che gli perdonava anno dopo anno l’impoverimento e il progressivo sgretolamento ancora fiduciosa dell’arrivo dell’ennesimo capolavoro che mai più arrivò.

di certo per chi attraversava ignaro l’adoloscenza problematica quel disco non passò inosservato, come avrebbe potuto del resto. nella carestia generale di nuovi stimoli e nell’ottundimento del suono commerciale degli ottanta, quel disco rappresentò un appiglio e una stella cometa. vari critici e autorevoli riviste continuano a considerarlo disco fondamentale e proprio per questo mi stupivo della leggera lacuna dei miei compagni di tintarella. molto pop (indie pop lo si vuol chiamare?) odierno non ha la lontana consapevolezza e neppure lo spessore di certe composizioni, e questo, se mi si permette, è grave mancanza. da ascoltare: per chi non lo conosce, per chi attende la next big thing e magari non sa che potrebbe essere vecchia di vent’anni, per chi non odia completamente il pop e per chi un po’ di nostalgia nonostante tutto la conserva gelosamente.
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Faron Young, live in Munich, 1985

…quanto tempo che è passato! forse troppo!

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barcamp Romagna

alla fine andrò al barcamp! a dire il vero non è che avessi mai pensato il contrario e neppure atteso con trepidazione l’evento, ma una serie di circostanze propendono favorevolmente al mio avvento. e poi le insistenze orchitiche di Luca Sartoni e quelle ben più gentili e cordiali di Elena meritano una degna risposta.

a questo punto la domanda è obbligatoria: cos’è un barcamp? non ne ho la più pallida idea anche se i due sopra menzionati hanno cercato in tutto i modi di giustificare il loro entusiasmo facendomi immaginare meraviglie che non ho ben compreso! ma come, oramai sei un blogger! non puoi mancare! vedrai… diciamo che io vi rimando cordialmente all’icona qui in alto a destra per tutte le info del caso!

ho quella strana sensazione come se si sposasse un lontano cugino in abruzzo. ti ha invitato e non è gentile rifiutare e nello stesso tempo pensi alle migliaia di cose molto più interessanti che si potrebbero fare… almeno non mi dovrò mettere la cravatta e per fortuna tutto ciò avverrà ad un tiro di schioppo da casa. forse non ci si sbronzerà, e questo è un piccolo deterrente, ma pazienza… ovvieremo altrimenti!

il mio sabato pomeriggio sarà dunque dedicato all’evento. dicono che mi appiccicheranno un cartellino con il mio nome scritto sopra e che se vorrò potrò prendere la parola e tediare gli astanti per circa 15 minuti. mah!?! di cosa potrei parlare? Curtis Mayfield? della Mucca Carolina? della particolare tecnica che mio nonno aveva per pescare le rane? di come si prepara un brasato al Barolo? salirò sopra una cassetta di frutta rovesciata e arringherò la folla (!?!) sull’importanza della marinatura e degli odori, del taglio eccellente da richiedere al macellaio e della cernita oculata dei commensali.

o forse potrei tessere le lodi della famiglia Apple che nel breve spazio di una settimana scarsa mi ha fatto riavere il mio MacBook praticamente nuovo, senza spese e con una cortesia dal gusto antico. ebbene sì! sto di nuovo pigiando i silenti tasti del mio bianchissimo portatile e credo che si meriti una gita pure lui al barcamp. la wireless dicono essere garantita anche perchè molti si parleranno solamente via chat per paura di non riconoscersi…

Luca mi ha garantito che il bar è aperto e questo potrebbe essere lo scoglio al quale aggrapparsi per non naufragare nel mare di incomunicabilità che la rete ha amplificato ingannevolmente. forse non eseguiranno il più eccellente dei long island, e mi guarderanno smarriti e perplessi alla richiesta di un sea breeze, sicuramente non conoscono l’eccellenza di un trinity, ma una birra ci sarà…eccome!

io sarò quello con il cartellino “borguez” appiccicato sul petto… siate gentili con me, io lo sarò con voi!

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dublab

il mio amore incondizionato per la radio penso sia un segreto che non mi sentirei più di mantenere. sarebbe inutile e improduttivo! e forse tedioso! arrecherebbe noia così come lo è elencare la miriade di ricordi che hanno i transistors e le onde come protagoniste. o la filodiffusione con la quale mio padre affondava riappacificato dentro le notti. o un vecchissimo esemplare valvolare ricoperto da un’orribile coperta all’uncinetto che troneggiava nel soggiorno dei miei nonni. funzionava, ma solo per la ricerca di una fantomatica radio moscovita che avrebbe annunciato la ritrovata rivoluzione d’ottobre… mio nonno ne era convinto! io e la nonna di nascosto ci accontentavamo di Musica per Voi dall’altrettanto sovietica Radio Capodistria!

lo stesso amore che oramai era divenuto assolutamente monogamico e maniacale per quella che è la prova udibile che in Italia si può ancora affrontare cultura e intelligenza, approfondimento e ricerca. RadioTre ha accompagnato lustri interi della mia vita dopo la scomparsa delle radio libere e conseguentemente al fatidico avvento delle radio commerciali con quel carico immondo di stupidità e fascismo strisciante. la mia relazione con il canale nazionale era apparentemente stabile e soddisfacente e lasciava presagire una serena convivenza e un futuro di appagante tranquillità.

poi un viaggio e la scoperta di altre modulazioni di frequenza. di altre monopole di sintonizzazione e di nuovi virgulti musicali e sussulti dal sottosuolo. ma più di ogni altra cosa di altre modalità di fruizione! dal mio pc (dal mio mac) la scoperta di quello straniamento lieto che procura ascoltare le informazioni sul traffico di una metropoli francese mentre te ne stai affondato dentro un divano di provincia. Radio Grenouille faceva al caso mio, accentuava piacevolmente quel senso d’altrove che procura l’ascolto solitario di frequenze lontane. ne parlai già nel mio vecchio blog e probabilmente da lì potrei far cominciare la mia attitudine fedifraga.

il mio nuovo amore si chiama dublab ed è americano, di Los Angeles precisamente! promette positività, un lifestyle incentrato sul relax e precetti condivisibili di peace, love and good music for all! per ora sta mantenendo le promesse, ma si sa i primi mesi sono solitamente quelli splendidi e indimenticabili. non essendo geloso propongo, a coloro che vorranno, di godere del dubstream gioiosamente e di lasciare lentamente invadere le proprie stanze dai suoni di curiosi e insaziabili dj’s. varie playlist indossate come abiti diversi in diverse ore della giornata, nessun tipo di notiziario o pubblicità, poche e rare voci divertenti e un po’ stonate e per nulla disturbanti ad annunciare proclami di illogica allegria e quiete cosmica.

…tutto questo fino al prossimo amore!

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Orthographe

una premessa: ciò di cui scriverò è per sua natura, e mio malgrado, incompleto, incerto e soggetto a successive precisazioni. mi spiego meglio: qualche giorno fa ho assistito in anteprima al nuovo spettacolo teatrale della compagnia teatrale ravennate Orthographe grazie all’invito del regista Alessandro Panzavolta giuntomi tramite l’amico Alessandro Fogli.

per questioni logistiche e tecniche legate alla mancata stampa di un libretto di scena io non conosco il titolo dell’opera, l’idea sottesa e neppure i dettagli tecnici del lavoro svolto, ma il solo fatto di averlo visto pure in mancanza di riferimenti credo mi permetta di poterne parlare. avrei voluto domandare direttamente con il suo ideatore ma i suoi impegni e quella necessaria confusione che si crea all’approssimarsi delle “prime” mi consentiranno di farlo solo in seguito.

assistetti l’anno scorso allo spettacolo Orthographe de la physionomie en mouvement (dal quale sono tratte le foto) che costituì fra il 2004 e il 2005 l’esordio della compagnia e la partecipazione alla Biennale di Venezia del 2005. in tante recensioni disponibili in rete le esplicazioni sul soggetto ispiratore dell’opera e sull’utilizzo della camera ottica come fulcro e concetto centrale di tutta l’opera. a me, abbastanza digiuno di teatro sperimentale in genere, rimase l’incanto primordiale della visione e lo stupore antico di un meccanismo anticipatore del delirio retinoso che colpì e ammorbò tutto il secolo scorso, dai Fratelli Lumiére fino alla morte di Kubrick. immagini “istantanee” concepite contemporaneamente all’istante dello sguardo, un fruscio, il movimento ripreso e riprodotto nel silenzio interrotto dai rumori meccanici della camera ottica, come lo scarto del dagherrotipo, la vampa e il baleno …che spara il lampo di magnesio. ne rimasi colpito…

l’assenza di suono e la mancanza di musiche dunque, le stesse musiche delle quali sempre più spesso mi sono ritrovato a parlare insieme ad Alessandro Panzavolta e Angela Longo, scoprendo gusti comuni e la stessa curiosità indomita per altre sonorità e chincaglierie varie. una curiosità e una ricerca, quella di Alessandro, che lo ha condotto ad ideare insieme a Lorenzo Senni la performance Erinnerung. non ho avuto il piacere di assistere a questo ascolto, ma credo che da quello sia necessario ripartire per considerare le sonorità che accompagnano invece il nuovo spettacolo.

sinusoidi e field recordings, oscillazioni e scarti uditivi profondi insieme a vibrazioni tonali appena accennate accompagnano questa nuova visione di una rappresentazione che come quella precedente ha come epicentro la camera ottica. anche qui uno schermo sul quale s’accampano di gitto le immagini, da una parte gli attori e la scena, dall’altra poche e sparute sedie per gli astanti. uno specchio bifronte in cui tutto accade ancor prima della consapevolezza e del riconoscimento, l’azione apparentemente immobile e il dipanarsi dei quadri in un flusso rallentato.

una miopia indotta malgrado giganteggino volti sullo schermo in una dilatata apparizione, una postura caravaggesca virata in daltonia, una sensualità accennata dei corpi e una voluttà suggerita e percepita nel calore delle tinte. una delizia figurativa e un meritato balsamo a lenire le ferite dell’iride troppo spesso frastornato dalla velocità, aggredito da luci abbaglianti e brutture assortite. come sempre queste mie parole rappresentano un consiglio sincero di incontrare appena possibile la rappresentazione di quest’opera, di goderne della lieta visione e di accogliere l’intelligenza e l’acuta curiosità che appartiene alle persone che l’hanno pensata e realizzata. prometto che appena ne sarò al corrente aggiungerò maggiori dettagli a questo post, magari approfittando della disponibilità cordiale e della sincera stima che mi lega ad Angela Longo e Alessandro Panzavolta.

 

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Franco Carlini

era mia intenzione oggi di parlare di tutt’altro argomento e raccontare di diverse questioni, ma la radio all’alba e poi il giornale più tardi mi rinfacciano la stessa triste notizia della scomparsa di Franco Carlini. per molti potrebbe essere un emerito sconosciuto, così come lo siamo un po’ tutti, per me, per quelle strane vicende che accadono agli esseri umani, era quasi fraternamente familiare.

fino a pochi istanti fa non ne conoscevo neppure il volto, eppure la sua voce e le sue parole hanno accompagnato così tanti istanti della mia vita da non poter rimanere indifferente a notizie come queste. dai microfoni della mia amata RadioTre la sua voce calda e conciliante ha per così tanto tempo raccontato di vicende a me estranee, di questioni scientifiche in genere e di argomenti di cui ero a digiuno. RadioTre Scienza era anche una sua creatura che lasciavo entrare discretamente nella vita privata del mio appartamento così come permettevo alla sua intelligenza di contagiare un poco la mia, conscio dell’altissima levatura e finezza della sua.

questioni antropologiche e psicologiche, puramente scientifiche o tecnologiche, approfondimenti sul mondo web o delizie enogastronomiche, ogni cosa era affrontata con un’eleganza antica eppure modernissima, spiegata ai profani con quella capacità rara che hanno i grandi oratori. inoltre ritrovarlo sempre più spesso sulle pagine del Manifesto mi dava la misura di quanto non stessi affatto sbagliando, di quanto si fosse creato un circolo virtuoso nel quale mi piaceva farmi accogliere. e forse è proprio per questo che lascio la parola, commossa, a chi ha realmente lavorato e vissuto con lui, condividendo battaglie e idee, pensieri e sogni. Mariuccia Ciotta, co-direttrice del quotidiano comunista, lo ricorda così oggi sulle pagine del suo giornale…

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Franco era la stella di una costellazione di passioni, affetti, curiosità, di una tribù che aveva come obiettivo “cambiare il mondo”. E questo mondo da cambiare lo scovava ai margini delle notizie, tra una riga e l’altra, lontano dalle cattedre, lui che era stato docente di cibernetica e di biofisica. Franco non era solo ricercatore scientifico, giornalista, teorico del web, analista politico, ambientalista. Non solo applicava conoscenza e competenza per interpretare i fatti del mondo, dalla tortura ai social network, dai conflitti del lavoro alla democrazia della Rete, dalla privacy, come diritto e trasparenza, alla giustizia fino alla psicologia della percezione visiva e all’economia della felicità. Era così giovane dentro.

Per me, per noi, non è facile raccontare com’era perchè non c’è passato che lo rappresenti. Franco era l’intelligenza di un futuro all’opera, entusiasta di sfidare i rapidissimi mutamenti globali. Sapeva che di questi tempi era necessario anticipare l’avversario, studiare le mosse del mercato mediatico e delle grandi corporation, frastornate dal cambio antropologico dei consumi, per azzardare ipotesi di rivoluzioni non solo virtuali. Come fare della “pirateria di massa”, ribellione alle censure, gabbie informatiche, divieti, una forza di individui capaci di progettualità, di antagonismo alla proprietà dei mezzi di produzione materiale e intellettuale.

Avevamo in progetto con Franco un nuovo settimanale del Manifesto, dedicato ai temi della globalizzazione e dell’ambiente, dove avrebbero trovato spazio le sue preziose pagine di chip&salsa, arricchite dall’esame critico dei tanti neo-gioielli tecnologici da smontare in mille pezzi, e anche il suo gusto per lo Slow Food, avversario del saccheggio di risorse e di energie del pianeta.

Franco era qui, molto presente, in questi ultimi anni e in queste ultime ore, nonostante le sue mille attività. Sempre vicino, anche se la sua voce mi arrivava da Genova, una voce musicale, andante con brio, che risuonava sulle frequenze di RadioTreScienza, programma che conduceva periodicamente. Le sue “lezioni” erano, per chi ascoltava, un grande piacere perchè rendeva complici, unpo’ più sapienti con il suo modo di spiegare con semplicità sistemi complessi. Per la radio veniva a Roma, e alloraecco Franco in via Tomacelli, sottile ragazzo con il giubbotto, fonte di idee spericolate eppure saggio, dolce eppure furioso quando c’era qualcosa che “prorpio non si doveva fare”. In lui riconoscevo la bellissima innocenza del “giustiziere”, di chi si mette in gioco e combatte.

Senza di lui se ne va una parte di noi, non tanto della nostra storia, ma del nostro difficile domani. E’ per noi che piangiamo oggi. E per riaverlo non ci resta che cliccare sul web “Franco Carlini” e tutti i suoi messaggi e i suoi pensieri compariranno per accompagnarci in quel suo cyber-spazio sospeso tra cielo e terra.

 

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