Aleksander Kaczorowski Il Gioco della Vita (La storia di Bohumil Hrabal)

l’afa e la voragine dei meriggi estivi paiono dilatare il tempo ed espanderlo, o forse solamente rarefarlo. e in questo sovrappiù di istanti che si creano ritrovo lo spazio della lettura, la concentrazione necessaria. e contrariamente all’insana abitudine di accumulare e sbocconcellare volumi ai piedi del letto, riesco in questo tempo a portare a termine rapidamente le pagine di un libro, e a terminarlo.
Aleksander Kaczorowski è uno dei traduttori polacchi di Bohumil Hrabal, uno dei tanti. è giornalista, scrittore e cultore di letteratura ceca. fra l’estate del 2002 e l’inizio del 2004 ha approfondito lo studio e il completamento di questo volume che ripercorre una possibile biografia dello scrittore ceco partendo dai suoi scritti ed incrociando queste memorie con le travagliate vicende della nazione ceca. le edizioni e/o hanno logicamente ospitato questo volume, così come in percedenza avevano fatto con gli scitti dell’autore boemo.
l’espediente editoriale ammicca ad una possibile rivelazione inerente alla misteriosa morte di Hrabal avvenuta il 3 febbraio 1997 all’ospedale Bulovka di Praga. ricordo quei giorni. i giornali parlarono di un incidente assai romantico dovuto ad un tentativo dello scrittore di portare cibo ai piccioni del quinto piano dello stabile. questa fu la versione dei medici e della stampa tutta pressoché unanime. Kaczorowski invece propende per la tesi del suicidio e tenta nel dipanarsi della sua biografia e dei suoi scritti di trovarne indizi e ipotesi.

e curioso è come alla fine, al di là della veridicità delle piste seguite e battute dal giornalista polacco, traspaia ben altro che la palese realizzazione di un atto estremo come il suicidio, e appaia alquanto evidente questo gesto come epilogo di un’esistenza vissuta a rovescio, contraria, in apparente discesa a scapicollo ed eppure così travagliata e ineffabile nel suo contorcersi. le pagine del libro ripercorrono istanti cronologicamente ordinati, susseguenti e dunque eloquenti nel seguire i primordi di una carriera che ebbe il suo vero avvio soltanto alla soglia dei 40 anni. prima si narrano esperienze garbate con la letteratura, di stampo romantico e dal sapore conservatore. furono le illusioni surrealiste a principiare un turbamento narrativo che solamente in età adultà manifesterà la grandezza di Hrabal. si evince con esattezza come al contrario della maggior parte delle vicende umane che fanno seguire una pacatezza senile ad una ribellione giovanile, la vita di Hrabal si sia invece sviluppata a rovescio. man mano che gli anni passavano il lato selvaggio e irriverente della sua esistenza prendeva il sopravvento. sostituì la meticolosità della sua prosa e l’attenzione sintattica ad una scrittura di getto che contraddistinse le sue ultime opere. Ho servito il Re d’Inghilterra fu scritto in una ventina di giorni, senza fiato, limitandosi a sostituire i fogli bianchi a quelli già scritti sul rullo della sua macchian da scrivere. Una solitudine troppo rumorosa è del 1977. Hrabal era già assai celebre (naturalmente nelle versioni samizdat dei suoi libri) e aveva già 63 anni. dopo esser rimasto vedovo (Le Nozze in Casa: se qualcuno conosce libro più bello sull’amore coniugale batta un colpo!), invece dell’agio di una casa cittadina preferì l’isolamento di Kersko (nella lontana periferia praghese) e la compagnia dei suoi gatti randagi. Kaczorowski sostiene che fu a questo punto che presero il sopravvento la depressione e l’alcoolismo. possibile. possibile anche questo. ma c’è ancora il tempo di vivere la rivoluzione di velluto del 1989, di innamorarsi sfrontatamente e inopportunamente di April Gifford, giovane slavista americana studiosa dell’opera di Hrabal e giunta a Praga per approfondire le proprie ricerche. L’uragano di Novembre è la raccolta di queste lettere indirizzate ad Aprilina (così viene tradotto il nomignolo Dubenka con il quale lo scrittore appellava la giovane studiosa), e attraverso questo carteggio univoco viviamo la rivoluzione del 1989 con gli occhi spietati e acuti di una memoria che aggredisce il presente e rimbalza nel surreale. “raggiunto lo stato d’inquietudine finale” riusciamo finalmente a giungere al lato selvaggio della prosa hrabaliana, alla parte che lo consegna all’immenso fra la tenerezza smisurata e uno dei suoi motti preferiti… Ogni giorno accade un miracolo!

il saggio di Aleksander Kaczorowski risulta dunque un’agile abbecedario per seguire la lezione hrabaliana e tutto sommato assomiglia davvero ad una tesi ben fatta e compuita. volumetto per appassionati (fans?) o dichiarazione d’amore che si voglia, questo libro non fa altro che ingigantire la figura dello scrittore ceco e far ripartire la ruota della curiosità e la pratica mai abbastanza considerata delle riletture.
credo sia la terza volta che ritorno su di lui in questo spazio e non pare che la questione assomigli esattamente ad un punto finale…

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