Howe Gelb
A Band of Gypsies Alegrías

il sangue di generazioni di nomadi e gitani, in perenne movimento sulla crosta terrestre, deve aver lasciato residui nei meandri desossiribonucleici di uomini e donne ignari. fra di loro c’è chi non lo scoprirà mai, altri che ritroveranno sollievo e sospetto mettendosi in cammino e spostando la propria posizione, pochi fra questi, consapevoli, proveranno ad intraprendere il percorso arterioso al contrario per ritrovare in qualche luogo del globo la propria campìna o l’esplicazione della propria dromomania.
Howe Gelb appartiene senza dubbio a quest’ultima categoria. abbandonò tanto tempo addietro una via maestra di successo che andava allargandosi sotto i suoi piedi per scartare di fianco, deviare e avviarsi incontro ad un destino tanto sconosciuto quanto bramato. il deserto dell’Arizona, le housemobile, un cappello polveroso calato in testa e una chitarra sempre attorno non lo differenziano poi molto da certi capi famiglia rom (o sinti) che tessono le trame di famiglie vecchie come il mondo.

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negli ultimi anni il suo peregrinare per mondo lo ha mescolato indistintamente con la Danimarca o con un coro gospel canadese e di pari passo è andato il suo approccio sghembo e dinoccolato alla musica. la tradizione orale di popoli trasversali al mondo ha sempre fatto affidamento sulla capacità di portare con sé la propria cultura e le proprie canzoni. Gelb conserva la propria musica in qualche taschino del panciotto e la offre come tabacco a chi gli da il benvenuto in terra straniera.
gli echi di fiesta latina che giungono notturni aldilà della frontiera messicana non gli sono sconosciuti, ma è stato un passaggio spagnolo in quel di Còrdoba a farlo giungere in contatto con Fernando Vacas e la sua A Band of Gypsies. qualche jam ebbra e sconclusionata e l’idea di un disco in salsa flamenco/ispanica/gitana è venuta da sé.

FIRECD166_howegypsiesAlegrìas (Eureka, 2010) è la raccolta di una manciata di vecchie (nuove) canzoni rilette (ma soprattutto risuonate) assieme al collettivo gitano. l’amico John Parish è stato convocato per controllare i bottoni e gli studi spagnoli lasciati a disposizione per queste sessioni latine che hanno spostato i confini di queste canzoni allargandone gli orizzonti. per chi conosce Howe Gelb e la sua musica non si tratterà di eclatante novità: semi e germogli di confine latino affioravano già da un deserto calpestato e attraversato più volte. per chi giungesse novizio a questi suoni consiglerei di non perdere mai più di vista questo orizzonte e ripercorrerlo a ritroso per comprenderne la parabola itinerante.

l’iconografia chicana di un nomadismo occidentale è rispettata e doverosamente osservata. la copertina è particolarmente  meravigliosa (se si può dire) e l’unica cosa che mi sento di aggiungere è garantire che non si tratta di lacca di facciata ma di autentica transumanza fra le sponde di una frontiera che divide ciò che in realtà si appartiene. non ho altro da aggiungere se non lasciar spiegare al disco il miscuglio ematico che, da assai lontano, conduce e trasporta questa musica per il mondo.
avrei solamente un ultimo desiderio. ossia che qualcuno mostrasse a Howe Gelb la via per la madre Africa. poi sono certo che le cose accadrebbero da sole.

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7 risposte a Howe Gelb
A Band of Gypsies Alegrías

  1. sensi05 scrive:

    grande, spero non ti dispiaccia se lo riuppo.

  2. sensi05 scrive:

    Grazie

  3. SigurRos82 scrive:

    Adoro Howe Gelb, e vedere un disco a suo nome è sempre una gradita sorpresa. Ancor di più quando si tratta di roba del genere! Pensare che circa un mese fa girovagavo, vacanziera, per le strade assolate di Cordoba mi fa venire un po’ di nostalgia…:)

    P.S.: mi auguro con tutto il cuore che qualcuno mostri davvero la strada per l’Africa ad Howe…;)

  4. borguez scrive:

    effettivamente non sarebbe stato male trovarselo laggiù!

    speriamo quindi che l’Africa vada ad Howe, o viceversa!

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