Musette Drape Me In Velvet

“Ma di Musette non si sa più nulla?”
la domanda, in famiglia, è circolata spesso negli ultimi 3 anni senza trovar risposta. più o meno da quando fece la sua improvvisa apparizione Datum suscitando innamoramenti ed instancabili ascolti. non voglio qui tediare chicchessia intorno allo scivoloso concetto di perfezione: ma a mio assai modesto parere quel Datum era, nella sua epifania, nel sua voluta vacua nostalgia, nella sua concisione e nella sua leggiadrìa un disco perfetto!

Musette (al secolo Joel Danell) l’aveva concepito in fragrante solitudine ed in evidente stato di grazia, immerso in un suo mondo dal quale era riuscito a comunicarne l’essenza sotto forma di note e soavi musiche. il guardaroba rubato da un secolo esatto prima, il cuore immerso nelle fragranze del romanticismo, la penna impressionista e gli occhi rapiti dalle pellicole francesi d’antan.
dopo un disco “perfetto” ci si potrebbe pure bloccare oppure è necessaria una rivoluzione per non cadere nell’ovvio della reiterazione. e Musette, bisogna dargliene atto, non è stato così sciocco da cadere nella trappola; ha impiegato questi tre anni a rovistare nella sua collezione di nastri d’epoca per far nascere la scintilla che ha generato il suo nuovo disco.

Drap Me In Velvet (Häpna, 2012) riparte proprio da dove Musette ci aveva lasciato, ovvero con quel Carefully Collected Cassette Tapes che altro non era che un cd-r uscito per l’etichetta Tona Serenad che raccoglieva le registrazioni casalinghe (su nastro) che avrebbero poi generato Datum. questa volta le cassette per il nuovo disco sono state trafugate dagli anni ’50 e ’60 scegliendole dalla collezione privata dello stesso Joel Danell; a questi nastri è stato riservato un trattamento sgarbato, stagliuzzando, sovraincidendo, stiracchiando e strappando per poi aggiungere elettricità e quel tocco onirico che ha trasformato questo modernariato auditivo in una collezione di strumentali provenienti da un luogo indefinibile del tempo (e pure dello spazio).
verrebbe voglia di inventarsi il termine post-exotica oppure di ripensare a tutte quelle melodie dimenticate che facevano da sfondo a misconosciute trasmissioni televisive dei primordi, una space age da teatrino di provincia, il luna park apparso in sogno e tutto il glimmer e le paillettes che hanno adornato sipari e vestiti di soubrette. il tocco dolce e baciato dall’afflato melodico non ha però lasciato Musette che, malgrado la voglia di ripartire altrove, tradisce la sua vera natura negli ultimi tre brani del disco (Horse Thoughts, How To Behave In Elevators, Fine) e ci riconduce laddove ci aveva incantato al primo incontro.
sarà per quel suo abbigliamento stravagante o per quell’aria divertita e paciosa che giungono un istante prima della sua musica, ma si può star certi che una volta incontrato Musette difficilmente ci si dimenticherà di lui. ed è proprio per questo che è bello ritrovarlo: bentornato Musette.

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