Ortometropolis/5 di Costantino Spineti

Figure1_Dionysos_and_Akme

Bacco Dioniso Libero!!

Suol di Roma, a te giungo. Io son Dïòniso, generato da Giove, e da Semèle figlia di Cadmo, a cui disciolse il grembo del folgore la fiamma. (Euripide,  Le baccanti)

Tanto per iniziare, sono figlio di padre certo: Zeus (è mi padre!). Per quanto riguarda mia madre, le versioni sono un po’ contrastanti, al punto che qualcuno ha persino fatto delle illazioni in merito: mi hanno detto che sono un figlio di m(adre)ignota! Che sfrontatezza! Ora vi racconto come sono andati i fatti: Zeus (mi padre!), Dio dell’Olimpo e di tutti gli Dei, era noto per le sue scappatelle (e non disdegnava neanche le comuni mortali… (era come me!), sua moglie (perché non è lei mia madre) Giunone, Regina degli Dei, gelosissima come tutte le donne di origine tracia, lo marcava stretto, e lo costringeva spesso a trasformarsi in un serpente, in un uccello, in un leone pur di eludere i severi controlli della moglie gelosa e di dare libero sfogo con interminabili scorribande notturne a tutti i suoi incontenibili desideri sessuali! Fu appunto durante una di queste scappatelle che Zeus (mi padre!) conobbe Semele (mi madre!). Di lei si dice fosse una mortale meravigliosa! Femmina di culo alto, callipigia e soda, dai lunghi capelli neri, prosperosa e procace! Non a caso era di Tebe… e lì, si sa, le donne… sono stupende!! Hanno i più bei lineamenti di tutto il mondo conosciuto …e Zeus (mi padre!) non se la lasciò sfuggire di certo! Certo, c’è da dire che il loro menage somigliava più a una tresca, ma del resto Semele era una donna di giovane età, e in più era la figlia di Cadmo Re di Tebe, e Zeus (sempre mi padre!) era il re degli Dei, il sovrano dell’Olimpo, il Dio del cielo e del tuono!!
Un infausto giorno Zeus (mi padre!), dopo essersi trasformato in un giaguaro per sfuggire ai controlli della moglie Giunone, andò a trovare Semele (mi madre!), la quale (sapete come vanno ‘ste cose!) gli chiese di offrirle un regalo, Zeus promise di esaudire qualsiasi desiderio della fanciulla pur di… Così ella chiese al Re degli Dei di manifestarsi in tutta la sua potenza. Zeus, disperato, fu costretto a realizzare tale richiesta e si recò quindi la volta dopo al suo cospetto armato delle sue Folgori. La giovane donna purtoppo, rimase folgorata, e per impedire che il bambino (ero già di sei mesi) venisse bruciato, Gea, la Dea della terra, fece crescere dell’edera fresca in corrispondenza del suo feto, ma Zeus (mi padre!) che non mi aveva dimenticato, incaricò Ermes di strappare il feto dal suo ventre, si fece da solo un incisione sulla coscia, mi ci cucì dentro, e quivi potei maturare per altri tre mesi e, passato il tempo necessario, uscii fuori, perfettamente vivo e formato.

Caravaggio - Bacchino malatoZeus (mi padre!) mi diede il nome di Dioniso che appunto vuol dire il “nato due volte” o anche “il fanciullo della doppia porta”. Bene, questo era tanto per puntualizzare che non sono un figlio di m(adre)ignota! Sono solo figlio dell’Amore! La mia povera, sfortunata e giovane mamma si chiamava Selème, figlia di Armonia e di Cadmo, Re di Tebe! Venni a vivere nella penisola italica molti anni orsono, a causa delle vostre viti! Mi accorsi da subito che l’eccezionale microclima, le diversità varietali, le esposizioni al sole delle vostre colline, la salinità delle vostre terre, l’escursione termica tra il giorno e la notte, tra l’estate e l’inverno avrebbero generato un Vino che migliore al mondo non ce n’era! E non ce n’è!! E fu così che mi stabilii a Roma, nel II secolo Avanti Cristo, i Romani da subito (quelli danno i soprannomi a tutti!) mi chiamarono Bacco e Libero (Liber Pater), Dio del Vino, della Vendemmia e dei Vizi!!
Iniziai a professare il mio culto (il baccanale!) da subito, e nonostante la Vostra religione Cristiana tra i piedi (e non avessi neanche una televisione!) feci da subito moltissimi adepti, di ogni ceto sociale, di ogni razza, di ogni sesso, e di ogni religione!! Furono secoli indimenticabili …stavamo sempre ‘mbriachi!! Giorno dopo giorno, anno dopo anno, per secula seculorum!! Passavamo il nostro tempo, a bere ora del Brunello di Montalcino, poi del Nobile di Montepulciano, facevamo un giro di ottimo Barbera, poi si passava all’amato Barolo, e poi ancora una coppa di Sangiovese, un calice di Aglianico, Amarone, Barbaresco, Cabernet, Chianti, Cannonau e chi più ne ha, più ne metta!! I nostri banchetti facevano invidia persino a quell’obeso di Trimalchione, i trionfi di uva Italia provenienti dall’isola di Sicilia dalle colline di Mazzarrone, e di uva Regina proveniente dalle Puglie in quel di Bari erano delle vere e proprie cerimonie dorate, i loro riflessi splendenti giallo oro sotto il sole, le foglie di vite, i pampini sparsi che ornavano i grappoloni dai grandi acini, erano una visione celestiale ai nostri occhi lucidi, rossi e avvinazzati!! E poi dopo pranzo, dopo aver fumato ottime foglie di vite stagionate, a volontà, arrivavano le Baccanti… Sì, le Mie Baccanti, Gioie della Vita mia!! Passione mai doma!! …e allora… Alè!! Si partiva tra satiri, fauni e musici, tra capre e botti, calici, coppe e otri, con interminabili baccanali a tutto volume per tutta la notte, insino all’alba, sino a quando il Dio Helios alla guida del carro del Sole, una quadriga tirata da cavalli che soffiavano fuoco dalle narici, e che trainavano il sole nel cielo ogni mattina da est a ovest, dove si trovavano i suoi due palazzi, non veniva a sorprenderci per ricordare a tutti i miei commensali che era ora di andare a lavorare nei campi, mentre Io, da buon Dio Anfitrione, nel frattempo, schiacciavo un pisolino tra le tette delle mie Baccanti in attesa di iniziare una nuova giornata!!

Lapide_Carcere_Regina_CoeliEd è stato proprio a causa  delle mie Baccanti che ora mi ritrovo qui, recluso, rinchiuso e carcerato, in una cella al terzo braccio di Regina Coeli, in via della Lungara a Roma, sul Lungotevere; sull’obbligo di custodia cautelare c’era scritto: Induzione alla prostituzione. Io? Indurre alla prostituzione le mie Baccanti? Vero è che queste feste furono nei secoli concepite dalla mentalità maschile come dei momenti licenziosi e orgiastici dove era permesso fare tutto e il contrario di tutto, il mondo femminile però, trovò una via per festeggiarmi degnamente, per festeggiare me, Bacco, Dio della fertilità, del piacere e della salute. Le Baccanti, sono coloro che sono dedite al culto di Bacco, infatti conferiscono a questo rito un significato che va oltre il momento di sfrenatezza. Esse, con le loro danze, la loro ebbrezza, la musica assordante portata al parossismo, non cercano il piacere immanente ma la trascendenza dello spirito e il suo anelito all’infinito; il piacere sessuale non è altro che la manifestazione dell’esistenza degli Dei dell’Olimpo; la loro fecondazione rivela a tutti il significato immortale della parola Madre; la loro spossatezza, infine, sottolinea che ogni conoscenza dopo la morte non è possibile, che ogni tentativo di speculazione è inutile e forse sacrilego. E io Bacco venivo invocato da queste splendide creature affinchè concedessi loro la mia gratitudine: Donne custodi del mistero della concezione e sacerdotesse di quegli eterni interrogativi dell’umanità, che sanno dare con slancio e spontaneità, voce e corpo alla gioia della vita. Io, indurre alla prostituzione le mie Baccanti? Giuro su mio padre Zeus, e su tutti gli Dei dell’Olimpo che non ho mai pagato una delle mie Baccanti!! Semmai, le ho fatte ubriacare, ma non le ho mai pagate!! E non è affatto propriamente la stessa cosa!! Perbacco!! …e io non dico menzogne (In vino veritas)! Come potrei mai? Lo volete capì sì o no che io stò ‘mbriaco dalla mattina alla sera!! Fateme uscì da qua dentro! Fateme uscì!! Oddio mio me sento male …Portateme all’Osteria!! Fateme uscì!! So’ vittima de un complotto!! …e allora Voi italici (o italioti!), che mi dite del Vostro Dio? Quello lì sì …mi sfugge sempre il nome, quello piccoletto …quer nanetto con la pelle tirata, coi tacchi alti e i capelli finti!! Come si chiama? Inizia con la B …quello sì che ve ne racconta di bugie …il piccolo dio …er dio der “gratta e vinci”!! Quello che ha detto che è stato il miglior dio degli ultimi 150 anni!!
Per Zeus (mi padre!) e tutti gli Dei dell’Olimpo!!! Ti ricordo, piccolo dio presuntuoso, che io sono il Grande Dio Bacco, io rappresento l’energia naturale che, per effetto del calore e dell’umidità, porta i frutti delle piante alla piena maturità, sono il Dio del vino, dell’ebbrezza e dell’agricoltura tutta …e sono quasi duemilacinquecentoanni che sto sulla cresta dell’onda della penisola
italica!! Hai capito chi sono? Piccolo dio recordman? Ma vuoi vedere che si sono sbagliati persona (Dio)? …Ecco perché il GUP mi faceva tutte quelle domande…”E’ mai stato in Sardegna? Conosce un paggetto lacchè che si chiama Tarantinus? Conosce Villa Grazioli? E Villa Certosa? Le escort le pagava lei? Mi dica il nome del suo stalliere …conosce Marcello Dell’Otri?”…Ora capisco tutto! …Capirai, io mi credevo che le escort fossero automobili! …Altro che automobili …quelle sò mignotte!! Né più, né meno che mignotte!! Ma come si fa a confondere le escort (mignotte!!) con le Baccanti? Come si fa a non distinguere un parrucchino da una Corona di Pampini e Uva? Ci deve essere  sicuramente lo zampino di “quei fenomeni” dei  RIS di Parma!! Fateme uscì da qua dentro!! …Sò vittima di un errore giudiziario!! …Ve sete sbagliati persona (Dio)!! …E poi quella storia della minorenne??…Certo che con un dio così …te viene spontaneo ogni tanto caccià fòri quarche ber porcoddio!! O no?
Eppoi… Quando alla sera Io …m’abbandono nel sonno al queto incanto…Sento quello spirto guerrier ch’entro mi rugge …ivi m’affaccio alla finestra …rimiro il vecchio Tevere lentamente camminar …Ripenso al Vino e alle mie Baccanti e pizzicando ‘sto bel liuto, intono così in re maggiore…

Quanta pena stasera …c’e sur fiume che fiotta così…
disgraziato chi sogna e chi spera …tutti ar monno dovemo soffrì…

E poi ancora M’Arde(r)core…

A tocchi a tocchi la campana sona …li turchi so’ arivati a la marina…
Chi c’ha le scarpe rotte le risola …le mie l’ho risolate stamatina…
Come ve posso amà?…Come ve posso amà?
S’esco da ‘sti cancelli quarcheduno me l’ha da pagà…

…e mentre m’arde er core e me rode er culo sempre m’interrogo:
Sì, vabbè …Ma “Per chi suona la campana?”

“…And therefore never send to know for whom the bell tolls.
It tolls for thee” (John Donne)

(E allora, non chiedere per chi suoni la campana. Essa suona per te)

costantino bacco dioniso

…Se ne dicono tante sul mio conto, ma solo io conosco la verità, le altre versioni …so’ solo chiacchiere da postribolo!
(Costantino Spineti Ortometropolis)

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Beppe Chierici
Chierici canta Brassens (1969)
Storie di gente per male (1976)

quando la situazione si tinge di marrone e la logica e il raziocinio cadono in disgrazia, quando la realtà supera per l’ennesima volta l’immaginazione e vedo andare in malora la dignità di uomini e genti, mi rifugio a riflettere e a salmodiare le mie care preghiere laiche. me le ha insegnate il più anziano dei miei padri spirituali e per bocca sua si sono diffuse e hanno fatto proseliti, e ancora qualcuno le canta. mi danno conforto e ristoro, mi inducono al riso e ad alzare calici, a mugugnar bestemmie o ad intonare il più sbeffeggiante dei Me ne fregio! rubando a Ettore Petrolini la più gande battuta politica che io ricordi!
e dunque ritorno a George Brassens e alle sue canzoni che non smettono di rammentarmi da dove vengo e chi sono, a volte persino cosa penso e timidamente quale sia la direzione. un canzoniere pressochè perfetto, immutabile e non scalfito dal tempo che passa, ancora capace di raccontare e spiegare, sbeffeggiare e irridere il potere ed i suoi servi scemi.
ma il malessere di cui parlo alberga in questa nazione disfatta e vinta, fra questo popolo italiota che ha perso la guerra con il buon senso e che non sa che forse il peggio addavenì! la disgrazia abita qui e parla una lingua che poco familiarizza con il francese d’oltralpe. a questo popolo rimbecillito le parole di Brassens suonerebbero vuote e incomprensibili!
è per questo che, all’uopo, corro a riprendere due vecchi dischi che hanno provato a tradurre nella nostra lingua le parole di Brassens. Beppe Chierici ha il merito di questa operazione. è lui che le ha tradotte e cantate oramai 40 anni fa. e lui che con il benestare e l’amicizia del maestro le ha fatte risuonare nel bel dialetto fiorentino che è poi la nostra lingua oggi oramai maltrattata e vilipesa! dischi che sfrigolano sotto la puntina che fu, mai più ristampati (per quanto ne so) e patrimonio prezioso e curioso di quei pochi che li posseggono!

Chierici canta Brassens (Belldisc/Off, 1969) è il primo dei due. 12 canzoni tradotte e pubblicate sotto la cura di Roberto Dané (direi un nome familiare)! intatta la carica eversiva dei testi originali e carica di pathos l’interpretazione di Chierici. più di una risata accompagna parolacce che in quel lontano 1969 dovettero sembrare vere e proprie blasfemie e che invece oggi, per un decoro borghese e fasullo, nessuno osa più proferire neppure nei confronti di chi le meriterebbe per certo.

è invece del 1976 il successivo disco: Beppe come Brassens Storie di gente per male (I Dischi dello Zodiaco), medesima l’idea e l’intento e diversa solamente la scelta delle canzoni, ovviamente. altre 13 preghiere laiche, inni all’amore o all’amicizia, vicende buffe e popolari che non tarderanno a riconoscere gli estimatori di Brassens. le riascolto incuriosito dell’efficacia e della puntualità che trasportano con loro a quasi 60 anni dalla loro prima stesura. è bastante trasfigurare e traslare personaggi e vicende ai tempi odierni e, come per incanto, saranno riconoscibili debolezze e guitti d’oggi, passioni e verità mai spente o ideali che nessun imbecille potrà mai seppellire in attesa che la grande mietitrice seppellisca lui!
ed io che ho un’età che è passaggio, parafrasando la traduzione, mi trastullo ancora con proclami celebri come quelli di Le temps ne fait rien à l’affaire. le parole di Chierici non danno adito a dubbi e non sarà neppure difficile immaginare a chi si potrebbe rivolgere oggi il concetto lapalissiano… Chi è stronzo resta così!
fa piacere sapere che Beppe Chierici non ha cambiato le proprie idee e prospettive. è uscito da poco un nuovo album Suppliche e Lamentazioni e sono ancora le canzoni di Brassens a farla da padrone (chi fosse interessato trova indicazioni sul sito o su facebook). è quello che ci si auspica da chi ha conosciuto e compreso la lezione del grande Brassens. sarebbe balordo il contrario. ma di questi tempi, come si diceva, ci si può attendere di tutto, persino il peggio, ed è per questo che come balsamo, o lenitivo, a questi tempi infausti, consiglio l’ascolto di questi dischi e delle parole che portano in grembo.

Beppe Chierici Chierici canta Brassens (1969)

Beppe Chierici Beppe come Brassens: Storie di gente per male (1976)

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Brian Blade Mama Rosa

sono giorni indaffarati in cui mi ritrovo in altre faccende affaccendato, proprio nel bel mezzo di una girandola di uscite discografiche che carpisco e ascolto un poco frenetico! ma le mie antenne fanne il loro mestiere pur senza di me, come se non necessitassero della mia assoluta concentrazione. così che quando passa un disco come questo si mettono a fibrillare e mi sento tirare per il bavero! nel bel mezzo di tanta musica trovo quest’oasi che fiuto familiare, un luogo non del tutto sconosciuto!

brianbladeBrian Blade è un grande batterista afroamericano. il jazz (fino a ieri) il suo ambiente d’elezione! Wayne Shorter lo esige nel suo attuale quartetto, e i suoi debutti furono assieme a Joshua Redman e Kenny Garrett in qualità di sideman! in questi anni ha ampliato le sue collaborazioni: lo hanno voluto assieme a loro Joni Mitchell, Bill Frisell, Norah Jones, Emmylou Harris e un tale Bob Dylan! gli orizzonti si sono allargati e diversificate le esperienze!
ma anche la sua vicenda non è da meno: la sua biografia lo vede polistrumentista per tutta l’adolescenza prima di approdare alla batteria, l’universo della popular song mai definitivamente allontanato e ascolti diversi e molteplici. ed è così che una chitarra in camera non manca mai e neppure la voglia di strimpellare canzoni proprie. senza fretta o angoscia ne incide blandamente per oltre dieci anni senza l’esatta esigenza di farle uscire o l’urgenza pressante delle major. finché un bel giorno giungono alle orecchie dell’amico Daniel Lanois (non il primo sprovveduto) che comincia una seria pressione al fine di una doverosa pubblicazione!

brian_blade-mama_rosanasce così Mama Rosa (Verve Records, 2009) che deve il titolo (e la cover) alla amata nonna del nostro Blade. 11 canzoni e due ambientazioni sonore sorprendenti e inattese. siamo dalle parti della grande canzone americana, quella assolutamente classica: non ci si può sbagliare! sonorità riconducibili ad un passato che evidentemente tanto passato non è, grande talento musicale e ancor maggiore capacità compositiva. sì perché le “canzoni da cameretta” in questione non le paragonerei a quelle che stanno facendo (o hanno fatto) impazzire l’indie rock. Brian Blade da quella cameretta è uscito ed ha respiratato, ha ascoltato ed imparato! le strutture armoniche sono inusuali (pregasi notarlo assolutamente), le scelte d’organico leggere per consapevolezza e gusto e il talento dei musicisti indiscutibile!

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=oNWa9_tcnuw]

in più mi suscita una simpatia spontanea e quella sua voce scalda da far suo! il disco gira e acquista senso e consapevolezza. non so esattamente cosa sarà della carriera di Brian Blade, se continuerà una vita da songwriter o da jazzman, se preferirà le collaborazioni o chissà cosa! poco importa, non c’è fretta, la stessa che non c’era mentre si attendeva senza saperlo un disco sano e pulito (mi si concedano i due termini) come questo. se l’inaspettato e l’inderminato producono bellezze come questo disco saranno per lungo tempo benvenuti!

Brian Blade Mama Rosa

Pubblicato in 2009 | Lascia un commento

Richard Hawley Truelove's Gutter

credo sia capitato a tutti di invaghirsi di una canzone, di un disco o anche solo di un refrain che, se analizzati “clinicamente”, non potremmo definire con certezza la nostra tazza di thé! una specie di anomalia del gusto, uno scollamento. qualcosa che ci attrae malgrado parecchie caratteristiche proprie di quella musica parrebbero propendere a suo stesso sfavore. ma ci piace, e forse non sapremmo neppure dire bene il perché! circostanze generiche o attenuanti, esche che vanno a pescare nell’insondabile e profonda memoria udutiva, un tono che fa vibrare il diapason personale! chissà?
a me successe qualche anno addietro con un disco di Richard Hawley. si chiamava Cole’s Corner ed era il 2005. lo ascoltavo solitario e silenzioso senza confessarlo a nessuno, mi faceva stare bene, metteva pace. in quel tempo ascoltavo tutt’altro, ma quel disco inconsapevolmente ritrovava la via del lettore e ripartiva. io e lui, soli. non mi sono preoccupato allora di saperne di più: da dove venisse e dove andasse, quali gli ascendenti o il lignaggio! la voce di Hawley giungeva diretta senza compromessi con languide ballate oceaniche, dense, dilatate e blu! quella voce arrivava esattamente dove era facile arrendermi senza difesa, una voce da crooner, da cantante confidenziale radiofonico, intima e irrimediabilmente perduta!
come ho detto, non indagai oltre. certi arrangiamenti mainstream o certi (presunti) ammiccamenti al mercato mi allontanarono da quel disco. passai oltre, come spesso accade, ma la mia memoria elefantiaca, che si mette lentamente in moto solo per certe cose, annotò diligentemente quel nome a margine di qualche pagina. così, è bastato ritrovarlo in rete per riaccendere la curiosità non sedata!

Richard-Hawley-Trueloves-Gutter

Richard Hawley Truelove’s Gutter (Mute, 2009) è in uscita oggi, o domani, ma la rete, come si diceva, non sa attendere. e neppure io sapevo di attendere inconsapevolmente un disco come questo. a questo punto, tirato per il naso, sono andato quindi a cercare di saperne di più! le idee si sono un poco schiarite, messe a fuoco le coordinate. Richard Hawley vive probabilmente in un limbo fra la grande platea dell’industria discografica che lo accoglie fra amicizie influenti e anomalie lampanti, e l’underground (indie?) al quale, probabilmente, non appartiene per ascendenza o retaggio. ma la mezza via non giova al nostro che rischia l’oblio di entrambe le sponde!
Richard Hawley sa scrivere canzoni: su questo non credo si possa dubitare! sa scriverle e ancor meglio sa cantarle. la sua voce potrebbe ricordarne altre e assai prestigiose. le sue sono storie personali, amori, notturni moderni e languide malinconie e il disco elegante.

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=oG6itlFun5A]

ma non posso fare a meno di pensare che cosa potrebbe essere stata questa manciata di canzoni con un diverso arrangiamento. un tappeto di seta alla Tindersticks, la chitarra nuda e sbagliata di Is a Woman o la struggente passione di The Boatman’s Call. la voce no, non l’avrei toccata, quella si nutre di sé stessa ed ha preziose parentele: qualcuno dice Scott Walker, altri citano l’Elvis più sdolcinato, di certo non mancano eleganza e stile. io avrei qualcun’altro in mente ma non voglio sbilanciarmi anche perché mi rendo conto di essere stato leggermente pedante e scorretto, di certo ingrato verso un artista sincero con il quale ho avuto una liaison segreta e un lavoro, questo, onesto e raro. otto ballate medicamentose che si adagiano lentamente su questo autunno incombente.

Richard Hawley Truelove’s Gutter

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Barbier "Cieco, Cieco" Charles Prévost Linton

amo le canzoni! credo di aver aperto più di un post con questa affermazione perentoria e non giurerei sia l’ultima volta che accade. mi viene facile affermarlo e ancor più semplice ripeterlo! amo quel rapporto emozionale che instauro con le canzoni che incontro, che si appiccicano alla memoria e che difficilmente se ne andranno. la maggior parte di loro segnano il tempo che è passato, i ricordi, altre le emozioni, molte la bellezza intrinseca che portano con loro. oggi vorrei semplicemente parlare di una canzone che mi fa ridere, e basta! credo di non essere il solo ad aver voglia di una risata che esuli dallo squallore e dal pericolo che circonda questa terra italiòta!
due passi indietro allora! chi ricorda lo splendore di quel piccolo film d’animazione dal titolo Les Triplettes de Belleville? spero molti e invidio chi ancora non ha avuto il piacere! lo reputo imperdibile, non fosse altro perchè ambientava vicenda, suoni e memorie esattamente attorno ad un universo che da molto tempo mi circonda. la Francia, Jacques Tati, Charles Trenet, Josephine Baker e il Tour de France. e poi Django Reinhardt, Glenn Gould, Fred Astaire e Bach! era il 2003 (trailer americano) e il film fu presentato al festival di Cannes. da allora credo di averlo visto un po’ di volte e infine anche qualche giorno addietro. non volendo certo raccontare trama o vicenda, mi limito a sottolineare quello di cui, in realtà, volevo parlare: ossia una attenzione al suono che mi ricorda felicemente i film dell’amato Jacques Tati e in più una colonna sonora che si impreziosiva di brani come questo!

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=8UQcGJFFJMA&feature=related]

ma è tutta la colonna sonora ad essere gioiosa e interessante come il film, perfettamente aderente alle scene, a metà strada fra il balordo e la tradizione, in partenza da quel pizzico di assurdo per raggiungere, con non poco stile, una bella coerenza e un disco che si lascia amare anche al di fuori della celluloide. lo ha composto Benoît Charest con la sua chitarra e dal suo Canada e lo ha lasciato vivere affidandolo a vari musicisti ed interpreti (video). tempo addietro lasciai appoggiato sul panoptikum qui a fianco quel disco, qualcuno lo colse (a quello serve) e per i più distratti correrò al riparo ora!

les triplettes de belleville

Les Triplettes de Belleville (Bande Originale) – Benoît Charest

la vicenda del film conduce i protagonisti dalla terra di Francia ad una verosimile New York. nel caos cittadino, fra pedinamenti e inseguimenti, la scena giunge alla bottega di un barbiere. bottega metropolitana, con il comodo sedile affacciato sul traffico e immancabile armamentario da italiano di broccolino!

Immagine 4barbiere cieco, rasatura rapida e perfetta e una radiolina che diffonde nel caotico d’intorno questa canzone…

…e di nuovo rido!
operetta, opera buffa, melodramma, melò e italiano maccheronico, serie irresistibile di luoghi comuni del Bel Paese mescolati alla nomenclatura enogastronomica che ci rende celebri. volgarità, assurdità e pazzia! mandolino, fisa e contrabbasso nel vortice dell’interpretazione di Charles Prévost Linton, un soprano (o forse più baritono?) canadese che se lo cerchi in rete lo trovi a cantare inni nazionali o in foto come questa! ma è il testo, unito all’interpretazione, che suscita le risa. in rete ne ho trovato una versione, ma mi pare che vi siano imprecisioni e punti interrogativi, e del resto non è facile…

Zito maccherone
sono barbiere un po’ più cieco
e c’ho le palle di un grosso toro pronto.
Un toro seduto
che grida “alè guagliò”
e a cavallo su un tarallo vola a Toronto.
Sulla scala di Milano
un guascon (?) napolitano
scappa senza scarpe a cavallo.
Tutto non voler…
tutto non chieder…
e lui grande guaglione (?) e se ne va..
Possessione ossessione
ossobuco pantalone
ha mia moglie militare
“ma non mi spare”(?)
Ha l’illusione di stagione
dell’amore in cucina,
pazzo con il mazzo (?) nella farina.
Un macellaio incazzato
che bordello, ah che guaio!
con parrucca scaloppina bruciatina.
Questa è la verità… è la vita mia,
e i capelli si riveriterà.
Elvis italiano con le basette di lasagna
canta un formaggio un giorno di maggio:
l’alpinismo, realismo,
ditoni mambo e capo di Bombay.
I fagioli mi fanno loffa,
farete un po’ di dolce, Genivoffa?
Senza scarpe di Cosa Nostra,
a cavallo su un tarallo
un barbiere cieco cieco
attenzione o il pennello vi rompe le palle.
A-ha!
Zito maccherone
sono barbiere cieco cieco
e c’ho le palle di un grosso toro pronto.
Un toro seduto,
che grida: “Alè, guagliò”
e a cavallo su un tarallo vola a Toronto.
Sulla scala di Milano
un guascon napolitano
scappa senza scarpe a cavallo.
Tutto non voler…
tutto non chieder…
e lui grande guaglione se ne va…
Tutto non voler…
tutto non chieder…
e lui grande guaglione se ne va!!!

e io rido! penso al timballo di Big Night, al pasticcio colto di Ottocento o ad un nuovo inno nazionale che ci ricopra ulteriormente di ridicolo! rido e mi dico che forse sarà proprio una risata che alla fine li seppellirà, forse non questa, questa per ora fa ridere me, e non è poco!

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m-blog (un anno e mezzo dopo)

a volte torno a rileggere vecchi post che scrissi tempo addietro. è uno degli sterili benefici (o opportunità) che la redazione di un blog consente. ed inoltre un buon confronto con vecchie o rinnovate opinioni. in più, se il blog ingrassa in longevità, usufruisce della saggezza del tempo che passa e della chiarezza che spesso kronos porta con sé.
per questo torno, un anno e mezzo dopo, su di un argomento che, allora come oggi, mosse parecchi pareri, sussulti e intelligenti opinioni. m-blog fu allora un mio puntuale punto nave su quanto andava accadendomi, sulla nuova maniera di incontrare la musica che mi si appalesava. rimando a quel post per non ripetere medesimi concetti; espressi già allora le mie opinioni, e quelle, mi consolo, non sono cambiate assai. c’è forse da segnalare il lento deperimento del peer to peer in favore di torrent o m-blog che spuntano come funghi dopo la pioggia.
ho spesso considerato questa opportunità come una formidabile educazione sentimentale alla musica, come un romanzo di formazione o un Ritratto dell’artista da cucciolo! credo di aver ascoltato e conosciuto più musica negli ultimi 4 o 5 anni che nei restanti 35! per questo ringrazio, non so bene chi, ma ringrazio! certamente ringrazio chi mi ringrazia per questo blog, per suggestioni d’ascolto e suggerimenti. è quello che ho sempre fatto, è quello che mi viene semplice e spontaneo. lo facevo quando internet era pura immaginazione, figuriamoci oggi!
sul post di un anno e mezzo addietro suggerivo alcuni indirizzi, luoghi dove incontravo musica e la medesima curiosità che mi muoveva e mi muove. alcuni di quei blog sono estinti o esausti, spenti per ragioni sconosciute. altri sono ancora stabilmente in piedi e molti altri e nuovi hanno preso il loro posto nelle mie preferenze. per questo getto sul piatto un breve decalogo dei dieci m-blog che seguo con più attenzione e che stimo. spero così di rispondere a quei pochi che, fra rete o chiacchere, mi chiedono quali siano le fonti dei miei abbeveraggi. l’ordine è puramente alfabetico!

A Basement of CuriositiesA Basement of Curiosities (http://basementcurios.blogspot.com/) ha già la ragione sociale nel titolo: marginalità che contornano la musica, dischi parlati, edizioni vintage e assolute memorabilia dell’epoca in cui la cultura del ‘900 provava a trovare una forma compiuta. divertente, molto divertente!

A Closet Of CuriositiesA CLOSET OF CURIOSITIES (http://closetcurios2.blogspot.com/) è stretto parente (nella ragione sociale) con il precedente, ma qui la musica è assai più centrale! contemporanea, avant, sperimentale: tutto quello che la vostra radio, il vostro televisore e il vostro parrocco non vi farebbero mai ascoltare! e quindi, tutto quello che va assolutamente ascoltato! prezioso davvero!

BolachasBOLACHAS.ORG (http://bolachas.org/) è già culto! probabilmente l’m-blog più grande del pianeta, attualmente! credo sia ben noto a molti! non so come faccia, ma anticipa di quasi un semestre l’uscita delle novità discografiche giovaniliste e moderniste! l’indie tutto passa doverosamente da qui! o diventa un impero o finisce dritto dritto in tribunale, staremo a vedere! per ora ringraziamo sentitamente!

***Coleção de Sons*****Coleção de Sons*** (http://luciomagano.wordpress.com/) è la finestra che da a sud sull’amata Africa! quella da dove arrivano polvere, sabbia e i suoni del mondo, quelli del quarto e del quinto o del numero che si vorrà! un giorno finalmente ci si accorgerà di quel patrimonio musicale e di quella grande storia, questo blog non ha aspettato “quel giorno”! Alì, boma ye!

Continuo's weblogContinuo’s weblog (http://continuo.wordpress.com/) è l’avanguardia in musica, le altre musiche, lo spiazzamento e la continua ridiscussione dei propri confini musicali, la traslazione delle proprie colonne d’Ercole! dettagliato, puntuale, colto! in una parola sola: indispensabile!

El Diablo Tun TunEl Diablo Tun Tun (http://eldiablotuntun.blogspot.com/) è la weird America che fu, il prewar folk, il roots folk e l’origini di un suono che ha colonizzato l’occidente! lo sguardo rivolto al passato, al suo che qualche fortunato avo ha inciso, ballato e suonato! è il suono di un mondo che continua a urlare affondato nel tempo! l’America che si poteva amare prima che giungesse Obama!

MG blogMG blog (http://www.maurograziani.org/wordpress/) è assai eloquente già dal suo sottotitolo: Musica, Arte, Tecnologia, Storie Estreme. e c’è davvero tutto questo, insieme alla sana curiosità e cultura di Mauro Graziani. un blog che sto imparando a conoscere lentamente e che non smentisce mai la mia fame di novità. aggiornato e puntuale. consiglio davvero di aggiungerlo ai preferiti. è l’Italia che non vuole andare in malora. un grazie a lui

Sic Vos Non VobisSIC VOS NON VOBIS (http://bloomysunday.blogspot.com/) è il mio preferito di questi tempi. Jazz, il grande jazz! con dettagli, minuzie e attenzioni che neppure il più solerte dei bibliotecari! un pozzo di saggezza sulla più grande musica (e invenzione) del ‘900! a volte ci si distrae con delle ottime interpretazioni della grande classica, ma è il jazz il leone e la risposta! gli auguro lunga vita, a lui e al jazz!

Immagine 1Un Avis (?) En Passant (http://unavisenpassant.blogspot.com/) è la Francia, la Francia politica che è ancora capace di incazzarsi, quella colta e intelligente, quella sulle barricate! la seguo invidioso di qualcosa che non avremo mai! la ascolto condividendo avanguardia e ricerca, protesta e rabbia sana, quella che fa girare i venti e scappare i re! merci!思案に暮れる
思案に暮れる (http://shiannikureru.blogspot.com/) è il suono sintetico di questi 2000 anni. il suono odierno, elettronico, ambientale e siliceo! il blog è algido come quel suono e puntuale come un sol levante! è spesso fonte di sonorizzazioni inconsuete. affido a lui il timone per navigare in un mare denso e scuro che fatico a conoscere. e spesso approdo in porti sicuri!

è tutto! spero in una qualche utilità di quanto scritto! io resto a disposizione!

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Mimmo Locasciulli Idra

passano un sacco di dischi dalle mie parti. hanno un lasciapassare sempiterno, un vitalizio che si esaurirà quando non me ne fregherà più niente di niente, quando non ci sarà più il titolare (qui scrivente) e lo si appellerà con un bel ei fu! passano e restano, passano e li dimentico, passano senza bussare e molti altri me li ritrovo senza sapere da che parte sono passati!
questo blog forse è nato anche per imbrigliarne alcuni, avendo fiducia nella longevità di questa rete inconsistente e per ricordarsi di ricordare. ho sommariamente creato dei luoghi idonei per raccontarli, segnalarli e rubarli come margherite di campo. la maggior parte di loro lasciano segni, altri sono inconsistenti e a volte capita pure di annusare anzitempo qualche capolavoro.
io non so quale luogo occuperà questo diciassettesimo (e non sono pochi) disco di Mimmo Locasciulli, forse non me ne preoccupo neppure tanto e poco al fine importa. ma debbo però ammettere la mia negligente frequentazione con questo cantautore, negligente e colpevole a causa di passioni assai più frementi per altri suoi colleghi. e quindi non per denigrazione o prevenuto giudizio, ma semplicemente per mancanza di tempo (o di voglia). eppure ho sempre saputo che si trattava di un appuntamento rimandato da aggiungere alla lista dei tanti, e forse il tempo di un incontro è giunto.

idra_prMimmo Locasciulli Idra (Hobo/Parco della Musica Record, 2009) è l’ascolto attento di questi giorni. non credo di essere ancora in grado di dire coscientemente o permettermi un giudizio; quello che so è che la lista delle collaborazioni è di quelle che mi muoverebbe a curiosità in ogni caso, sempre e comunque! li elenco, tanto per ottenere il consenso: Greg Cohen (contrabbasso e produzione), Marc Ribot (chitarre), Joey Baron (batteria), Gabriele Mirabassi (clarinetto) e Stefano Di Battista (sax soprano). inoltre, il titolo del disco pare avere preso il battesimo da un luogo e da una celebre poesia scritta in suo onore da Leonard Cohen (e qui si sfondano porte mai chiuse): “Il sentiero di sassi faceva come un anello e mi si avvolse intorno legandomi alla notte…” Così comincia “Idra”, una bella poesia di Leonard Cohen che mi è capitato di rileggere e tradurre circa un anno fa (dice lo stesso Locasciulli nel sito) – e a questo punto la chiamata non ammette dinieghi!

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=8qohEjIznBg]

questo l’assaggio che offre la rete assieme ad un video (non proprio ufficiale) del brano che da il titolo al disco: Idra. io ribadisco l’odierna incapacità di esprimere un giudizio sensato, ciò che so è che il disco sta girando, doppiando gli ascolti e aprendosi alla comprensione. questo disco è passato, giunto, arrivato in qualche modo. quell’appuntamento tanto rimandato è finalmente compiuto. se qualcuno avesse un buco in agenda e la voglia di ascoltare una voce italiana coaudiuvata dal gotha di un suono che ha già fatto storia, suggerisco l’indirizzo per l’appuntamento.

Mimmo Locasciulli Idra

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Blind Blake and the Royal Victoria Hotel Calypsos Bahamian Songs

che cosa stai ascoltando?
questa è una di quella domande che mi piace porre (e ricevere) quando, con quei fidati e preziosi amici, si finisce immancabilmente a parlare di musica! è la maniera diretta e certa per raggiungere territori sconosciuti, guidati dalla curiosità altrui, e serenamente affidati ad un gusto consolidato e condiviso. così quando l’altra sera mi sono sentito rivolgere la domanda non ho esitato a rispondere: Blind Blake!
ma chi? il bluesman?
no! dico io – questo è un omonimo!
in effetti il disco di Blind Blake gira instancabile fra gli altoparlanti a mia disposizione. giunto a sorpresa sulla mia scrivania e per ora incapace ad andarsene. di qui la risposta immediata e inevitabile. benedico spesso la mia ignoranza che mi concede lacune e conseguenti sorprese come questa! di lui non sapevo davvero nulla e tutto quello che dirò è frutto di letture recenti che condivido volentieri.

Blind BlakeBlind Blake and the Royal Victoria Hotel Calypsos Bahamian Songs (Megaphone Music, 2009) è una raccolta di 28 canzoni provenienti dalle lontane Bahamas e dai lontanissimi anni ’50!
chi era quindi Blind Blake?
Blake Alphonso Higgs era semplicemente il più conosciuto performer di calypso/goombay nelle Bahamas fra gli anni ’30 e i ’60! le biografie (questa, questa, e anche questa) assomigliano quasi a sceneggiature hollywoodiane: la sua cecità, le canzoni, le conoscenze e la carriera disegnano una vicenda più che avventurosa! le leggo per la prima volta e mi stupisco, così come mi stupisce la qualità sonora di questo disco, la freschezza e la fragranza che cancellano tempo e distanza.

blindnon sapevo del suo banjo. non sapevo che avesse suonato per molto tempo all’aeroporto di Nassau, accogliendo i turisti in cambio di qualche spicciolo prima di essere sapientemente accolto dal Royal Victoria Hotel e dalla stessa formidabile band che lo accompagna in questo disco. non sapevo chi avesse scritto Delia’s Gone che Cash portò al successo, e neppure che la celebre Sloop John B dei Beach Boys fosse mutuata dalla John B. Sail di Blake. non sapevo di questo miscuglio irresistibile fra folk, ritmi caraibici e canzone jazz, l’approccio minstrel show e lo sguardo rivolto alle Indie e al futuro. non sapevo di una discografia piuttosto scarna (e rara) che questa edizione va ad illuminare. non sapevo che nell’olimpo delle voci maschili ammantate di seta vi fosse un altro scranno a far compagnia a Nat King Cole, Sam Cooke e Ray Charles. non sapevo che Harry Belafonte avesse un vero e proprio padre putativo. non sapevo un sacco di cose insomma, e di questa beata ignoranza mi rallegro.
e nel caso qualcuno se ne beasse come me, sono ben lieto di lenirne le gioie!

Blind Blake and the Royal Victoria Hotel Calypsos Bahamian Songs

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Herbie Mann & The Bill Evans Trio Nirvana

più passa il tempo e più mi convinco che quella manciata di decenni in cui nacque, si sviluppò e fiorì la grande epopea del jazz sia un’intricata (e inestricabile) serie di incontri, fatti e accadimenti. di esistenze e di suono – certamente – ma prima ancora di incontri. come un continuo brulicare di incroci e strade, automobili e bar, studi di registrazione e appartamenti privati. un formicaio immenso e sotteraneo dal quale saltuariamente spuntavano registrazioni, live e memorabili dischi. molta parte di quella storia è (e forse resterà) misconosciuta, ma è bene non smettere di cercare!
memorabile, per esempio, è la forzata coincidenza che portò in un’assolata mattinata estiva del 1958, di fronte ad una scalinata di un palazzo ad Harlem, NY, ben 57 musicisti jazz ad essere immortalati nel celebre scatto di Art Kane. A Great Day in Harlem è la prova evidente di quel formicaio! basterà leggere i nomi per comprendere che si sta parlando dei giganti di questa musica, e a ben guardare, ci si accorgerà che altrettanti (e forse più) ne mancano!

da quel brulicare e da quelle coincidenze continuano a spuntare dischi (ristampe, riedizioni e riscoperte) a me sconosciuti, per la somma gioia e lo stupore di chi ama questa musica e, egoisticamente, per la mia!
non sapevo e non immaginavo, per esempio, che Herbie Mann e Bill Evans avessero inciso un disco assieme, a proprio nome e come titolari di un progetto originale: avevano già suonato assieme nel 1958 nel progetto di Michel Legrand Legrand Jazz (assieme a Davis e Coltrane) e nel 1959 a fianco di Chet Baker in Chet Baker Plays the Best of Lerner and Loewe, ma qui si trattava d’altro!

coverHerbie Mann & The Bill Evans Trio Nirvana (Atlantic, 1964) è il frutto di due diverse sedute di registrazione avvenute a New York l’8 dicembre 1961 e il 4 maggio 1962. oltre al flauto di Mann e al pianoforte di Evans vi partecipano Chuck Israels al basso e Paul Motian alla batteria. il trio di Bill Evans è orfano dell’immenso Scott LaFaro prematuramente scomparso. quel trio, dopo Waltz for Debby e Sunday at the Village Vanguard è alla sua prima incisione nella nuova formazione.

Bill Evanssono le stesse note di copertina a non spiegare come avvenne l’incontro fra i due leader e pure a non esplicare il perchè il disco vide la luce solamente due anni dopo l’incisione. in quell’era d’oro del jazz due anni debbono essere sembrati epoche siderali! il libretto invece spiega di come andarono perse tre delle tracce che avrebbero dovuto far parte della ristampa in cd avvenuta soltanto 40 anni dopo,  negli ’80 inoltrati. l’incedio che distrusse, nel 1976, l’archivio dell’Atlantic si portò via anche le registrazioni di tre standard di quelle due sessioni.

Herbi Mannsiamo di fronte ad un vero e proprio jazz da camera, in una visione concettuale che procedeva leggermente a ritroso rispetto alla New Thing incombente, ma stiamo pur sempre parlando di grande musica. delle sei composizioni che compongono il disco solo due provengono dalla penna di Herbie Mann (l’omonima Nirvana e Cashmere che chiude il disco), mentre tre sono veri e propri standard (I Love You, Willow Weep For Me e Lover Man). e poi a sorpresa (ma neppure poi tanto) ecco una delle tre Gymnopédies di Erik Satie. in un ideale triangolo perfetto, in un vertice alberga il genio di Satie, nell’altro Nirvana di Herbie Mann e nel terzo quel Peace Piece di Bill Evans che anticipò tanta musica venuta in seguito e che resse l’idea di quel Kind of Blue di Miles Davis che ha festeggiato da poco i suoi primi 50 anni!

altri e noiosi discorsi li tralascerei per lasciar posto alla musica, che come sempre è assai più eloquente. auguro e mi auguro che succeda nuovamente di imbattersi in scoperte come queste, in altri incontri insaputi e in altre meraviglie riemerse dalla memoria o dal sottosuolo che ancora brulica. io sono sempre qui per eventuali segnalazioni, ma per oggi mi attengo a questa…

Herbie Mann & The Bill Evans Trio Nirvana

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Marco Aime Timbuctu

questa volta si parla di libri, di un solo libro, e si inaugura senza celebrazioni una rubrica che, senza fantasia, chiamerò Libercoli! si parla di un libro scovato in biblioteca cercando altro e per questo assai benvenuto. un libro piccolo che sta giusto in mano, o in tasca, e di certo dentro qualche sacca da piccolo viaggio. un libro centellinato nell’agosto feroce di una città occidentale che rimanda paradossalmente ad una città assai più lontana, all’idea mitica che alberga nella sola evocazione della parola Timbuctu! perfetto pane e companatico per viaggiatori salgariani o esploratori immobili!

marco aime timbuctuMarco Aime Timbuctu (Bollati Boringhieri, 2008) è il reportage acuto ed attento di un antropologo curioso alle prese con l’idea di un viaggio possibile verso la città più distante per antonomasia. trappola e delizia dei paradigmi conoscitivi occidentali e imbuto rovesciato della conoscenza del mondo. Africa e non Africa assieme. città mitica, evocata e immaginata.
Marco Aime le si avvicina per diverse strade: per le vie sabbiose che conducono alle periferie incerte di una città avvolta dal deserto, attraverso le piste degli antichi esploratori che ne fecero trofeo e miraggio, negli incontri con i suoi abitanti e nella rilettura attenta di saggi antropologici sui concetti astrusi del turismo odierno. analisi attenta dei suoi tesori (quelli reali contro quelli immaginati) e delle prospettive possibili di un fututo incerto.

rimango dell’idea che i libri non si raccontino, tutt’al più li si può consigliare. ed è quello che sto facendo. 10 euro sono il biglietto per un viaggio inatteso verso una terra che sto cercando di indagare, il confine del Mali con il Sahel, la terra dove è nato un suono che continua a viaggiare nonostante le difficoltà e l’indifferenza. viaggio, il mio, immobile e immaginifico, alimentato dallo stesso sogno mirabolante che guidò esploratori e tuareg verso un luogo mitico (nella reale accezione del termine).

Per qualche persona, quando dici Timbuctu è come dire “la fine del mondo”, ma non è vero. Io vengo da Timbuctu e posso dirvi che siamo proprio nel cuore del mondo. (Ali Farka Touré, Talking Timbuktu)

Timbuctu è il recto e il verso, lo specchio che si deforma e si impolvera nel quale l’occidente fatica a riconoscere una possibile fisionomia, Timbuctu araba, ebrea e mediterranea, Timbuctu Sodoma, Eldorado e Gomorra dei tempi che si aggrovigliano.
Marco Aime ne ha parlato diffusamente (qui e qui) al Premio Chatwin (e dove altrimenti?) e saggiamente a lui lascerei ulteriori parole.
e, per chi vorrà, l’augurio di un buon viaggio!

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