Ortometropolis/4 di Costantino Spineti

spartito-e-ricordi[1]

illustrazione di Maurizio Ribichini

…e allora Blues!!

(a Trane, maestro di anime, maestro di suoni)

Apro gli occhi e sono sveglio… o almeno credo! Sono sveglio, ho gli occhi aperti ma continuo a sognare, sì… vabbè…  ma quello è normale! Sbadiglio emettendo uno strano lamento che mi fa pensare al Leone della bandiera dell’Etiopia, bevo il mio primo caffè amaro e fumo la mia prima sigaretta. Ore 12,30… Frigo vuoto, niente birra, niente frutta, niente ortaggi, niente cibo… niente! Gola secca, bocca impastata… e lingua felpata! Gauloises blondes blu come il curaçao… anzi  blue… come il curaçao che ho bevuto!! Alcool e nicotina mi fanno compagnia… fame, sete, mood, furore, jazz, sesso, Black Mountain vincente sulla terza a Capannelle e droga leggera… Huumm… troppo leggera! Track 9… Blues to Elvin (alternate take 3), il piano esce in punta di piedi… poi, scende giù per la tromba delle scale… ogni quattro gradini il contrabbasso gli ricorda che bisogna rimettere i tacchi alle scarpe… la batteria cadenza… sussurra… sbava e spiattella con incedere coatto… con consapevolezza… con orgoglio! Devo stare attento a questo pezzo… l’altra volta alla fine mi sanguinavano i polpastrelli delle dita… il sax di Trane è troppo… troppo tagliente! Sono dabbasso! Bene, benone, benissimo… entro nell’auto e apro il cancello con il pulsante magico… esco! Controllo i polpastrelli… niente sangue! Sono stato attento stavolta… e bravo Costantino! Devo fare rifornimento, ho deciso: vado prima in frutteria e dopo all’enoteca… Track 10Blues to you (Alternate take 2).
Metto la prima… e via! John sembra volare incurante su questa metropoli puttana, svogliata e più viziosa più di me, immobile e impavido… seduto su un tappeto volante, sguardo da muezzin… suona in arabo! Se ne sta lì sopra in ginocchioni, sul suo tappeto volante ritmico ed armonico… tramato in dodici battute e in quattro quarti… tramato con antica sapienza da McCoy Tyner, Steve Davis ed Elvin Jones… mi guarda da lassù zio John… mi osserva! …e allora Blues!!

la Belva del Deserto

(a Ninetto, cantore anarchico e ortofrutticolo)

ninettoParcheggio l’auto come posso nei pressi della mia frutteria di fiducia, tra miliardi e miliardi di atomi di monossido di carbonio e un sol leone che ruggisce abbacinandomi… Quando scendo ho uno strano senso di squilibrio… ma mi accorgo che ho una ruota sul marciapiede… penso a voce alta:”‘Sticazzi!“. Vado a salutare il mio amico Ninetto (padrone della frutteria), e gli  dico:”Ciao Ninè!! Come butta? Che hai comprato oggi? Chi hai fatto piagne?” Ninetto, con la sua enorme pancia che gli esce fuori dalla maglia di lana attillata che porta tutta l’estate, Ninetto col suo “intonatissimo” pantalone alla pescatora color cachi che gli copre mezzo stinco, Ninetto e tutta la strada che c’è nei suoi sandali, con la sua solita aria truce mi dice: “Ciao Costà… tutta robba ‘bbona e a buon mercato… come sempre!! Vai a vedè che pere che ciò… Guarda che insalata fresca… L’hanno raccolta stanotte pe’ me!! Guarda che pizzutello che ciò!! …questa se chiama “lacrima de la Madonna”…è la mejo uva che c’è in commercio …me la porta un vignarolo de Velletri …robba de collina …tutta robba de lusso Costà …vai a vedè che sciccheria …Ma stai attento ai meloni …che te fanno venì er diabete pè quanto sò dorci!! Vai a Costantì che sei er padrone!” Io, mentre gli dico la mia solita frase di rito (“Cala che vendi Ninè!!“) mi accorgo che Ninetto inizia ad alzare il tono della voce ed a gesticolare come suo solito… si stanno avvicinando un’orda di massaie di mezza età, dotate di carrellino a due ruote …sono le clienti di Ninetto, il suo pane quotidiano! Le clienti della frutteria di Ninetto, la frutteria di Ninetto e la sua insegna che svetta su tutte le altre… sì, perchè la frutteria di Ninetto ha un nome alquanto singolare, la frutteria di Ninetto è un negozio a quattro porte e sull’insegna c’è
scritto: La Belva del Deserto!

la belva del deserto

Inutile sarebbe svelarvi chi è la belva del deserto …credo che lo abbiate capito da soli!! Così Ninetto, mentre decanta la qualità dei suoi prodotti in vendita inizia a recitare a piena voce la sua solita messinscena, qualcuno l’ha chiamato “avanspettacolo”, in realtà, secondo me, sono solo genuini “pezzi di vita”: “Forza donne!! Forza donne!! Forza donne!! Ciò la fava de Roma e er pisello de fora!! Forza donne!! Tutto a mille!! Tutto a mille!! Tutto a mille!!” In quel momento, con quell’atmosfera surreale e petroliniana, folk e bifolk per la quale vado matto, mi avvicino a Ninetto e gli dico a mezza bocca: “A Ninè, guarda che è entrato l’euro!!
Ninetto mi guarda, e mi dice sussurrando con voce roca: “e ‘Sticazzi!!” L’esclamazione mi ha fatto ricordare di aver parcheggiato l’auto con una ruota sul marciapiede… quindi la scruto con gli occhi da lontano. Tutto regolare!! …nessun pizzardone all’orizzonte!! Bene, sono pronto per tuffarmi tra le massaie inferocite a caccia d’affari ortofrutticoli, non ho la lista della spesa, non la uso mai quando vado da Ninetto, preferisco fidarmi di lui e del mio olfatto, del tatto delle mie dita, della mia vista e di tutto quel deliquio di sensi che mi provoca La Belva del Deserto!!

banco frutta la Belva del Deserto

Un breve colpo d’occhio sul banco allestito a mestiere… una vera orgia di colori e di odori… e sono pronto! Rubo una pera coscia dal banco, le do un morso e grido tra la folla: “Ammazza che ‘bbone che sò ‘ste pere coscia a Ninè!!”  Ninetto mi guarda orgoglioso e urla come un  ossesso: “Tutta robba ‘bbona…tutta robba ‘bbona da Ninetto la Belva del deserto! Godi popolo! Godi popolo! daje donne…daje donne!! Compro a poco e vendo mejo…daje donne!!! ”  Ninetto è così… un pò attore… un pò poeta… è uno degli ultimi sopravvissuti di una cultura sparita, in via di estinzione. Ninetto è un partigiano dell’antimassificazione, un guerrigliero che difende la sua autodeterminazione, Ninetto è anche un guru dell’economia ortometropolitana, uno stratega del marketing che tiene sotto scacco tutti i supermercati della Grande Distribuzione del suo quartiere… Sì, quelli con le luci al neon, l’aria condizionata e le telecamere a circuito chiuso di sorveglianza anti-taccheggiamento… Ninetto invece sorride a tutti, urla,  irretisce i suoi clienti col suo modo di fare, ti regala le buste, e spesso (quando può) te le porta fin dentro all’automobile… quando vai a pagare ti mette un mazzo di rucola del giorno prima se gliene è rimasta, un ciuffo di prezzemolo, una costa di sedano e due carote nella busta, poi ti guarda sorridendo, ti fa l’occhiolino e ti dice roco: “Questi sò pè gli odori!!” Ninetto è così… Ninetto resiste… Ninetto non si piega… Ninetto è un mio amico… Ninetto è la Belva del Deserto!

…Inassendimendarmù??

(A Giulia, da cui la ricevetti, da cui mi fu tolta)

Fu proprio in quel preciso momento, mentre mi mangiavo una bella pera, mentre sceglievo e annusavo, mentre tastavo tutta la frutta di Ninetto accennando dei piccoli passi di samba, agitando due belle pere abate di grossa pezzatura a mò di maracas, fischiettando tra le massaie indaffarate che mi scambiavano per un commesso della frutteria che fui investito da una calamità naturale… dapprima fui folgorato da un fulmine a ciel sereno nell’afa d’Agosto romana, poi fui investito da un vero e proprio ciclone, un uragano caraibico che aveva il suo epicentro nella parte sinistra del mio torace… sì… dalla parte del cuore!! E’ stato proprio così… altro che colpo al cuore e svolazzamenti di farfalle nella pancia!!
La prima volta che vidi Giulia ne rimasi completamente tramortito… sconfitto e avvinto!! Nonostante non la conoscessi neanche, in cuor mio sapevo già di appartenerle!!! Giulia era di spalle… leggermente protesa in avanti, in punta di piedi e con le braccia alzate mentre cercava di rimettere a posto una cassa vuota di frutta su uno scaffale alto! Indossava una gonnellina a fiori che le arrivava sopra il ginocchio, ma in quella posizione, sotto sforzo, era decisamente più corta e lasciava intravedere la perfezione anatomica e muscolare delle sue lunghe gambe, abbronzate, eleganti, elastiche e atlantiche… i suoi lunghi biondi capelli di seta si muovevano ondeggiando e vorticando come il corpo volteggiava. Giulia era fuoco fluido in movimento. Giulia aveva un culo perfetto …alto, sodo e sporgente …un culo da ballerina di rumba di colore su una corporatura, una carnagione, e una capigliatura scandinava! Sono rimasto inebetito tutto il tempo, immobile davanti alla bellezza violenta di quella forza della natura!! Ancora oggi non sono in grado di quantificare quanto tempo sia passato prima che una massaia mi desse un colpetto col sorrisetto sotto i baffi per farla passare al reparto verdure!! Lesto mi avvicinai a lei in un baleno e le dissi: “Signorina, posso aiutarla?” Proprio mentre le dissi questa frase, mi accorsi che avevo ancora le maracas,anzi le pere nelle mani…Lei si voltò di scatto, mi fissò per un istante, fece scorrere il suo sguardo dapprima verso il basso, poi di nuovo verso l’alto e mi disse : “Aiutà a fare cosa, scusa?” Fu in quel momento che i nostri occhi si incontrarono per la prima volta …e non credo che dimenticherò mai quel momento! “Ma tu non sei l’amico di quer bavoso de Ninetto? Me voi proprio aiutà? Fà ‘na bella cosa… Dopo, quanno hai finito de fà er deficiende cò le pere in mano, quanno vai da Ninetto, dije che se stasera quanno mettemo a posto la frutta ce prova nandra vorta a toccamme, giuro che chiamo le guardie!!” Io posai le maracas (anzi le pere) in mezzo agli spinaci e rimasi fisso a guardarla mentre Lei e i suoi 181 centimetri di altezza sparivano lesti nel retrobottega… Avevo capito che avevo a che fare con una Divinità precolombiana di rara bellezza… Avevo capito che avevo a che fare con una Principessa Maya che si era infilata nel corpo di una Vichinga che aveva il culo di una ballerina africana di rumba congolese…
Andai, anzi corsi da Ninetto… arrivai trafelato e dissi: “A Ninè… Chi è… Quella?” Ninetto disse: “Chi? Giulia? Giulia la ternana?” Fu così che seppi come si chiamava e da dove veniva, poi  Ninetto sgranò gli occhi, poggiò il palmo delle mani sulle tempie e urlò: “Lassala perde quella Costantì… quella è ‘na pazza, è ‘na gatta servatica!! Quella è ‘na femmina forastica… Quella nun parla cò nessuno, nun vò che je se dice niente, pensa che ieri sera…” Lo interruppi prontamente: “Lassamo perde ieri sera a Ninè, anzi te do un consiglio, se nun voi prenne er sole a scacchi ‘st’estate… statte ‘bbono che se no l’aranci me tocca portatteli io a te… in via della Lungara a Regina Coeli però!! E poi te la immagini tu moje? Quella se lo viè a sapè te lo taja mentre dormi e poi lo da ar gatto!!!
Pagai, salutai e me ne andai. Quella sera bevvi moltissimo… troppo! Non riuscii a chiudere occhio per tutta la notte… quella donna si era prepotentemente impossessata della mia mente, del mio corpo e della mia anima… non riuscivo a pensare ad altro, tentai di prendere informazioni sul suo conto, volevo sapere tutto su di lei, ma le uniche cose che riuscii a sapere furono che era un tipo molto silenzioso, scarsa di complimenti, e… “guai a chi le si avvicinava!!” Le parole di Ninetto mi rimbombavano nella testa: “Quella nun parla cò nessuno, nun vò che je se dice niente, nun fa accostà nessuno!!” Quella donna mi era entrata nel sangue, e viaggiava velocemente nelle mie arterie e nelle mie coronarie per tutto il mio corpo… capillarmente!! Dovevo assolutamente fare qualcosa… Due giorni dopo, presi la mia decisione. “Bene Giulia!” dissi solitario a voce alta “…non vuoi farmi parlare, non vuoi sentire le mie parole? Ora… Ci penso io!!” Alle 20,30, orario di chisura della frutteria, quando Ninetto e i suoi collaboratori (Giulia compresa) risistemavano la frutteria per il giorno dopo, presi il mio sax tenore Rampone & Cazzani satinato oro modello R1 jazz, montai un’ancia nuova di pacca numero 3 marca Vandoren Jazz, rispolverai per l’occasione il mio bocchino in metallo della Ottolink misura 7 stella e piombai nella frutteria!! Non ero solo, con me c’era anche John, LUI… in certe mie situazioni personali… non manca mai!! Trovai Giulia di spalle, prona… era intenta a raccogliere da una cassetta di frutta il suo contenuto… Mi convinsi sempre di più che quello era il suo lato migliore!! Mi avvicinai a lei e le sussurrai: “Giulia…” Lei si voltò, e appena mi vide disse: “E tu che ce fai qui a quest’ora cò ‘sto coso messo pè tracolla?” Invasato d’amore le dissi: “Giulia ti debbo parlare…ti devo suonare In a sentimental mood” E lei: “Che devi fa? devi sonà Inassendimendarmù? E chevvordì… Inassendimendarmù??

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Paolo Conte, Diavolo Rosso, Giovanni Gerbi e altre spigolature agostane

alcune doverose premesse: le parole che seguiranno hanno il carattere leggiadro di alcune futili letture agostane, come curiosità a margine di certe rubriche enigmistiche, così, per il piacere di saperlo! inoltre l’efficacia di ciò che andrò a raccontare sarà assai accresciuta dalla conoscenza de visu di colui che sta scrivendo! da questo diliquio di spigolature vacanziere sarà però bene esimere la canzone da cui prendo spunto e certamente il suo autore!
chi frequenta questo blog saprà della mia sincera ammirazione per Paolo Conte e per la sua opera. bene! infiniti gli spunti dai quali si potrebbe partire e altrettanti i discorsi che potrebbero scaturirne. mi limiterò, per oggi, ad uno solo, laterale e appunto futile come si diceva più sopra.

la canzone Diavolo Rosso fece la sua comparsa nel 1982, l’album si intitolava Appunti di Viaggio. è divenuto nel tempo un classico dell’Avvocato, uno dei numeri obbligatori nelle esibizioni live! chi ha avuto la fortuna di vedere Conte dal vivo sa di cosa sto parlando! la densità e lo spessore di quella canzone hanno forse trovato, per distillazione o sublimazione, una delle più memorabili interpretazioni nella serata del 26 luglio 2005. in quel di Verona, dentro l’Arena!

[youtube = http://www.youtube.com/watch?v=yNGWOZ-rZuI]

è una cavalcata mesmerica dentro l’epopea contadina, nel sogno terragno di generazioni. evocazione di spiriti più antichi di chi osa raccontarli, visioni pagane e allucinazioni polverose. Conte uno scimpanzè che bofonchia ed evoca il grande Duca Ellington, l’orchestra in viaggio transiberiano con scalo a Bucarest e sosta sul Bosforo. ho sempre pensato che in pochi siano in grado di pensare, ancor prima che scrivere, canzoni come questa! e forse, e proprio per questo, mi limiterò umilmente alle notazioni a margine!
ebbene, forse non tutti sanno che questa canzone è ispirata (dedicata? evocata? trasognata?) alla figura di Giovanni Gerbi, ciclista astigiano degli albori del ‘900, figura imprescindibile e romantica del ciclismo che viene definito eroico!
l’epiteto che si portò addosso, e che da il titolo alla canzone, gli fu affibiato da un parroco: Piombò nel bel mezzo di una processione mentre era in fuga. Il prete alla vista di questo indiavolato con un maglione rosso, lo definì con un soprannome che ancora oggi è più conosciuto del suo stesso nome: Diavolo Rosso!
posso assicurare che la lettura della sua biografia è assai più interessante di tanta carta stampata che ottunde e riempie odierne edicole e stanchi cervelli. consiglio di recarsi qui e certamente qui per leggerne di più e oltre! ma non è solo questo il punto…
e per ultima viene la parte assai ludica, quella che necessita quel minimo di conoscenza de visu dello scrivente per ottenere l’effetto sorpresa: qualche tempo addietro Pietro mi inviò una foto via mail. io piuttosto sbalordito di una certa somiglianza gli chiesi chi mai fosse. e lui: Giovanni Gerbi Diavolo Rosso!
non so se siano esattamente soddisfazioni, ma sorprese sì! giudichi da solo chi può!

giovanni gerbi

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So Long, Leonard

poco più di un anno fa vidi Leonard Cohen per la prima volta dopo un’attesa durata troppo.
fu la prima volta ed ebbi l’impressione che fosse già l’ultima! appiccicai quella sensazione al coro che accompagnò So long, Marianne. un coro a fior di labbra, epico e malinconico come gli addìi e nello stesso tempo dolcissimo! c’era una canzone d’amore a sostenerlo, una voce imperdonabile e la sensazione che il tempo era davvero passato, perfetto e sbadato, ma passato!
per fortuna mi sbagliavo…
ho trovato un aereo e sono volato a Praga per rivederlo, ho seguito il tour dal sito curato da veri e propri adepti, ho visto aggiungersi date e continenti, ho acquistato cd e dvd e poi ho sobbalzato quando ho scoperto che Venezia avrebbe accolto una data di questa lunga tourneé che sta volgendo al termine!
e allora sono tornato…

cohen building

foto da qui

Venezia è bagnata da sotto e da sopra. diluvia fino a tre quarti d’ora prima del concerto. è tutto un poco in forse. è in forse Venezia che decade sotto i passi dei turisti, ma il concerto ci sarà. Piazza San Marco deve sembrare bellissima veduta da sopra quel palco!
si comincia come da scaletta mandata a memoria. la sensazione (la mia) è già vissuta, l’emozione conosciuta. mi lascio dondolare, sorrido, ripercorro gli assoli e i cori, i ringraziamenti. dalla mia poltroncina da 40 euro Cohen è un puntino lontano, manca qualcosa. finito il primo tempo seguo l’ansia dei miei compagni di viaggio. si cammina fino a bordo palco, si sta in piedi finalmente a “vedere”, a non più di 20 metri! da qui sento la voce, vedo il pugno stringersi e il cappello che ringrazia. un 75enne che saltella e ride, si inginocchia e non fa altro che cantare le sue canzoni, se non bastasse!

poi è arrivata di nuovo So Long, Marianne e con lei quella sensazione già vissuta. inghiotto saliva, canto assieme agli altri. l’emozione arriva e con lei lo stesso saluto che tacitamente pensavo di aver fatto un anno prima. invece era il 1972, lo stesso Cohen piangeva stupito dall’emozione di quella canzone. quel pianto è arrivato fino a qui: fino a me! lo porto dentro assieme ad un grazie.
So Long, Leonard!

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Chavela Vargas Cupaima

ho incontrato Chavela Vargas in colpevole ritardo! mea culpa!
a dire il vero ero abbastanza giovane quando la vidi per la prima volta, ma le circostanze e la strana situazione mi fecero sfuggire i reali contorni della vicenda. interpretava una indios già avanti con gli anni nel film Cerro Torre: Schrei aus Stein (Grido di Pietra, in italiota) di Werner Herzog. era il 1991 e questo non è propriamente il capolavore del regista. qualcuno che non ricordo più – mea culpa! – saltò sulla sedia e gridò: ma quella è Chavela Vargas! e così furono fatte le presentazioni fra un giovinastro curioso e una ultrasettantenne (allora) tutta da scoprire!
solo dopo giunse Pedro Almodovar ad inserire le sue canzoni nelle colonne sonore dei suoi film, con ribalta mondiale e tam tam planetario annessi. di recente l’ho ritrovata nella colonna sonora del film Frida: il film non l’ho visto (mea culpa!), sarebbe certo servito a fugare il mio dubbio del suo passaggio a miglior vita (mea grandissima culpa!). Chavela Vargas in quel film recitava un piccolo cameo, prova più che evidente della sua esistenza in vita! credo sia a causa di questo mio sospetto menagramo che lo stupore per il ritrovamento di questo disco di un paio d’anni fa sia stato duplice: per la meraviglia e per l’involontario miracolo!

chavela vargas cupaimaad 87 anni compiuti Chavela Vargas corona un sogno lungamente perseguito. registrare un ultimo disco, come un vero e proprio testamento, per poi lasciare le scene dopo un breve tour di commiato. era il 2007! ma Cupaima non è propriamente un semplice disco di congedo: tutt’altro, è il progetto di una donna tenace e intelligente. lanciare un ponte fra la cultura indigena preispanica messicana e passando per i grandi Boleros e la maestosità della Canciones Rancheras per raggiungere un futuro ignoto, tracciare una pista, come una ruga sulla fronte!
Chavela fu sapientemente aiutata dal produttore Jorge Reyes (purtroppo scomparso) che ridisegnò lo sfondo armonico e strutturale di alcuni classici della cantante. introdusse strumenti precolombiani e una scarnificazione del suono per lasciare in evidenza l’interpretazione e l’essenzialità di una voce che non mi pare possa avere possibili paragoni!
quella voce unica come la sua vita, che a leggerla fa tremare i polsi! c’è dentro la storia di un secolo e di una nazione messicana che la adottò: da José Alfredo Jiménez a Frida Kahlo, da Diego Rivera agli anni scuri dell’alcolismo, con addosso il suo Jorongo (l’inseparabile poncho indiano) e la fierezza di una omosessualità dichiarata solamente alla tenera età di 81 anni. Y si quieres saber de mi pasado è l’autobiografia di questa vita, e magari un giorno qualcuno si degnerà di tradurla.

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=Zi8tLxSee7c&eurl=http%3A%2F%2Fwww.chavelavargas.com.mx%2Fvideos%2Fentrevista.htm&feature=player_embedded]

l’edizione del cd contiene anche un bonus dvd con un documentario dal quale è tratto questo video. penso volessero “rafforzare” l’appetibilità di un disco che in realtà non ne abbisognava. Cupaima è una pietra miliare del suono del mondo, la memoria elefantiaca della tradizione e l’indicibile semplicità che abita la canzone popolare. e Chavela Vargas la vestale spuria di tutto questo!

Chavela Vargas Cupaima

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Les Claypool Of Fungi And Foe

strani incontri notturni. forse sarebbe meglio chiamarli riabbracci, riavvicinamenti. di certo ritrovamenti!
io e Les Claypool ci eravamo persi di vista sul ciglio dei ’90 del secolo scorso. amore e odio il nostro, ostilità e fastidio mescolati ad attrazione malsana e ventrale. i suoi Primus segnarono il loro tempo, le menti di parecchi virgulti devianti e le slabbrature di quel basso misero sottosopra idee e concetti di suono. ma poi ci perdemmo, o meglio fui io a perderlo!
altre traiettorie, ipotesi colte e approcci più “sani” di mente mi ricondussero su piste musicali meno instabili, se si vuole più addolcite. ma il contagio ci fu, sottocutaneo e strisciante, l’incubazione certa e longeva.

così passo questa notte appicicosa di luglio sulle sponde di un fiume ospite di un amico. nel capanno di un amico, un invito caro. notte mesozoica che pare di essere in Louisiana, fra reti da pesca, ombre incerte e sciabordìi di rive melmose. notte bassa senza luna. saltano tappi di bottiglie e si sciolgono lingue. prima un disco di Pink Anderson e poi uno di Victoria Spivey. il fiume su cui facciamo sponda non ha un delta, ma se mai lo avesse sapremmo come chiamarlo. l’atmosfera rurale è assai più che evocata.
poi mi distraggo e qualcuno fa scivolare un disco nel lettore. l’aria si fa più densa, il buio pare prendere un ritmo percosso, macellato. Ma questo chi è? mi viene istintivo chiedere: e di risposta ce n’è una sola!

splash-fungi-coverLes Claypool e il suo nuovo Of Fungi And Foe (un plauso inevitabile a copertina e packaging) lo potevo incontrare solo lì, in una notte come questa, perché certi ritrovamenti necessitano di quell’aura di insensato che li amplifica spiazzandomi. stessa malsana percussività, stesso lato sbagliato della strada, contromano a testa bassa. scuoto la testa perplesso e mi addosso tutta la colpa della mia negligenza, del nostro smarrimento. riconcilia con il mondo (della musica) sapere che certe zucche malate non hanno smesso di essere cocciute e allergiche a briglie o sellature.

navigo sul fiume melmoso della rete e vengo a scoprire altre ed ulteriori questioni. disco nato per sonorizzare pellicole, progetti striscianti di cui colpevole non ne so nulla. roba da reale sottosuolo mi dico. uno di questi film si chiama Pig Hunt e già dal titolo strilla e inquieta.
les claypoollo stesso Claypool compare nelle vesti poco rassicuranti di un parroco. il trailer è di quelli che non capisci se ridere o preoccuparti seriamente, di certi è bene allontanare i piccini dalllo schermo e l’indicazione vale anche per questo video del brano Boonville Stomp che dal disco si insinua direttemente nella colonna sonora del succitato film.

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=sb_9UltjK-w&feature=channel_page]

la vita può essere misurata in vari modi e con svariate unità di misura. non sono certo esista una scienza che si basa sulle (non)coincidenze. peccato! avrei alcune pubblicazioni da portare per avvalorare quell’eventuale tesi. non mi capacito di come e perchè Claypool abbia scelto proprio questa notte e questo luogo per riemergere dalla palude del (mio) tempo, ma se solo avessi un oracolo pagano non esiterei a domandarlo. gli chiederei inoltre a quale (non)coincidenza appartiene il fatto che lo stesso bassista si sia messo in testa di esordire come scrittore nel 2006: South of the Pumphouse il titolo per la Akashic Books. traduzione italiana? sì! titolo? A Sud Del Capanno, quarup editrice 2009 (traduzione di Fabio Genovesi).
resto basito!
proverò a procurarmi quel libro e nell’attesa mi riascolto il disco… buonanotte

Les Claypool Of Fungi And Foe

Pubblicato in 2009 | Lascia un commento

Safet Isović Doajeni Bosanskohercegovačke Sevdalinke

ritorno ad un ritorno!
a poche settimane indietro per riannodare un flebile filo di memoria e per annotare ciò che potrebbe perdersi sconsideratamente. dal mio ritorno dai Balcani molte cose si sono piacevolmente sovrapposte e il rischio (sempre che ne esista uno) è quello di lasciar sfuocare i ricordi, per negligenza o sovrapposizione. ho visto molto laggiù e molto osservato: luoghi e asfalto, coste e frontiere. e poi lingue e preghiere, alfabeti e quelle facce che non mi stancherai mai di guardare. tanto, forse troppo.
poi mi sono reso conto di non aver voluto prendere nulla. per lasciare volutamente impreciso il senso di ferite ancora aperte, questioni inspiegabili a chi non le ha vissute sulla pelle, istantanee di un tempo che pare correre più veloce del nostro. tutto cambia e tutto è già cambiato. il mio passaggio in quei luoghi è già cancellato, i miei passi discreti già un poco perduti.
in realtà un incontro è avvenuto, come un gesto inconsulto da cleptomane, involontario e casuale come le cose dei giorni. in uno dei luoghi più spirituali della Bosnia, il monastero derviscio di Blagaj alla fonte del fiume Buna, mi ritrovo in uno shop per turisti. ma l’aria che si respira è diversa, diversa la merce. c’è un piccolo reparto dischi, piccolo e discreto. con la sensibilità del sarto che accarezza il tessuto mi metto a spulciare affidandomi ad un buon senso di cui mi fido e vado fiero. guardo edizioni e copertine con l’intento di ritrovare qualcosa, ma non so cosa!
scopro così Safet Isović, orgoglio e monumento nazionale bosniaco, figura trasversale d’appartenenza e cantore di una tradizione che lo ha preceduto e che soparavviverà alla sua scomparsa. il disco che ho fra le mani e che acquisto porta il titolo di questo post: doppio cd di registrazioni dei suoi esordi che coprono il periodo fra il 1959 e il 1964. ho cercato in rete riferimenti per questo disco, ma pare non ve ne siano. per questo rubo dalla rete vecchie copertine da collezionisti e appassionati!
avevo sentito parlare di sevdalinka, ma non sapevo di avere fra le mani un disco del suo più emerito cantore. potrebbe chiamarsi fortuna, ma io penso sia in realtà altro. la sevdalinka (più spesso abbreviata in sevdah) è un genere di musica tradizionale folklorica originaria della Bosnia Herzegovina, prende il suo nome dal termine turco sevda (amore). il wikipedia inglese (per chi fosse interessanto) racconta molto meglio e oltre.
è la stessa musica che si sente uscire da vecchi negozi per le strade di Sarajevo, dai caffé di Mostar, dai troppi negozi nati in fretta per accogliere turisti e racimolare il possibile. è una musica ammaliante che racconta l’incontro vivo e possibile di culture, la coesistenza e l’osmosi dei popoli. strumentazione classica occidentale: violini, flauti e accordion, la stessa di ascendenza ottomana con inserimenti turchi di fiati e cymbalon. più spesso una piccola orchestra. l’impostazione vocale potrebbe tradire un impianto operistico da bel canto, ma in realtà, nelle pieghe e nelle inflessioni, racconta di discendenze arabe e di salmodie del muezzin.

i tempi moderati e le armonie diffondono una sensazione melanconica, la stessa trasmessa dalla passione e dal fervore dell’interprete vocale. sono spesso storie d’amore, di passione e di appartenenza. rubo da un sito prezioso alcuni ragionamenti a proposito della sevdah (tratti da questa intervista).
La sevdah è la musica delle famiglie bosniache, ogni famiglia bosniaca ha una propria sevdalinka. Ogni sevdalinka è una storia d’amore o una tragedia di uno dei membri di quella famiglia. Tutti la sentono propria, e la si canta nei cortili, nelle case, la si canta ai compleanni e quando si va in visita dagli amici. La sevdah, quindi, è una bella canzone bosniaca, intima e discreta. E’ qualcosa di autoctono che vive con noi e dentro di noi, qui in Bosnia. Le sevdalinke sono fatte per essere cantate. Vivono da qualche parte nel subconscio di tutti noi, ed è sufficiente che qualcuno le animi un poco perché tutti scoprano di conoscerle. Ogni sevdalinka è una storia d’amore di uno di noi. Lei è la vita… l’infanzia, quando hai sedici anni e ti innamori per la prima volta, e poi l’amore continua, e poi la vecchiaia… La sevdalinka raccoglie tutto questo, e ognuno di noi ha dentro di sé una sevdalinka, che racconta la storia d’amore che ognuno di noi ha vissuto.

e allora nella difficoltà di raccontare per intero un viaggio mi affido ad una musica. espediente facile ma necessario. mi rifugio in un suono perchè sarà più facile appiccicarci sopra la memoria che richiamerò ogniqualvolta riascolterò questo suono. è una musica che è sopravvisuta al delirio del conflitto civile, alle tante lapidi fresche di verde musulmano o di croci cristiane, ad una generazione sradicata e ad una memoria incerta. fra molti anni quel paese sarà cambiato ulteriormente, non saprei dire come: il mio viaggio in un 2009 precario avrà un sapore lontano e impreciso. ma forse questa musica avrà ancora qualcosa da dire, racconterà di come fu possibile l’incontro di tante culture in una terra mescolata e condivisa e di come ad un certo punto non lo fu più.

Safet Isović Doajeni Bosanskohercegovačke Sevdalinke

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Ortometropolis/3 di Costantino Spineti

Finalmente è arrivata… si è fatta un po’ desiderare, come tutte le belle donne… l’abbiamo sognata, agognata, aspettata avvolti tra le coperte, sotto tristi coltri di nebbia… eppoi… finalmente è arrivata in tutto il suo splendore, calda… sensuale… e maledetta! Anche un po’ in ritardo… sì, proprio come una bella donna! Qualcuno si è anche spogliato prima del tempo, ma lei, con un colpo di coda e un po’ d’acqua… ha subito placato i bollenti spiriti… ricordando a tutti i suoi amanti:“Ci si spoglia solo quando lo dico io!”
Quasi sicuramente molti di noi, tra un mese o due, in un pomeriggio torrido e urticante qualsiasi la malediranno… proprio come si fa quando si incontra una femme fatale… ma lei è così, abbacinante e solare il giorno, fascinosa e imbrillantata di stelle la notte… sì, è proprio lei, è così… io la amo e la odio… è Sua Maestà l’Estate!

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E con l’estate sono arrivati i primi bagni, le spiagge, Charles Trenet, i bikini, gli occhiali da sole, le creme solari, i quotidiani sulle sdraio sotto gli ombrelloni, i papà in bermuda e zoccoli del Dottor School’s che fanno rumore sulla strada, mentre di sera con passi lenti, pesanti e pigri, si dirigono verso le gelaterie, a caccia di orge al glucosio, con ragazzini euforici al seguito che gli corrono tutt’intorno urlando improbabili nomi dei loro eroi androidi alieni manga; ragazzini che si sfiniscono in corse senza sosta mimando figure allegoriche che fanno ricordare un misto di arte marziale e spensieratezza infantile… Che Bello (…i ragazzini)! Eppoi ancora, motorini che rombano nella notte, risa sguaiate, e rumori di fuochi d’artificio in lontananza… con stupori di sguardi bovini che osservano: “si accende, risplende, s’incendia e rimane in aria… la  vampa che sorride nel cielo buio e  si stampa” che fanno presagire notti con ventagli che si agitano,  e corpi di coppie di coniugi che giaciono esausti su letti matrimoniali a 50 centimetri di debita distanza l’un dall’altro… ma ora basta con questi miei ricordi fine anni ’70, lisergici e anche un po’ vintage del resto… direi quasi psichedelici! Bah… sarà colpa della segale cornuta, del caffè col mexcal… o di Rosita… chissà… sì, ma che è successo… poi?

Quest’oggi, miei cari e indefessi lettori si parla di una coltivazione arborea, si parla della Palma da Cocco (Cocos nucifera L.).
Della famiglia delle arecaceae, è originaria delle regioni tropicali dell’Oriente, è oggi coltivata sia nel continente asiatico (India, Ceylon, Indonesia) che in America centrale e meridionale (Messico, Brasile,Santo Domingo); in Africa i paesi maggiori produttori sono il Mozambico, la Tanzania, ed il Ghana. Il nome specifico nucifera deriva dal latino, con il significato di portatore di noci. 
La Palma da cocco è una pianta molto longeva, che può arrivare ad oltre 100 anni di vita (è come me!); ha un tronco unico, alto 20-30 metri, con corteccia levigata e grigia, segnato da cicatrici anulari. 
Le foglie, lunghe da 4 a 6 metri, sono pennate, composte da foglioline lineari-lanceolate. Le infiorescenze, che nascono all’ascella delle foglie (ma profumano ugualmente!), avvolte da una spata carenata, sono degli spadici ramificati in cui i fiori femminili sono disposti alla base e quelli maschili in alto (un po’ come succede per i bagni pubblici all’ippodromo!). I fiori hanno petali lanceolati, 6 stami e un ovario formato da 3 carpelli saldati.
 L’impollinazione è incrociata (vedi 69 del Kamasutra) di tipo anemofilo o entomofilo. Il frutto, grosso quanto una testa d’uomo (anche se dipende dall’uomo, il mio amico Pierpaolo detto er capoccione non fa “testo” …appunto!) e pesante da 1 a 2 kg, è una drupa con epicarpo sottile, liscio e di colore grigio-brunastro, mesocarpo fibroso, spesso da 4 a 8 cm ed endocarpo legnoso; essendo leggero esso può essere trasportato dal mare a grandi distanze e mantiene a lungo la sua germinabilità. 
All’interno è contenuto un unico seme, ricco di sostanze di riserva localizzate nell’endosperma (non pensate a male!) che è in parte liquido (latte di cocco che si beve!) e in parte solido (polpa che si mangia!). Al momento della germinazione dell’embrione, la radichetta fuoriesce da uno dei tre poli germinativi visibili anche dall’esterno.

La Palma da cocco cresce bene su terreni sabbiosi, salini, richiede luce abbondante e piogge regolari nel corso dell’anno. La Palma da cocco è probabilmente la palma più coltivata al mondo. Le noci di cocco rappresentano una delle principali fonti di reddito per i paesi produttori poichè da esse si ricavano un’infinità di prodotti. Anche altre parti della pianta sono comunque usate, come le foglie, con cui si realizzano cesti, coperture di tetti, o le gemme terminali della pianta ormai adulta che costituiscono un ottimo cavolo-palmizio, o ancora la linfa zuccherina che viene fatta sgorgare con opportuni tagli da alcune infiorescenze e dalla quale si ricava una bevanda alcolica nota come Toddy o vino di palma, ne avete mai sentito parlare? Forse è più nota col nome di Palm Wine, in Africa, sotto i fumi del suo alcol, si sono scatenati  movimenti musicali molto interessanti, noti col nome appunto di Palm Wine Music… se siete curiosi vi suggerisco un disco… questo! e un post… quest’altro!
E se vi interessa l’argomento, vi consiglio anche la lettura di due libri: Jazz e vino di palma, grande classico della letteratura africana, questo volume è composto di otto racconti: due imperniati sul grande musicista di jazz John Coltrane ed altri di satira politica che fecero censurare il libro per anni in Congo. Autore eclettico, insieme poetico e ironico, Dongala sconfina anche con umorismo e sensibilità nella fantascienza; pur trattando argomenti vari, si sofferma spesso sul tema dell’infanzia e non ha mai smesso di interrogarsi sulle sorti del mondo e in particolare sul destino futuro dell’Africa, l’altro libro è di Tutuola Amos e s’intitola  Il bevitore di vino di palma (raccolto qui), libro onirico e visionario scritto dal nigeriano Tutuola al quale ha creato numerosi problemi di censura col regime nigeriano perché inizialmente considerato troppo filo-occidentale (tutte cazzate del regime!).

Ma ora ritorniamo a bomba (che è anche il cane di un mio pispante amico), ritorniamo a Sua Maestà l’Estate, …”e tornerà un altro inverno, cadranno mille petali di rose”. Sissignore sto parlando del grande Bruno Martino, personaggio sicuramente sottovalutato dal nostro belpaese che incise nel lontano 1960 un brano intitolato Estate destinato poi a diventare uno standard jazz from italy riconosciuto in tutto il mondo e suonato da musicisti di indubbio valore, uno per tutti João Gilberto con la sua chitarra, ma anche gente del calibro come Chet Baker, Michel Petrucciani, Mina, Massimo Urbani, Vinicio Capossela, Mike Stern, Sergio Cammariere (sic! n.d.c.), etc. etc. (non si possono menzionare tutti!) Mi piace l’idea di scrivervi la lirica (il testo di Bruno Brighetti) di questo pezzo struggente e malinconico, ma fradicio zuppo di poesia, e tremendamente estivo, leggete che roba!

Estate
Sei calda come i baci che ho perduto
Sei piena di un amore che è passato
Che il cuore mio vorrebbe cancellare

Estate
Il sole che ogni giorno ci scaldava
Che splendidi tramonti dipingeva
Adesso brucia solo con furore

Tornerà un altro inverno
Cadranno mille pètali di rose
La neve coprirà tutte le cose
E forse un po’ di pace tornerà

Estate
Che ha dato il suo profumo ad ogni fiore
L’ estate che ha creato il nostro amore
Per farmi poi morire di dolore

Estate

Ahhh… Quanta speme..! E chissà quante calde lacrime d’innamorati, ascoltando questa splendida canzone hanno innaffiato aridi terreni, rendendoli così fertili, lussureggianti, virgulti, vivi e verdi come la speranza… che è veramente dura… a morire!
Mi piacerebbe un giorno cantarvela questa canzone… face à la mer… con la mano destra poggiata sul cuore infranto… e con lo sguardo semispento… naufragato nell’onda del piacere… ma purtroppo i rumori che emetto con quel che resta  delle mie corde vocali non le si addicono proprio…Tuttavia, vostro malgrado, sono in vena di puro e mero “esibizionismo”, e siccome il buon borguez tempo addietro scatenò la curiosità del web a causa di alcuni miei commenti poco ortodossi punkstilnovisti… eccovi serviti! (Alla faccia del bicarbonato di sodio e dell’anonimato che odio!!!) Ho deciso quindi, che vi farò sentire come soffio dentro il mio strumento… il sax… in una straziante, folle, delirante e very alcolica “verscion miocardica”, da solo… con pulsazioni rigorosamente irregolari, continui e repentini cambi di fronte e sbalzi di temperatura corporea, col mio cuore malato e inquieto, e con uno dei miei inseparabili compagni di vita… un baritono Conn M12 modello Naked Lady, che guardando il tatuaggio che gli hanno fatto appena nato, più o meno dovrebbe avere l’età del premier (anche lui da giovane cantava su navi da crociera… sulla west coast americana però!), e che, se un giorno mai dovesse ritrovarsi a Palazzo Grazioli, o a Villa Certosa (non credo proprio!), con le sue performance (ardite e audaci!) durante baccanali e festini vari farebbe impallidire gli ormoni imbizzarriti del Cavaliere, e dell’intero Consiglio dei Ministri! Tutto ciò avverrà sul prato di casa mia …a Greenfield …en déshabillé …a piedi nudi …e a mani nude …nella speranza che le mie calde lacrime possano rinverdire il mio prato …e l’anima mia …perennemente innamorata e mai corrisposta…
E se proprio il cuore non ce l’avete più (perchè lo avete dato al gatto! O al premier!) …e quindi non ce la fate nè a vedermi nè  ad ascoltarmi, peggio per Voi! Del resto potete sempre lanciarmi una ciabatta (possibilmente un’ infradito di gomma che è più leggera!), o che so …magari degli ortaggi …a foglia però!…ma fate attenzione a non rompere lo schermo del vostro computer …Io, del resto …non ve lo rimborso di certo!

Concludo dedicando questo piccolo videoclip amatoriale e senza pretese, fatto a mano (ma anche coi piedi!), ad un “fenicottero rosa” della riviera ligure, nella recondita speranza che oltre a curare mostre di arte contemporanea, riesca anche a curare e perdonare un vecchio errore,  fatto da un cuore malato e un po’ irrequieto che oggi cerca solamente pace (come dice Bruno Martino), nient’altro! …e anche a tutti gli innamorati del mondo …specialmente a quelli non corrisposti!
E infine …Buona Estate a tutti Voi …Dolci Compagni Innamorati …e anche ai timidi che si nascondono dietro l’anonimato! …Io, per quanto mi riguarda…oltre al nome…oltre al cuore…stavolta ci ho messo anche la faccia!!!
La Strozzaquartini Production Entarteinment (S.P.E.) è lieta di presentarvi Costantino Spineti, al sax baritono, che si esibirà in una versione miocardica di Estate di Bruno Martino. Buona visione!

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=m2rpuHfmm0g]

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tre ragazzi

grazie!
dovrei fermarmi qui, ma risulterei oscuro e pertanto poco efficace. quel grazie abbisogna di un poco di prolissità per chiarirsi e palesarsi. volevo dire grazie a tre ragazzi nati così lontano da me che avremmo potuto non incontrarci mai! invece le loro traiettorie hanno raggiunto questo paese, il mio, ingrato e irriconoscibile, eppure mio. hanno portato fieramente con loro le discendenze nobili di griot, di musicisti, di testimoni di una tradizione antica. non hanno smesso di farla risuonare in loro.
debbo dire grazie a Madya Diebate a Omar Suso e a Naby Camara per i loro sorrisi e per la musica che hanno portato con loro. il tempo passato assieme è tempo prezioso. immaginavo, ma non sapevo. non sapevo di qualcosa che va oltre la musica, gli sguardi e le parole dette, le strette di mano e gli arrivederci. qualcosa che provo a racchiudere dentro un grazie, ma che non ci sta e non lo so dire altrimenti.

03il concerto dell’altra sera esige molti altri grazie. a tutti coloro che sono intervenuti ed hanno fatto sentire calore e benedetta curiosità. all’amministrazione del Comune di Russi che ha creduto e voluto ed ha reso possibile questo. agli spiriti di Palazzo San Giacomo che hanno presieduto e concesso benevolenza e al vento fermatosi opportunamente. grazie a Marco e a tutti i ragazzi della Favela Chic che hanno voluto scommettere su questa opportunità. questa ne farà nascere altre! grazie ad Alice che ha sopportato la mia fotta di questi giorni, da uomo distratto, preso e rapito! grazie a Duna, che se non ci fosse…

04grazie alla brigata romana di TP Africa che ha abbandonato la capitale per annusare ed ammirare i rèfoli e i colori della campagna romagnola, le esse grasse e la benevolenza di quei bonaccioni antipapalini e testoni che sono i suoi abitanti! a Cristina, Marcella, Giulio Mario, Alessandro e Maurizio dico grazie. a Costantino ne tocca uno doppio, per il suo entusiasmo e per aver inconsciamente reso possibile tutto questo. da loro giungeranno a breve filmati, memorie, racconti e suoni. li attendo per raccontare meglio e ricordare.
grazie all’impagabile Enrico Henry Rambaldi che mi fa giungere solerte le prime foto (sue quelle di questo post), gli debbo diversi drink e continua fratellanza.

06qui mi fermo. perché l’inesprimibile non si vince insistendo e perché non voglio annoiare. la memoria è mia, ma è stata costruita assieme, per merito condiviso e per coraggio comune. è qualcosa che ricorderò a lungo e che porterò con me. questo sarà domani e dopo domani ancora; per oggi, vale appunto un grazie!

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T.P. Africa Ensemble 7 Luglio 2009 live@Palazzo San Giacomo

eccomi ritornato, effettivamente ritornato!
un poco di normale straniamento, accenni di spaesamento e quantomai solita confusione. tutto normale insomma!
due settimane addietro avevo lasciato il blog annotando un appuntamento importante: nel bel mezzo c’è stato un lungo viaggio e la densità specifica che certi spostamenti arrecano. bagaglio di cose (non saprei come altro elencarle genericamente tutte) che ci si mette in spalla, buone per tutto il futuro a venire e indelebili già nel loro depositarsi. lascerò passare un poco di tempo e non tedierò con itinerari o aneddotica, perchè un poco di tempo necessita anche a me per fare chiarezza, per permettere alla materia di stratificarsi e di riemergere più limpidamente e più oltre, come acqua da una falda freatica.

mi è assai più facile invece ritornare a quella data annotata da lungo tempo sul calendario: 7 Luglio 2009, martedì!
per tutti coloro che seguono queste pagine (da vicino o da lontano), e per chi vorrà unirsi, l’invito è esteso!

concerto_tpafricaT.P. Africa Ensemble è il concilio di tre musicisti africani residenti in Italia, incontro e comunione voluta fortemente dai ragazzi (dagli amici) di T.P. Africa!
Madya Diebate dal Senegal (Casamance) alla kora, Omar Suso dal Gambia alla kora e Naby Camara dalla Guinea Conakry al balafon. e insieme tutti e tre alle voci!
prendo a prestiro le parole di Giulio Mario Rampelli per raccontare un poco di più e un poco meglio: è un’idea semplice, far suonare assieme i migliori musicisti africani residenti in Italia. Gli africani che vivono in Italia combattono quotidianamente contro le discriminazioni. L’Africa è un continente ricco di cultura, e lo sforzo necessario per riconoscerla e apprezzarla viene ampiamente ripagato. La cultura è una risorsa, uno dei principali modi in cui il popolo degli immigrati ripaga l’ospitalità a chi gliela offre.
Madya viene dalla Casamance, una regione a sud del Senegal in cui prevale l’etnia mandinka. Omar viene dalla Gambia, una piccola nazione anglofona contenuta dentro il Senegal. Anche lui è mandinka. Entrambi sono griot, e hanno una parentela stretta con la famiglia di Toumani Diabate e Ballake Sissoko. Il padre di Toumani, il leggendario Sidiki, era originario della Gambia, e quando tornava dai suoi parenti prendeva con sé Omar – che era piccolo – e lo portava con lui a suonare in giro. La kora, l’arpa a 21 corde dei mandingo, è originaria di quelle terre. A differenza dei maliani, in Gambia e in Casamance la kora si suona in modo più ritmico e percussivo, con le corde che vengono colpite e pizzicate. Naby e di etnia Sussu e viene dalla Guinea Conakry, la patria del balafon mandingo. Anche se il suo cognome è predominante nella casta dei fabbri e dei falegnami lui è un griot, suo padre suonava il balafon e sua madre è una cantante. E’ l’ultimo di undici figli, e dopo aver passato l’infanzia e l’adolescenza in Guinea si è trasferito in Senegal, dove ha suonato con i Bougarabou Ballets. Probabilmente è il miglior balafonista residente in Italia, e canta con una voce graffiata e intensa.
la musica del TP Africa Ensemble è più antica di quella di Mozart, e persino di Bach. Brani tradizionali di cui alcuni hanno molti secoli. Sono storie tramandate dai griot di padre in figlio, che narrano dell’impero mandingo e dei suoi eroi. E’ musica classica africana, e per riconoscerne il valore sono necessari curiosità, sensibilità e amore per la cultura.

ecco un video del concerto romano del 15 maggio realizzato (e tratto) da T.P. Africa

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=S55F66ue9DI&eurl=http%3A%2F%2Fwww.tpafrica.it%2F2009%2F05%2Ftp-africa-ensamble-live.html&feature=player_embedded]

sono felice di aver contrubuito all’organizzazione di questo evento, ma i veri ringraziamenti vanno al Comune di Russi che ha reso disponibili risorse e spazi, all’Associazione Culturale Favela Chic (facebook) che ha creduto nell’iniziativa e agli amici di T.P. Africa che non hanno esitato un solo istante a tuffarsi nell’avventura. sarà l’occasione di ritrovarsi tutti nella splendida cornice del Palazzo San Giacomo di Russi (qui). io, ovviamente, ci sarò!

T.P. Africa Ensemble
7 Luglio 2009 – ore 21
Palazzo San Giacomo, Russi (Ravenna)
ingresso gratuito

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Verso i Balcani

credo sia giunto quel giusto tempo in cui è bene fermarsi e prendere una pausa, una sospensione. credo le chiamino ferie. più o meno quelle! e sono tali solo se prevedono un allontanamento, un dislocamento, uno scarto. il mio spazio da coprire è verso i balcani, senza una meta precisa, senza itinerario e senza fretta. qualcosa ha chiamato da laggiù, antiche voci e più recenti boati. dall’altra parte di questo mare di fronte, una vicinanza e una curiosità da colmare.

BalcaniFisicacon me prende una pausa anche questo blog. penserò pure a lui. a nuove opportunità, a diversi sviluppi, a qualcosa d’altro. ma anche no!
come sempre, oltre al blog, tante idee abbozzate, progetti abortiti e slanci inutili e fruttuosi in mezzo a pensieri, ripensamenti, inceppi ed incertezze. e gioie, pure (nel senso di avverbio). credo la chiamìno vita, appena ne scopro un poco oltre provo a dire, insomma …forse un giorno meglio mi spiegherò!

lascio qui a fianco (panoptikum) uno dei dischi più vivi che mi sia mai capitato di ascoltare. contagioso e vitale come il sangue! e nel five easy pieces alcuni dischi che mi porterò dietro, con la nostalgia del mangianastri e un’idea di futuro tutta da ripensare.

ma più di ogni altra cosa lascio, per il mio ritorno, un appuntamento da segnare in agenda, qualcosa a cui si è lavorato negli ultimi tempi con entusiasmo e soddisfazione. un piccolo sogno che si realizza, tramite una relazione nata fra blog, un annusarsi e scoprirsi affini, utili, vivi e ancora curiosi.
concerto_tpafricatutto quello che è bene sapere è scritto qui e probabilmente ci potrebbero pure essere ulteriori sorprese inimmaginabili (miracoli e apparizioni di cui ancora non mi capacito!). per chi volesse approfondire rimando a ciò che scrisse a suo tempo Giulio Mario Rampelli su TP Africa. la musica sta andando ovunque, pure dove non dovrebbe: c’è un luogo dove c’è sempre stata e da dove non se ne andrà!
ne riparleremo, eccome, al mio ritorno!
è tutto, chiudo la porta, vado verso i Balcani!

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