si dissertava di epifanie dunque…
giusto il tempo di ragionarci un po’ su ed ecco giungerne un’altra inattesa e benvenuta. di epifanie intendo! per il modo in cui si è approssimata e più che altro per la maniera in cui è entrata! tralascerò i dettagli tecnici e critici che ognuno sa benissimo dove reperire oltre che qui e anche qui!
ciò che mi piace osservare ed annotare è come certi dischi trovino misteriosamente la strada maestra verso il luogo segreto dei nostri ascolti. quelli privati e intimi, quelli che si conservano gelosamente. come per questo panda bear. è bastato lasciar scorrere la prima traccia ed era già troppo tardi. non c’era proprio più niente da fare, quel suono aveva già raggiunto ed occupato lo spazio interiore dove i suoni vanno in loop e divengono necessari, ossessivi e insaziabili. e quando provi a comprendere pare già troppo tardi… mi son detto che forse aveva a che fare con i bpm, oppure con quel delay a manetta che pervade tutto il disco. probabile che ciascuno di noi vada in risonanza se giustamente sollecitato su lunghezze d’onda analoghe alle proprie, come le frequenze di un bioritmo. oppure sarà quella sensazione di essere dentro un mantra senza capo e neppure coda, come un muezzin che risponde alle sollecitazioni di un coro gregoriano e poi treni che scorrono, piccioni e echi che si allontanano, grida e automobili che sfrecciano. jesus & mary chain? mi sono chiesto… stone roses? forse… beach boys? eppure no, non li ho mai amati… non so! non mi so rispondere!
quello che so è che amo questi dischi liquidi, espansi e evanescenti fino a far perdere le loro tracce, dove non importa quale brano stia suonando e ancor meno quale sia il titolo, dischi da ascoltare in random+repeat per lasciarli invadere sadicamente una domenica piena di pioggia…
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